La guerra di Troia: il conflitto – 4di9

PARTE II

La guerra

Ulisse e Penelope, di Francesco Primaticcio

1.

Il porto di Aulide

 

Le forze degli Elleni si radunarono dunque nel porto di Aulide, in Beozia. Tutti i pretendenti spedirono i propri eserciti eccetto re Cinira di Cipro (egli spedì una flotta di cinquanta navi, di cui soltanto una era vera, mentre le altre erano di fango).

Si racconta che tra i nobili più restii a partecipare alla guerra vi fosse l’esponente della casa regnante di Itaca: Odisseo, figlio di Laerte, che pure era stato il consigliere principale di Tindaro e promotore del giuramento dei pretendenti alla mano di Elena.

Odisseo – lo ricordiamo – si era sposato con la saggia Penelope da cui aveva avuto un figlio, cui venne dato il nome di Telemaco. Per evitare di partecipare alla guerra, egli si finse pazzo e cominciò a seminare sale per i campi.

Venne perciò inviato in missione ad Itaca Palamede, re di Nauplia, famoso per il suo ingegno; egli, giunto nell’isola, afferrò il piccolo Telemaco e lo posizionò nel solco su cui stava passando Odisseo, intento a dissimulare la sua presunta follia; non volendo uccidere il figlio passandoci sopra con la lama dell’aratro, l’erede al trono di Itaca cambiò tragitto, rivelando in questo modo di essere sano di mente e quindi in grado di partecipare alla guerra.

Il giovane Achille, che all’epoca dell’adunata in Aulide aveva solo quindici anni, era stato invece nascosto dalla madre nell’isola di Sciro, mascherato con abiti femminili per non essere riconosciuto dai messaggeri inviati da Agamennone (la ninfa Teti intendeva in questo modo scongiurare l’avverarsi della profezia che aveva predetto una vita breve e gloriosa per il figlio di Peleo).

Gli storici ci riferiscono che a Sciro Achille ebbe una storia con Deidamia, la figlia del re dell’isola Licomede, la quale gli diede un figlio cui venne dato il nome di Pirro (o Neottòlemo); avremo modo di parlare di lui nel corso della nostra storia.

Secondo la leggenda si recarono nell’isola Odisseo e il suo fedele amico Diomede, reggitore di Argo, allo scopo di persuadere il giovane Achille a partire per Troia.

Odisseo si spacciò per mercante e portò con sé un cesto contenente ornamenti femminili e una spada. Le fanciulle di Sciro accorsero per ammirare i gioielli e i vestiti che il misterioso viaggiatore aveva portato con sé: solo una fanciulla si mostrò invece interessata all’arma e si rivelò quindi per chi era realmente: il figlio di Peleo travestito da donna.

Odisseo e Diomede utilizzarono tutta la loro eloquenza per convincere Achille a prendere le armi e vendicare l’oltraggio di Paride (il rampollo di Laerte, in particolare, era maestro nell’arte della persuasione); il figlio di Teti, in realtà, si fece pregare ben poco e decise di partire alla volta di Aulide.

Gli Eacidi

L’ultimo comandante a giungere al raduno fu quindi il giovane Achille, assieme al fedele amico Patroclo. Le forze degli Elleni vengono descritte in dettaglio nell’Iliade di Omero nel cosiddetto “Catalogo delle navi”; noi ci limiteremo a menzionare solo i condottieri più famosi.

La famiglia dei Pelopidi la faceva da padrone con Agamennone, re di Micene (nonché signore dell’Argolide, dell’Arcadia e della Corinzia), e Menelao, re di Sparta e signore della Laconia.

Poi vi era il forte Diomede, figlio di Tideo, il quale pur potendo vantare il titolo di re d’Argo era in realtà un vassallo di Agamennone ed esercitava un dominio diretto su una sola parte dell’Argolide[1].

Partecipò alla guerra anche Odisseo, signore delle isole occidentali (Itaca, Zacinto e Cefalonia); il vecchio e saggio Nestore, re di Pilo e signore della Messenia; Achille e il suo esercito di Mirmidoni[2], al comando della Ftiotide; Toante, re dell’Etolia; Idomeneo, re di Creta e nipote di Minosse; Tlepolemo, principe di Rodi; il valoroso ma arrogante Aiace Oileo, principe della Locride; Protesilao, re di Filache; Palamede, principe di Nauplia (nell’Eubea); Tersandro, re di Tebe[3], ed altri centri minori della Beozia; anche l’Attica diede il suo contributo con Menesteo, re di Atene, e con i due principi di Salamina, figli di Telamone: il fortissimo Aiace Telamonio e l’abilissimo arciere Teucro.

Faceva parte della spedizione anche Filottete, il quale non poteva vantare un blasone regale ma era noto in tutta la terra di Grecia per la sua abilità nell’uso dell’arco, avendo egli ereditato le armi di Eracle (Ercole)[4].

