IL FIUME E IL DESERTO – Parte ventisettesima: Energia

 

Luglio. Anno del Signore 1530.

 

Satanico capiva cosa poteva provare Iside nell’avere il pieno potere su una persona. Lui stesso sentiva un subdolo piacere nel vedere Ahmed ridotto a un burattino che ubbidiva a ogni suo ordine, meglio di un automo.

Da due giorni lo stava addestrando, come se fosse stato un cane. Gli esseri viventi non lo interessavano, ciononostante si sentiva in simbiosi con l’agente, come fosse stato una specie di amico.

La ragione era una e una sola: un giorno non lontano il cervello e la personalità di Ahmed sarebbero stati inseriti in un automo. E da quel giorno l’arabo sarebbe stato sia una cavia sia la guardia del corpo ideale. Il cadavere sarebbe stato gettato nel cratere del vulcano in Giapangu ma la sua anima sarebbe vissuta nel metallo in un’esistenza lunghissima, forse eterna.

Compatì lo schiavo, ancora prigioniero della carne immaginando il suo prossimo futuro in cui si sarebbe trovato in un lucente e metallico corpo. La differenza tra un automo normale e l’ibrido prossimo venturo era che, nonostante tutto, la parte umana sarebbe stata curiosa di evolvere la conoscenza. Già ora, Ahmed gli poneva domande, come un bambino curioso. Se si trattava di argomenti scientifici a cui lui era in grado di rispondere, lui lo faceva, tanta era la vanità di poter sentirsi più intelligente e sapiente. Quel giorno non faceva eccezione.

«Padrone,» chiese «come sarà possibile poter connettere il mio cervello con le parti meccaniche?»

Satanico non poté resistere e si alzò, aprì uno scaffale da cui estrasse dei disegni, che mostrò allo schiavo. Lo schizzo mostrava una specie di cilindro costruito con dischi circolari messi uno sopra l’altro.

«La pila magica, o la pila d’ambra, la pila elettrica. Vedi, Ahmed, ”elektron” in greco vuol dire ”ambra”. Sfregando l’ambra si genera questa energia che esiste in natura. La scoperse il greco Talete. Capisci, schiavo? Le energie esistono in natura. Guarda soltanto la combinazione tra fuoco e acqua che genera il vapore.

Si interruppe e fece un gesto eloquente imitando qualcosa che volava.

«Oggigiorno si vola perché stiamo domando la natura. E grazie alla lava abbiamo ora aeronavi ancora più grandi. Ed entro breve grazie a questa energia elettrica potremmo far rispondere le parti meccaniche di un automo agli impulsi del cervello.»

Lo guardò simulando ammirazione e terminò.

«Tu diverrai un ibrido tra materia, vita ed energia.»

                                                                           ***

Ahmed uscì dall’alloggio di quel pazzo megalomane. Era ora di informare il Doge sia su chi fosse Satanico che di questa storia dell’energia elettrica. Si diresse lesto verso il quartiere riservato alla regina. Le sentinelle beduine lo fermarono. Ahmed si inchinò annunciando.

«Chiedo umilmente di essere ricevuto da Sua Maestà.»

La guardia si precipitò al di là della porta e dopo pochi attimi venne invitato dentro.

Dopo essersi assicurata che le guardie non fossero in grado di udirla, Basma sussurrò

«Dimmi tutto.»

Ahmed si affrettò a informarla sui piani di Satanico e soprattutto dell’energia elettrica.

Lei scrisse tutto su un pezzo di carta. Infine lo pregò di uscire. Lui si affrettò, soddisfatto per il proprio operato.

                                                                          ***

Ferruccio Alberti, Doge della Serenissima Unione delle Repubbliche d’Italia si sentiva un incosciente e negli ultimi giorni era in dubbio se il suo senno lo stesse abbandonando. La guerra era imminente e lui sembrava preoccuparsi di altro. Innanzitutto lo ossessionava il progetto per arrivare sulla Luna.

Il tedesco che dirigeva il progetto, Arminius, un genio della balistica, lo informava che le cose stavano andando avanti ma si era ancora molto lontani dal poter vedere l’Uomo sbarcare sul satellite. I motori a vapore erano, secondo costui, troppo pesanti. Il grande passo nello spazio necessitava della ricerca di un motore molto più leggero. Il che richiedeva l’invenzione di una nuova fonte di energia generata da qualcosa che pesasse molto meno. Se solo Leonardo da Vinci fosse stato ancora vivo!

Ferruccio fidava della competenza degli ingegneri un tempo allievi del vinciano, ma sarebbero passati anni prima che qualcuno di loro venisse colpito dall’ispirazione della Musa Urania. Il mondo era ormai a un bivio.

