Ginevra

“Ginevra, vuoi uscire dal bagno! Possibile che devi sempre trastullarti per ore, non hai niente di meglio da fare?”

“Gustavo perché non la lasci in pace, è una ragazzina e ha bisogno del suo tempo per pensare, per prepararsi, tu non lo sai, ma noi donne, siamo vanitose e vogliamo essere perfette, quando si tratta della nostra figura”.

“Non ti ci mettere anche tu adesso, Nina. Non è ammissibile. Cribbio! Non posso permettere ad una bambina di chiudersi in bagno per non dover parlare con me. Io sono il padre e voglio obbedienza”.

Siamo alle solite, le voci, fuori la porta del bagno, sono di mio padre e mia madre. Discutono per colpa mia, tutto quello che dico o faccio, è motivo di dissidio fra i due, sono stufa, sono stanca di dover ascoltare quelle urla.

Sono chiusa in bagno proprio per non dover sentire quella voce metallica, tagliente come una lama che mi penetra nella carne, mi percuote le orecchie, mi ossessiona, mi assilla, mi scava dentro, non la sopporto, accidenti!

È come un trapano, mette ancora più disordine nella mia testa e non riesco a concentrarmi su niente. I pensieri se ne vanno per conto loro, si disperdono, sciamano verso il nulla, come scintille impazzite di un falò sulla spiaggia.

Quel trapano è sempre lì, asfissiante, mi tormenta, cerco di isolarmi, di restare sola il più a lungo possibile, ma come faccio!

Per sfuggire alla continua aggressione, alla quale mi sottopone, cerco di rifugiarmi nel silenzio e nella solitudine. Voglio riprendere il filo di un sogno interrotto dai rumori che mi circondano. Scappo, non faccio altro che fuggire, voglio evadere da questa realtà che è intorno a me.

Non sopporto nemmeno i telefonini, sono peggio della voce di mio padre, annullano la tua volontà, diventi schiavo e non te ne accorgi, per questo non li ho voluti, non voglio essere raggiungibile, non voglio che lui mi sorvegli anche da lontano.

Mio padre sta ancora sbraitando, non la smette, vuole obbedienza cieca, com’è abituato ad ottenere dai suoi soldati.

Si sente realizzato, quando riesce a tenere tutti sotto controllo. Io sono sua figlia, non un soldato qualunque, possibile che non capisca che i figli sono diversi. Lui è una di quelle persone che si basa sulle cose concrete, non ha fantasia, non capisce e non gradisce queste mie fughe dalla realtà.

Ho sedici anni e ho perso il conto di quante volte sono corsa a chiudermi in bagno. Avrò passato metà della mia esistenza chiusa in quel luogo.

Non è incoraggiante come approccio alla vita che avrò davanti, ma è tutto quello che posso fare, per il momento, spero solo di riuscire a mantenere questa linea di demarcazione fra me e il mondo esterno per altri due anni ancora.

Due anni di sacrifici per diventare maggiorenne, poi lascerò questa casa dove non vivo bene, dove non sono apprezzata e nemmeno considerata come persona. Mio padre è troppo dispotico e mia madre troppo debole per opporsi.

Io andrei via anche subito, ma con un padre militare, e despota come il mio, è praticamente impossibile. Devo solo stringere i denti e resistere.

Ho una sorella, ma lei ha un carattere più arrendevole e conciliante, obbedisce e non crea problemi. Ha qualche anno in più di me e ha una libertà che a me è negata per la mia giovane età.

Lei vuole andarsene, ma non come penso io, lei vuole farlo in modo tradizionale, senza colpi di testa, spera solo di potersi sposare, formare la sua famiglia e dimenticarsi di noi. Mi vuole bene e, quando può cerca di aiutarmi.

Della solitudine non ne sa molto e credo che non gliene importi niente, semplicemente non si pone il problema.

Io, invece, sin dalla nascita ho sentito sempre il bisogno di avere spazio libero intorno, libertà di movimento e di pensiero, per stare con il mio ego, per capire ciò che mi circonda. Volevo conoscere il mondo a modo mio, senza imposizioni o condizionamenti. Sono esattamente l’opposto di Emma, mia sorella.

È una bella ragazza e ha un carattere molto gioviale. È sempre allegra, con le moine e i suoi sorrisi luminosi riesce sempre a calmare le ire di papà.

La diversa sono io, la più giovane e più complicata. Sono la ribelle della famiglia, non mi va bene niente, sono sempre arrabbiata, specie con la mia famiglia. Non sopporto l’autorità di mio padre e la dolcezza esasperante della mamma.

Mi piace restare da sola a fantasticare, sono a disagio nella realtà in cui vivo. La mia vera vita si realizza nella solitudine, sogno ad occhi aperti. Immagino la mia vita in scenari sempre diversi, scrivo anche poesie che spiegano tutta la mia frustrazione.

Sono molto impegnata in queste attività, purtroppo è il genere d’impegno che non piace al colonnello, che cerca in tutti i modi di distogliermi dai sogni per potermi condizionare.

“Ginevra! Esci immediatamente da quel bagno, forza, prima che butto giù la porta!”

Eccolo, ancora lui. Non mi lascia in pace, è una vera tortura, perché continua a tormentarmi!  Non chiedo niente. Non gli ho mai chiesto niente. Desidero solo un po’ di libertà, di essere lasciata in pace. In fondo, non pretendo nemmeno affetto da lui.

Non c’è mai stato un abbraccio fra noi due, non me la sento di abbracciare un uomo che emana odori di tabacco, di cuoio, di lucido da scarpe. Lui afferma che sono gli odori del vero uomo, del maschio. A me non piacciono!

Accidenti! Basterebbe poco, un minimo di comprensione, se solo potesse rendersi conto delle mie esigenze di ragazza, ma lui non può, è un colonnello dei paracadutisti, non sa nulla di cosa gira nella testa di noi ragazze.

Un giorno forse lo capirà, ma allora sarà troppo tardi, io non sarò più qui.

CONTINUA…

di Lorenzo Barbieri

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