Filottete

Omero cita anche numerosi altri nobili condottieri provenienti da Samo, dalle isole Sporadi, nonché dalle città indipendenti dell’Arcadia, dell’Elide, della Focide, della Locride, della Tessaglia e dell’Eubea; ragioni di tempo e di spazio ci impediscono, ovviamente, di andare troppo in dettaglio (anche per non annoiare il lettore, già forse provato dai troppi personaggi…)[5].

Completavano la spedizione il medico Macaone e l’indovino Calcante, quest’ultimo destinato ad un ruolo tristemente decisivo per le sorti della guerra.

Mentre gli Elleni sacrificavano al dio Apollo per confermare il proprio giuramento, un serpente divorò gli otto piccoli di un nido di passeri e la loro madre; secondo Calcante questo evento era un sinistro presagio: la guerra sarebbe durata a lungo.

2.

Telefo e la Misia

Telefo

 Le navi salparono quindi dal porto di Aulide per raggiungere la città di Troia; l’imbarazzo dei Greci, nel narrare l’episodio che sto per raccontare, è evidente tanto è vero che alcuni storici omettono spudoratamente di farne menzione; la verità è che gli Elleni, a quell’epoca, non avevano grandissima dimestichezza con i viaggi per mare e nessuno conosceva con esattezza la rotta per Troia.

Alla fine di un lungo viaggio, dunque, la flotta dei Greci approdò in Misia, una regione dell’Asia Minore, dove regnava Telefo, figlio di Eracle.

Gli Elleni attaccarono subito battaglia e, nello scontro che ne seguì, perse la vita Tersandro, il re di Tebe, mentre il re di Misia venne ferito da Achille; ben presto, tuttavia, l’esercito al comando di Agamennone si rese conto del terribile errore commesso e ripiegò verso la costa: le navi presero ancora una volta il largo ma, non riuscendo a trovare la città di Troia, non poterono fare a meno di ritornare in terra di Grecia.

Dopo quello scontro cruento, il re Telefo rimase gravemente menomato: egli non riusciva infatti a guarire dalla ferita causatagli dal figlio di Peleo; per quanti sforzi facessero i suoi medici, la piaga non si rimarginava e gli provocava terribili dolori.

Un oracolo gli predisse che solamente colui che l’aveva ferito sarebbe stato in grado di guarirlo. Telefo si recò quindi in Grecia, travestito da mercante, e si diresse alla corte di Agamennone chiedendo di poter essere guarito.

Su consiglio di Odisseo, Achille riuscì a guarire il re di Misia raschiando sulla ferita alcuni frammenti della lancia con cui l’aveva colpito: la piaga si rimarginò miracolosamente. Per gratitudine, Telefo mostrò agli Elleni la rotta giusta per giungere a Troia.

Achille guarisce re Misia

[1]    Per ulteriori dettagli, si rimanda all’Appendice nella quale, oltre alle imprese di Perseo, si narra anche della casa reale di Argo e Tirinto.
[2]     Erano un antico popolo della Tessaglia. Secondo la tradizione il popolo traeva il nome dalle formiche (in greco: myrmes), trasformate in uomini da Zeus su preghiera di Eaco, per ripopolare l’isola di Egina devastata da una pestilenza; essi avevano poi seguito Peleo, figlio di Eaco, esule a      Ftia.
[3]    La città di Tebe, un tempo uno dei centri urbani più fiorenti della Grecia, stava vivendo all’epoca delle guerra di Troia un periodo di decadenza; la città era stata infatti dilaniata da una lunga guerra civile che aveva opposto i due eredi al trono, Eteocle e Polinice (figli di Edipo). Il conflitto era culminato con l’assedio della città da parte di Polinice, il quale dopo essere stato esiliato dal fratello si era alleato con altri sei nobili condottieri (tra cui Adrasto, re d’Argo) per riprendersi il trono: la famosa guerra dei ‘Sette contro Tebe’. La guerra finì con il sacco della città ad opera di Tersandro, figlio di Polinice.
[4]    Secondo la tradizione, infatti, il grande eroe e semidio Eracle decise di porre fine alle atroci sofferenze che gli aveva causato un sortilegio erigendo per se stesso una pira funebre. Nessuno, tuttavia, ebbe il coraggio di appiccare il fuoco per aiutare l’eroe a morire, tranne un pastore di nome Peante, cui Eracle donò per gratitudine il suo arco e le sue frecce.
     Le armi vennero poi trasmesse a Filottete, figlio primogenito di Peante.
     La morte di Eracle è argomento di una tragedia di Sofocle, “Le Trachinie”.
[5]    Per chi avesse voglia di approfondire, si rimanda al secondo Libro dell’Iliade ovvero alla lettura del sito: http://it.wikipedia.org/wiki/Catalogo_delle_navi

← Capitolo precedente                                           Capitolo successivo→

Torna all’inizio

di Daniele Bello

Dicembre 19, 2017

Tag:

Lascia un commento