I tre fratelli

Fiabe dalla remota India

Il patrimonio fiabesco dell’India, noto a noi occidentali anche grazie al filtro della letteratura araba (che, soprattutto nelle “Mille e una Notte”, attinge a piene mani dal patrimonio letterario del subcontinente asiatico), è in realtà in gran parte ancora tutto da scoprire.

Le favole dell’India si ispirano al mondo della natura, senza trascurare creature fantastiche e personaggi umani.

L’incanto ed il mistero del panteismo indiano, che venera tutte le forme di vita come espressione dell’Uno-Tutto cui dobbiamo ricongiungerci, permea anche la letteratura popolare, di cui i racconti che seguono costituiscono solo un piccolo esempio.

I TRE FRATELLI[1]

C’era una volta, in un paese lontano lontano che gli antichi conoscevano come la Civiltà della valle dell’Indo, un re molto famoso per il suo senso della giustizia e per l’amore nei confronti dei suoi sudditi.

In quel tempo, i sovrani venivano chiamati con il nome di Mogul e il più famoso tra tutti fu Jalaluddin Muhammad Akbar Timurid, che per comodità noi chiameremo semplicemente con il nome di Akbar.

Tutta la popolazione lo amava e gli tributava grandi onori, acclamandolo e gridando il suo nome in pubblico: “Allahu Akbar”.

Tale invocazione, è bene dirlo, aveva un duplice significato: se pronunciata nella lingua dei musulmani, una delle comunità più numerose dell’India, essa significa: “Dio è grande” e pertanto aveva anche un suo connotato religioso; nella lingua Hindi, parlata dalla maggior parte della popolazione, può essere interpretata anche come: “Akbar è un dio” e come tale essere accettata da tutti quanti amavano il sovrano.

Il grande Mogul aveva al suo seguito un ministro che lo aveva servito fedelmente per molto tempo ma che era ormai molto avanti negli anni e aveva espresso il desiderio di ritirarsi a vita privata, ragion per cui Akbar gli chiese se, per caso, poteva indicargli il nome di un possibile successore, possibilmente all’interno della sua stessa famiglia.

Il ministro ci pensò per un po’ e poi disse: “Mio Sovrano, innanzi tutto vi ringrazio per il grande onore che intendete concedere alla mia famiglia. Tuttavia, per potervi rispondere in maniera adeguata, è per me fondamentale comprendere che cosa vi aspettate dal vostro prossimo visir.

I miei tre figli, infatti, sono tutti quanti persone fidate ma hanno caratteri completamente diversi: il primo è forte e temerario, il secondo è sottile ed intelligente, il terzo invece è onesto e sincero”.

Akbar rimase stupito della sicurezza con cui il suo visir parlava dei suoi figli ma, per dirla tutta, dubitava che questi li potesse conoscere così bene; avendo percepito un certo scetticismo, il ministro del re chiese di essere messo alla prova e il Mogul non poté esimersi dall’accettare.

Il visir chiamò quindi in separata sede i suoi tre figli e domandò loro di cogliere per lui una rosa dai giardini del sultano: per capire meglio quanto fosse anomala una tale richiesta, dovete sapere che entrare nella dimora del sultano per sottrarre una qualsiasi delle sue proprietà era considerato un reato molto grave e come tale severamente punito.

Il visir, tuttavia, ribadì ai tre fratelli che il suo desiderio era quello di ricevere una delle rose proibite del sovrano e chiarì che, se fossero stati catturati, avrebbero potuto difendersi solo con la bocca.

I tre figli del ministro di Akbar non vollero sottrarsi alle volontà paterne e decisero quindi di entrare nei giardini del re.

Il primogenito del visir venne scoperto quasi subito nell’atto di sottrarre la rosa, ma non si perse d’animo: egli lanciò un forte urlo di guerra e si gettò addosso ad una delle guardie del re per mordergli l’orecchio; gettando tutti nel panico, riuscì così a fuggire e a sottrarsi alla giustizia del re.

Anche il secondo dei figli del ministro di Akbar venne scoperto e catturato, ma riuscì ad ingoiare la rosa senza essere visto, perchè nessuno potesse incolparlo.

Infine, anche l’ultimo dei fratelli venne catturato e condotto avanti al Mogul; alla presenza di Akbar, il giovane confessò in maniera molto franca di aver tentato di sottrarre una rosa dal giardino reale: “Mio sovrano, è vero che ho tentato di violare una delle tue leggi, ma è altresì vero che, avendo ricevuto un ordine opposto da mio padre (che ti ha servito fedelmente per anni ed anni), ho pensato che tu ne fossi a conoscenza”.

Il Mogul comprese che il suo fedelissimo servitore non si era ingannato sul carattere dei suoi figli; per questo motivo, egli designò il primogenito del primo ministro a capo del suo esercito, mentre il secondo venne nominato ambasciatore; il terzo, giovane ma saggio, prese invece il posto del padre come gran visir.

[1]    CASTELLI, Fiabe e leggende dell’India, Bussolengo (VR), Demetra, 1996.

di Daniele Bello

Aprile 4, 2017

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