La lancia dei due mondi

La lancia dei due mondi, racconto di Paolo Ninzatti

Marzo. Anno del Signore 1519

 

Il bosco era ancora chiazzato dei resti della neve dell’inverno appena trascorso. Sui monti, la primavera giungeva un po’ in ritardo.  Da dietro gli abeti si vedeva, lontana, la cima fumante del vulcano Redondo, un’anomalia in quella valle delle Alpi Orobie.

Ma Fulvia sapeva che dietro il finto fumo del monte si celava in realtà la fabbrica segreta delle macchine create da Leonardo da Vinci. L’aveva udito dai discorsi materni. Anna sosteneva di averlo sentito dalla mente della genitrice.

Fulvia, pur affezionanissima all’amica aveva troppo i piedi per terra per credere alle fantasie di unioni spirituali. Aveva accettato di seguirla soltanto per pura amicizia, in quello che Anna credeva un bosco incantato dove il nonno presunto mago evocava spiriti di antichi guerrieri.

Fioravante era a caccia e Anna stringeva la lancia magica che, secondo l’uomo, evocava immagini di un altro mondo.

La cosa eccitava Fulvia, più che altro per la sfida di aver preso in prestito quell’arma celta all’insaputa del vecchio. Che da quelle parti in tempi antichi fosse vissuta una tribù di quella stirpe non significava che il cacciatore fosse un druido, un prete mago.

Anna si fermò, risoluta. Sollevò la lancia verso il cielo. La punta dell’arma baluginò al sole al tramonto. Chiuse gli occhi, rimanendo immobile, quasi si fosse addormentata in piedi, come i cavalli.

Anna vide i contorni nitidi del paesaggio da favola illuminato dal sole nascente. Nell’altro mondo era evidentemente mattina presto. La città incantata ricordava descrizioni dell’antico Egitto.

Due templi gemelli in cima a una piramide si stagliavano, imponenti. Altre costruzioni si affacciavano ai canali che solcavano la città, vastissima. In sottofondo, due vulcani dalle cime innevate fumavano. Udì il vocio di gente che brulicava per le strade, indaffarata in attività mattutine, uomini e donne vestiti in maniera strana e dalla pelle di un rossiccio scurissimo.

La sensazione di aver già visto qualcosa del genere ruppe un po’ l’incanto e l’illusione che quella fosse la leggendaria Avalon di cui nonno Fioravante aveva spesso accennato. La gente color terracotta era ormai qualcosa che faceva parte della sua vita.

La delusione che l’altro mondo non si trovasse in cielo venne compensata dalla conferma che l’unione spirituale con sua madre fosse stata amplificata dalla magia della lancia. Le visioni solitamente annebbiate e vaghe erano ora vicine e chiare, quasi lei si trovasse là, all’interno del corpo materno.

Due cuori battevano all’unisono, madre e figlia. Estasi e amore. E anche nervosismo. Mamma Artemide si trovava nascosta sul terrazzo di una costruzione alta, intenta a spiare. Non era sola. La genitrice voltò la testa e Anna vide, chiaro e distinto, il volto della madre di Fulvia, dall’aria guardinga. Udì tramite le orecchie di Artemide.

“Ne hanno appena accoppato un altro!” disse Atena. “Mi viene il voltastomaco. È stato un errore attendere il sorgere del sole. Occhio non vede cuore non duole. Da questi qua ci sarebbe così tanto da imparare se non fosse per quei sacrifici umani.”

La voce della mamma rispose e Anna sentì una cascata di amore percorrerle lo spirito.

“Bisognerebbe escogitare un trucco da baraccone per convincerli a piantarla, come due anni fa in quel villaggio: un paio di colpi di archibugio e ci scambiano per dee. Una superstizione per eliminarne un’altra.”

“Non potresti usare i tuoi veri poteri?”

“Sono limitata, dovrei entrare in sintonia con un sensitivo. Un santone vero. Non è facile trovarlo tra questi finti sciamani.”

“Come il buon Fioravante e la sua lancia magica.”

“Mio padre è uno dei pochi ad avere tali poteri, oltretutto amplificati dalla lancia, fatta di un legno consacrato da un antico druido. Un talismano, come del resto il regalo di tuo nonno.”

Anna vide il dito della madre puntare verso un ciondolo dorato appeso al collo di Atena, rappresentante un mezzo sole con sette raggi.”

“Magari funzionasse!”

“Funziona con me. La sua vicinanza mi dà visioni, perché sono figlia di Fioravante e ho ereditato i suoi poteri, ma, ripeto, sono limitati. Quanto vorrei vedere cosa sta accadendo in patria, come sta Anna. Quanto mi manca la mia bimba!”