Se le forze dell’Ombra avessero conquistato il mondo lui si sarebbe dato alla macchia per organizzare la resistenza. Se la Luce avesse vinto, avrebbe goduto per sì e no un decennio dell’armonia del mondo e forse del progredire del progetto per la Luna. Ma lui avrebbe perduto in ogni caso, contro il nemico peggiore: la vecchiaia.

I suoi mesti pensieri vennero interrotti dal bussare alla porta.

Non appena aprì, la vista di sua nipote sembrò un raggio di sole fare capolino tra nuvole nere. Oltre l’affetto, conosceva benissimo quell’espressione sbarazzina da adolescente, pur in quel volto ormai maturo. Nelle mani stringeva una lettera, aperta.

Lui la invitò a entrare. Grazie alle gambe artificiali i suoi passi furono veloci e lei faticò a seguirlo fino al divano. Non appena anche lei si fu accomodata, aprì la bocca, e annunciò la notizia che, gli occhi sembravano palesare fosse ottima.

«Fresca fresca dall’Egitto, scritta dal pugno di Basma e fatta arrivare qui per vie traverse, ma sicure.  Dio salvi la Regina. Ringrazia di essere seduto, nonno, perché se stessi in piedi potresti anche cadere per la sorpresa, in barba alle gambe di metallo.»

Tacque prima della raffica di informazioni che, lui sapeva, avrebbero forse fatto pesare la bilancia del corso della guerra a loro favore.

«Cominciamo con il vero nome del nostro arcangelo inventore di macchinari infernali: Gian Giacomo Caprotti.»

Bricconcella, questa proprio non se la sarebbe aspettata. Eppure era la risposta logica a ogni mistero. Ferruccio commentò, ancora sorpreso.

«Il discepolo di Leonardo da Vinci, chiamato Salai, piccolo Satana. Elementare, ha fatto tesoro degli insegnamenti del maestro, e in qualche modo l’ha superato.»

«Ci puoi credere, nonno. E adesso sta progettando la costruzione di un apparato capace di produrre un nuovo tipo di energia. Lui l’ha definita ”energia elettrica”. Naturalmente, conoscendo l’indole di quel demonio, la sta usando per un progetto perverso: trapiantare un cervello umano in un automo. E il nostro agente Ahmed sarebbe il prototipo per questo abomino. Sta recitando la parte in modo magistrale. Se vinceremo lo promuoverò di grado; se lo merita.»

                                                                        ***

Il Doge era in preda all’euforia; una fortuna, perché le sfide adesso erano aumentate. Questione di poco tempo e ci sarebbero stati scontri, combattimenti, cannonate, bombe e distruzione. La strategia più facile era quella di fare a pezzi le risorse del nemico, macchine e armi.

Ma adesso si trattava non di distruggere la scienza dell’avversario, bensì di impadronirsene. Quella pila elettrica doveva cadere intatta nelle mani delle forze della Luce. In un lampo pensò agli innumerevoli benefici che questa avrebbe apportato per il benessere dell’Umanità.

Immaginò macchine, automovili e aeronavi elettriche. Poi ripensò ad Arminius e al motore più leggero da costui teorizzato per il razzo per la Luna.  Poi, in uno sprazzo di egoismo non poté resistere alla tentazione di orchestrare un piano. E mentre compiva un balzo sulle gambe meccaniche urlò nella mente un pensiero: Gian Giacomo Caprotti, sei un genio del male. Trasformerò le tue creazioni diaboliche in qualcosa  di benefico.

Pensò che non era una cosa nuova. Nel lontano 1482 aveva sottratto i progetti di Leonardo a Ludovico Sforza, che li avrebbe usati per aumentare il proprio potere. Grazie a essi Venezia aveva unificato l’Italia. E Arminio, al secolo Hermann von Gelb, aveva progettato la rampa scavata sul fianco del vulcano per lanciare un missile distruttivo. E ora, pentito, la usava per il progetto Luna.

La tecnologia era una lama a doppio taglio. Il saggio la usava per il bene. Lo stesso valeva per i poteri extrasensoriali. Magia bianca o magia nera? A chi dare ascolto? Agli angeli o ai demoni?

                                                                     ***

Francesco I, Re di Francia e Sacro Romano Imperatore, era in piedi, sulla torre di prua dell’aeronave ammiraglia della squadriglia dell’ammiraglio Andrea Doria, che lo affiancava con aria di trionfo. Sotto di loro, tra una linea verde rigogliosa incorniciata da deserto giallognolo scorreva il Nilo.

Per ingannare i nemici e far credere che la squadriglia fosse in mano franco tedesca erano stati innalzati i vessilli coi gigli e l’aquila bicipite. Il re puntò il dito verso le costruzioni che si stagliavano nel deserto e, rivolto a Doria, declamò: «Ammiraglio, tra non molto dall’alto di quelle piramidi la Storia ci guarderà.»

CONTINUA…

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di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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