Ciò che la Bibbia non dice – 3di3

 

Rappresentazione di Lucifero in una scultura nella cattedrale di San Paolo a Liegi (Belgio)

5.

IL DIAVOLO

 

Nella mitologia ebraica, inizialmente non esiste una divinità in qualche modo colle­gata alle forze del Male o del Caos (come si è visto nella concezione cosmogonica dei Greci, dei Sumeri e dei popoli del Nord).

Nella Bibbia è presente la figura di Sataniel (Satana[1]), l’angelo cui viene affidato da Dio il compito di verificare la fede dell’uomo, riportando al Signore tutti i peccati commessi (“Libro di Giobbe”).

Successivamente, nei testi dei Profeti, viene citato più volte il nome di Helel (Lucifero), che nella sua superbia avrebbe tentato di usurpare il trono di Dio assieme ad altri angeli ribelli e, per questo, sarebbe stato scagliato nell’abisso.

Nel terzo giorno della creazione, il primo tra gli arcangeli del Signore, Lucifero (“Helel ben Shahar”, il figlio dell’alba), venne nominato guardiano di tutte le nazioni future. All’inizio, questi si comportò con discrezione ma poi l’orgoglio gli fece perdere del tutto il senno.

L’angelo ribelle volle ascendere le nubi e le stelle e farsi incoronare, per diventare così in tutto e per tutto uguale a Dio. Il Signore, accortosi della sua ambizione, lo precipitò nell’abisso; Lucifero, nella sua rovinosa caduta, venne ridotto in cenere; ancora oggi il suo spirito vaga senza posa nella profonda tenebra.

Il ricordo di questa sciagurata impresa riecheggia nei lamenti del profeta Isaia:

Negli inferi è precipitato il tuo fasto,

la musica delle tue arpe;

sotto di te c’è uno strato di marciume,

tua coltre sono i vermi.

Come mai sei caduto dal cielo,

Lucifero, figlio dell’aurora?

Come mai sei stato messo a terra,

signore di popoli?

Eppure tu pensavi:

salirò in cielo,

sulle stelle di Dio

innalzerò il trono,

dimorerò sul monte dell’assemblea,

nelle parti più remote del settentrione.

Salirò sulle regioni superiori delle nubi,

mi farò uguale all’Altissimo.

E invece sei stato precipitato negli inferi,

nelle profondità dell’abisso![2]

Anche il profeta Ezechiele, nel rievocare la disgrazia di un cherubino scacciato dal “monte di Dio”, si riferisce molto probabilmente a Lucifero:

 

Tu eri un modello di perfezione,

pieno di sapienza,

perfetto in bellezza.

Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa;

io ti posi sul monte santo di Dio,

e camminavi in mezzo a pietre di fuoco.

Perfetto tu eri nella tua condotta,

 da quando sei stato creato,

finché fu trovata in te l’iniquità.

crescendo i tuoi commerci

ti sei riempito di violenza e di peccati;

io ti ho scacciato dal monte di Dio

e ti ho fatto perire, cherubino protettore,

in mezzo alle pietre di fuoco.[3]

La mitologia ebraica conosce anche la figura di Samael (Samaele), derivante forse dalla divinità siriana Shemal e spesso identificato con la già citata figura di Satana, il quale si ribellò perché invidioso della posizione che Dio aveva attribuito ad Adamo.

 

Il sesto giorno della creazione, il Signore aveva ordinato a tutti gli abitanti dell’Eden di riverire Adamo. L’arcangelo Michele obbedì immediatamente assieme agli altri angeli, ma Samaele si ribellò: “Non onorerò mai una creatura inferiore a me! Quando nacque Adamo, io ero già perfetto. E’ lui che deve adorare me!”. Gli angeli seguaci di Samaele approvarono, mentre Michele li ammonì a non sfidare la collera di Dio.

Allora il Signore mise alla prova la sapienza di Samaele chiedendogli di dare il nome a tutte le creature del mondo, ma l’arcangelo non fu in grado di rispondere. Adamo, invece, illuminato nel cuore da Dio, riuscì ad additare tutti gli animali con il loro vero nome.

Samaele, indignato perché il Signore aveva instillato il sapere nelle mente dell’uomo, si rivoltò adirato nei confronti del Creatore. Allora Dio scaraventò Samaele ed i suoi seguaci fuori dal paradiso. Samaele provò ad aggrapparsi alle ali di Michele e lo avrebbe trascinato con sé, se Dio stesso non fosse intervenuto.

L’Arcangelo Michele espelle Lucifero, dipinto di Lorenzo Lotto (1545)

Samaele ed i suoi seguaci vennero rinchiusi in un carcere buio dove ancora oggi languiscono con il volto spettrale e le labbra sigillate.

Altri, tuttavia, sostengono che Samaele venne precipitato nella terra, da dove egli continua a tramare contro il volere di Dio: sembra infatti che il serpente dell’Eden che indusse Adamo ed Eva a disobbedire agli ordini del Signore fosse in realtà l’arcangelo Samaele sotto mentite spoglie. Secondo alcune fonti, inoltre, dopo aver persuaso l’uomo a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza nelle sembianze di un serpente, sedusse Eva e generò con lei Caino.

Da allora, le generazioni degli uomini formano due rami separati: i discendenti di Caino sono votati al male, mentre i discendenti di Set sono propensi verso il bene.

 

A seguito dei contatti con la religione persiana durante la cattività babilonese, gli Ebrei elaborano l’idea di una vera e propria figura antitetica a Dio: il Principe delle Tenebre (da alcuni identificato con Tohu), colui il quale si sarebbe opposto al volere del Signore prima ancora della creazione. Quando Dio annunciò di voler creare l’universo nella luce, il suo avversario domandò: “Perché non dalle tenebre?”. Il Signore soggiogò con un urlo enorme il principe delle tenebre, il quale tuttavia nel giorno del giudizio si dichiarerà uguale a Dio e tenterà di ripristinare il dominio dell’oscuritò. Solo allora il fuoco dell’inferno punirà la sua arroganza.

