Donne Maledette 12/13

XII – Amina

Donne Maledette 12

Sono una yazidi e vengo da Sinjar. Sono nata in un piccolo villaggio di poche anime ai piedi del monte, là avrei voluto allevare i miei figli e vivere con il mio compagno, i miei vecchi genitori e le mie sorelle… era forse chiedere troppo?

Sì, per me era chiedere troppo, per la mia bambina era chiedere troppo, per le mie quattro sorelle era chiedere troppo e anche per tutte le altre donne di Sinjar era chiedere troppo.

Una piccola parte di noi è fuggita disperdendosi nel deserto, tutte le altre sono rimaste nelle mani dei tagliagole che ne hanno fatto quel che hanno voluto e poi le hanno uccise.

Quando li abbiamo visti arrivare ci siamo chiesti tutti l’un l’altro cosa potessero cercare in quel luogo fatto di nulla e povertà, poi abbiamo capito, purtroppo abbiamo capito, e visto.

Abbiamo urlato pietà e pregato atti di misericordia, abbiamo provato anche a ribellarci ma le nostre pietre erano deboli, cadevano a terra una dopo l’altra sollevando solo polvere e dolore.

Amina aveva solo cinque anni, cinque. Quanti ne avrebbe potuti vivere, Dio mio? Settanta? Cento?

Era piccola e dolce, la mia Amina, delicata come un fiore di gelsomino e loro l’hanno presa senza curarsi delle sue urla che mi trafiggevano le orecchie.

Mentre ci trascinavano via, mia sorella mi ripeteva: “Nulla puoi fare, nulla, più nulla!”

E nulla feci per la mia piccola se non piangere e strapparmi i capelli.

Amina, fragile gelsomino profumato che hai conosciuto l’orrore del deserto prima ancora di poterne scorgere la bellezza!

Nulla potevo fare più per te, piccola Amina, per questo ho lasciato che mi portassero via, per questo sono fuggita da te, Amina dolce, lasciandoti da sola a quei coltelli insanguinati, alla paura, alla morte. Sono fuggita con mia sorella Aisha e altre donne, mi sono salvata, sono viva, mi dicono, ma se trascinarsi dietro questo involucro secco è vivere, Amina mia, allora non vale la pena continuarla.

Dove sei tu adesso, fiorellino mio? Sei già arrivata fra le braccia dell’Angelo Pavone? Accarezza lui il tuo sonno profondo?

Ora non ho più nulla, non te, non le altre mie tre sorelle che hanno seguito la tua stessa sorte, né più madre, né padre.

Sono salva Dio mio? Da cosa hai voluto salvare questa tua figlia? Non certo dal dolore, non certo dalla rabbia o dalla compassione di se stessa… che me ne faccio di questo corpo vuoto, bruciato dal deserto dentro e fuori? Prendi anche me, Angelo Pavone, ti prego, portami con te dalla mia Amina, fammi abbracciare ancora il suo corpicino profumato di gelsomino!

Quale colpa abbiamo pagato, Dio mio? Quella di essere cresciuti nella convinzione che tu abbia affidato la Terra a un angelo, dopo averla creata? E’ questa la mia colpa? E Amina, allora, che a cinque anni aveva appena fatto in tempo a sentirlo il tuo nome? Che neppure sapeva chi fosse l’Angelo Pavone?

Adoratori del diavolo ci chiamano i tagliagole, la mia Amina non adorava di certo il diavolo, non ne conosceva nemmeno l’esistenza, piccolo, dolce, tesoro.

E tu, Angelo, che facevi mentre la mia bambina urlava? Dove stavi? Perché proteggevi me anziché lei? Perché le hai fatto provare quello strazio e perché hai deciso di rinnovare il mio ogni mattina, facendomi svegliare ancora in vita?

Mia sorella Aisha che mi ha trascinata qua nel deserto insieme ad altre donne in fuga, non la vedo più da giorni, qualcuno dice che si è fermata in un campo, ma io non ho visto campi in giro, qui c’è solo sabbia, sole e nulla più.

Voglio tornare indietro a Sinjar, a casa mia, ma intorno a me non ho che dune tutte uguali, il vento copre ogni traccia del nostro passaggio rendendoci invisibili ai nostri inseguitori ma nascondendoci anche la via del ritorno.

Sabbia, ti prego, riempimi bocca, orecchie, naso e occhi, fai di me una statua di granelli sottili e impalpabili!

Vento, dissolvimi nell’aria, portami via con te!

Questo misero corpo vuoto non ha più nome, né patria, né dio. Non conosce più perdono né misericordia e neppure la religione yazidi, Amina si è portata via la sua parte buona, adesso non gli resta che l’odio e… ne ho paura!

Donne maledette
storie, poesie, pazzie
di Vespina Fortuna

Lascia un commento