Sapessi quanto ti sono vicina in questo momento, mamma pensò Anna. Ma il messaggio rimase senza risposta.

Di colpo, carpì lo spavento di sua madre, i cui occhi fissavano ora una decina di uomini color terracotta dall’aria aggressiva.

La mamma, l’indomita agente Artemide, aveva paura. In un attimo imparò che il coraggio non era la mancanza di timore, bensì la forza di saperlo vincere.

Vide gli uomini armati di lancia avanzare. Udì Atena parlare loro in una strana lingua. Il cuore materno batteva come un tamburo come fosse il proprio. Infine vide con orrore gli uomini rossicci scagliare le lance, che trafissero sua madre e quella di Fulvia.

Un attimo dopo la scena cambiò e la bimba vide gli stranieri posare le armi e inchinarsi davanti alla mamma. Realizzò che la prima visione era stata solo un’illusione evocata dalla paura di Artemide, che lei era riuscita a domare. Quanto era forte la sua mamma! E anche quella di Fulvia.

Un attimo dopo la genitrice salì in cielo. Lo capì vedendo che il tetto del palazzo, gli uomini ancora prostrati e il resto della città si facevano sempre più piccoli. Volò insieme alla madre e anche ad Atena. Come era possibile?

Per un attimo temette che la scena degli uomini inchinati fosse un’illusione e in realtà Artemide e Atena fossero state uccise e ora stessero per raggiungere il Paradiso. Poi vide la fune attaccata a una cintura stretta attorno alla vita di Atena. Palese che qualcosa le stesse issando in cielo.

Gli occhi materni si alzarono visualizzando una nuvola bianca. Un secondo dopo una caligine oscurò tutto. Ma solo per un fuggente attimo. La nuvola bianca nascondeva una nave volante.

Un modello mai visto. Vide un boccaporto aprirsi e la mamma e Atena salire a bordo dell’aeronave, venire accolte da un gruppo di uomini. Tra di loro c’era suo padre, vestito da condottiero e anche il papà di Fulvia, con l’uniforme di capitano dell’Aeronautica. Com’erano belli!

Vide la mamma abbracciare Francesco e Atena Angelo. La nostalgia della propria famiglia svanì, ora che era come essere lì con loro, presente e, meglio di tutto, al sicuro sulla grande nave dei cieli, lontano dalle lance degli stranieri rossi.

Ora che il pericolo era passato, Anna si paciugò che il gioco delle spie si era esteso nell’altro mondo e aveva ora appreso cose negate ai più. E dai discorsi con papà e Angelo stava ora imparando che quella città si chiamava Tenochtitlan ed era capitale dell’Impero Mexica.

“Bisogna andare! Si sta facendo buio!” urlò una voce fuori campo. Non capiva. Il sole brillava attraverso i finestrini dell’aeronave. Si sentì scrollare. Ma nessuno stava toccando Artemide. Eppure sentì forti mani che si stringevano alle sue spalle. Le visioni si fecero più sfocate. La cabina di comando della macchina volante, mamma, papà, Atena, Angelo, gli altri aeronauti svanirono lasciando posto a un bosco illuminato dall’ultimo raggio di sole davanti alle ombre della sera che avanzavano.

Fulvia riuscì a svegliare Anna da quel sonno innaturale a furia di scossoni. L’amica  aprì le mani e la lancia cadde al suolo. Fulvia la raccolse e la impugnò, dichiarando: «Questa ci difenderà da qualsiasi cosa salti fuori dalle tenebre. Corriamo, prima che faccia buio del tutto.»

«Gli unici pericoli sono la romanzina della nonna per il ritardo o quella del nonno se scopre che ho usato il suo talismano…»

Si interruppe allo sguardo scettico di Fulvia e continuò a correre. Strada facendo le raccontò tutto quello che aveva vissuto. Fulvia non credette a una parola. Anna era rimasta addormentata soltanto pochi minuti.

Ma anche avesse sognato per un’ora, doveva ammettere che la fantasia dell’amica era sconfinata: l’alba al tramonto, le piramidi, gli uomini rossicci, le loro mamme appese alle corde come saltimbanchi e i papà su una nave di modello mai costruito sui cieli d’America. La nostalgia dei genitori faceva brutti scherzi. A undici anni era ora di finirla con le fantasie.

Arrivarono al capanno di caccia di Fioravante. Rimisero la lancia dove l’avevano trovata. Infine corsero a casa dell’amica dove la nonna di Anna le aspettava davanti alla porta con aria preoccupata. La minaccia di scapaccioni si trasformò in un abbraccio amorevole. Quella sì che era magia!

di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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