In questo contesto, le figure di Samaele, Satana e Lucifero tendono ad identificarsi in un’unica entità nota anche come il Diavolo (dal latino ‘Diāboluse dal greco antico ‘Diábolos, cioè “Colui che divide”). L’antagonista di Dio è chiamato anche Belzebù («Signore delle Mosche», trasformazione spregiativa del nome del dio fenico Ba’al Zĕbūl, «Signore dei Prìncipi»), Belial o Mefistofele (tutti nomi che traggono origine dai nomi delle divinità venerate dai popoli nemici degli Ebrei) ed è citata anche nel Corano con il nome di Iblīs.

Il Diavolo

La tradizione cristiana si impadronirà del mito della ribellione e della caduta degli angeli ribelli, elaborando soprattutto in epoca medievale la visione demonologica più famosa della storia delle religioni, che trova la sua massima espressione letteraria nella ‘Divina Commedia’ di Dante Alighieri.[4]

La storia racconta che Lucifero in origine era il più bello tra tutti gli angeli ma che, a causa della superbia, “contra il suo Fattore alzò le ciglia” e si ribellò quindi a Dio.  La decima parte degli angeli prese le parti di Satana ma i ribelli vennero duramente sconfitti dall’arcangelo Michele.

Corrotti dal peccato, gli angeli vennero trasformati in demoni e precipitati sopra la terra. Lucifero, in particolare, cadde dalla parte dell’emisfero australe, dove in origine esisteva il paradiso terreste, e venne conficcato al centro della terra, che è anche il centro dell’Universo secondo la concezione tolemaica poi recepita da Aristotele e dalla Scolastica medievale[5].

 

E la terra, che pria di qua si sporse,

per paura di lui fe’ del mar velo,

e venne all’emisperio nostro; e forse

per fuggir lui lasciò qui il loco voto

quella che appar di qua e su ricorse…[6]

 

Durante la caduta dell’angelo ribelle, le terre emerse dell’emisfero australe per paura di lui si ritirarono al di sotto delle acque e riemersero nell’emisfero boreale. Nel percorso verso il centro del mondo, inoltre, tutti gli elementi cercarono di schivare ogni contatto con Lucifero, lasciando una cavità vuota (che Dante chiama la “natural burella”), e si arrampicarono su nell’emisfero australe andando a formare il colle del Purgatorio

Lucifero (“la creatura ch’ebbe il bel sembiante”), viene rappresentato da Dante come un essere di smisurata grandezza, con tre facce alla sua testa (l’una vermiglia, tra bianca e gialla l’altra, nera la terza), corpo peloso e sei enormi ali di pipistrello.

S’el fu sì bel com’ elli è ora brutto,

e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia,

ben dee da lui procedere ogne lutto.

 

Oh quanto parve a me gran maraviglia

quand’ io vidi tre facce a la sua testa!

 L’una dinanzi, e quella era vermiglia;

 

l’altr’ eran due, che s’aggiugnieno a questa

sovresso ‘l mezzo di ciascuna spalla,

e sé giugnieno al loco de la cresta:

 

e la destra parea tra bianca e gialla;

la sinistra a vedere era tal, quali

vegnon di là onde ‘l Nilo s’avvalla.

 

Sotto ciascuna uscivan due grand’ ali,

quanto si convenia a tanto uccello:

vele di mar non vid’ io mai cotali.

 

Non avean penne, ma di vispistrello

era lor modo; e quelle svolazzava,

sì che tre venti si movean da ello:

 

quindi Cocito tutto s’aggelava.

Con sei occhi piangëa, e per tre menti

gocciava ‘l pianto e sanguinosa bava.[7]

 

L’idea di Lucifero con tre facce non è espressione della fantasia di Dante; egli è, in un certo senso, l’antitesi della divinità creatrice che i Cristiani concepirono come Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo).

Poiché per Dante, come per S. Tommaso, il Padre è Potestà, il Figlio è Sapienza, mentre lo Spirito Santo è Amore, le tre facce non possono simboleggiare se non impotenza, ignoranza ed odio.

Lucifero, ispirato al Canto XXXIV dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri, disegno di Daniele Albatici

[1]    Questo appellativo deriva da un’antica parola semitica, che significa letteralmente “ostacolare”; il ruolo di questa figura era quello verosimilmente dell’accusatore, dell’inquisitore ovvero di chi aveva il compito di mettere alla prova l’uomo, anche inducendolo in tentazione.
[2]   ISAIA, XIV, 11-15.
[3]    EZECHIELE, XXVIII, 12.14-16.
[4]    La demonologia cristiana secondo la visione di DANTE ALIGHIERI è descritta in GRAF, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, Milano, Mondadori, 1989, pp. 51-72.
[5]   Nella visione dantesca, Satana precipita e si ferma al centro del mondo perché, secondo una legge del cosmo aristotelico, gli elementi hanno tutti un peso specifico e l’elemento più pesante (inteso anche come il meno puro e il più lontano da Dio) è la terra; Lucifero, reso pesantissimo a causa della enormità del suo peccato, non poteva che fermarsi nel punto più basso, il centro del mondo.
[6]     DANTE ALIGHIERI, “Divina Commedia – Inferno”, Canto XXXIV, vv.122-126.
[7]     DANTE ALIGHIERI, “Divina Commedia – Inferno”, Canto XXXIV, vv.34-54.

 

 

 

di Daniele Bello

 

Ottobre 30, 2017

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