I Lorenzetti

Ritratto di Ambrogio Lorenzetti, di Giorgio Vasari

Pietro, Siena 1280 ca. – 1348?
Ambrogio, Siena, documentato dal 1319 al 1348

La fama dei due fratelli senesi travalica i confini delle loro città e arriva fino a Firenze, nei cui dintorni Ambrogio, minore dei due e più brillante, dipinge la prima opera datata: la bellissima, stralunata Madonna di Vico l’Abate (1319, Firenze, Museo Diocesano).

Sarà Ambrogio, iscritto nel 1327 all’arte fiorentina dei Medici e Speziali, a venir stimato da Ghiberti “singolarissimo maestro”, “nobilissimo disegnatore”, “altrimenti dotto che nessuno degli altri”. Persi gli affreschi per l’Ospedale della Scala (Siena, 1335), restano di Pietro molte tavole e il ciclo assisiate con Storie della Passione.

Di Ambrogio, che dopo la partenza di Simone per la Francia, è pittore ufficiale della Repubblica, risaltano a Siena, nella Sala dei Nove di Palazzo pubblico, gli Effetti del Cattivo e Buon Governo, il più grandioso affresco ambientale dell’epoca.

Ambrogio Lorenzetti, Presentazione di Gesù al tempio (firmata e datata 1342, tavola Firenze, Galleria degli Uffizi)

Per l’altare di San Crescenzio nel duomo di Siena Ambrogio dipinge qualche anno prima della morte uno dei capolavori della pittura trecentesca. La composizione (affiancata in origine da due pannelli laterali) segue un unico punto di fuga che dal prezioso pavimento a riquadri policromi in primo piano digrada verso l’abside di una chiesa bellissima. Anche i marmi delle colonne variano di colore secondo la profondità dello spazio.

Rimandanopoi a ideali di eroica classicità le finte statue che stanno sulle colonne a proteggere il tempio.

Pietro Lorenzetti, La beata Umiltà porta mattoni al convento (1340 ca. tavola, particolare della pala della beata Umiltà. Firenze Galleria degli Uffizi.

Ambrogio Lorenzetti, Quattro storie dalla vita di San Nicola di Bari, 1332 ca. Firenze, Galleria degli Uffizi.

Dipinte per la chiesa fiorentina di San Procolo, come attestano le fonti, le quattro scene fanno parte con probabilità di un dossale perduto o di un tabernacolo. Ambrogio mostra qui le sue migliori doti di analitico narratore e di indagatore prospettico:

indugia con naturalezza sulla vita quotidiana, azzarda figure volte di schiena, o che sbucano fra colonne di chiesa, sfida l’occhio in una spericolata prospettiva a spina di pesce nel paesaggio marino segnato all’orizzonte dal profilo delle vele al vento.

Ed è del tutto verosimile che per quest’opera, come poi racconta Vasari, l’artista senese abbia ricevuto immediata “reputazione infinita” da parte dei fiorentini, avvezzi all’essenzialità delle composizioni giottesche.

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Ottobre 2, 2019

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