La statua di Minerva

Loretta

Ottobre. Anno del Signore 1529

Il vaporetto navigava sbuffando per il Canal Grande. Luna d’Argento guardava i palazzi che incorniciavano la strada acquosa di quella versione aliena di Tenochtitlan, meno imponente ma ugualmente affascinante, pensando a un gemellaggio con gli antenati degli abitanti della capitale d’Italia.

Venezia era sorta come Tenochtitlan, eretta dalla voglia di sopravvivere, da profughi disperati, destinata in seguito a dirigere le sorti di una potenza. Gente anfibia, sia i mexica che i veneziani, non sarebbero affondati tanto facilmente. L’acqua, elemento vitale, proteggeva, come la placenta il feto.

Acqua, terra e cielo sembravano fondersi nei simboli di ambo le potenze alleate. Le ali dell’Aquila appollaiata sul Cactus, vessillo dei mexica, non erano meno possenti di quelle del Leone di San Marco, la bandiera d’Italia. I cipigli del felino e dell’uccello sembravano voler ammonire ogni nemico.

Il vaporetto attraccò a Piazza San Marco e il Palazzo Ducale si stagliò, apparentemente fragile se paragonato alla possenza angolosa della Grande Piramide della sua città natale. Ma la presenza di armigeri armati davanti al portone e un archibugio a mitraglia piazzato sul tetto facevano buona guardia.

Era necessario, specialmente dopo il fallito attentato al doge del mese addietro. Se non fosse stata accompagnata da Atena, che per tutto il percorso per i canali della città aveva mantenuto il silenzio lasciandola ammirare le bellezze della capitale, come lei a suo tempo aveva ammirato quelle di Tenochtitlan, le guardie l’avrebbero di sicuro fermata. Ma alla vista del capo dello spionaggio italiano e nipote del doge si misero sull’attenti.

Le due donne fecero il loro ingresso nel palazzo. Percorsero i corridoi pieni di statue e dipinti. Luna d’Argento notò subito che i simboli religiosi latitavano, se si faceva eccezione per qualche ritratto della loro dea vergine, Maria. Prima dell’arrivo degli italiani, i mexica erano purtroppo dediti a un fanatismo religioso che dirigeva la vita quotidiana.

Una deviazione mendace del loro credo aveva per decenni indotto il suo fiero popolo a compiere sacrifici umani ogni giorno. Gli italiani, come del resto gli altri europei, spagnoli compresi, non solevano strappare cuori a giovani per offrirli al loro unico Dio. In compenso avevano anch’essi deviato la parola del loro profeta, e i roghi dell’Inquisizione, non un’offerta ma una condanna, avevano mandato alla morte migliaia di persone.

Luna doveva ammettere che la cultura americana accettava la magia, mentre quella europea la temeva. Lei stessa, se fosse vissuta in Europa, prima che la  nuova cultura della Rinascenza prendesse piede, avrebbe rischiato di finire bruciata viva come strega. Ora, invece, grazie alle sue facoltà, era stata invitata dal doge, che, oltre alla gratitudine per avergli salvata la vita, mirava a far tesoro dei suoi poteri vaticinanti.

Non appena le due sentinelle armate di archibugi fecero il presentat arm, Atena aprì lei stessa la porta della sala.

Prima ancora di notare il doge, seduto su un tronetto, gli occhi di Luna videro un’altra Atena, in piedi nell’angolo, vestita di una tunica lunga, con in testa un elmo, in mano una lancia e uno scudo, oltre a una corta spada inun fodero appeso a una cintura di cuoio. L’ondulata chioma marrone ramato era più ordinata di quella della gemella in calzebraghe e stivali che l’affiancava. Atena indicò la sosia immobile con un gesto tipicamente italiano che lei sapeva significare, “che cosè?”

La risposta del doge era rivolta a Luna, l’ospite d’onore.

«Minerva è la dea protettrice dell’Italia, Luna d’Argento, come Huitzilopoctli lo è per il tuo popolo.

La sua statua è il dono giunto ieri da parte di un artista, certo Arcangelo da Caprera. I capelli sono filigrana, la tunica è di seta cinese e il metallo del corpo è ricavato da armature dei nemici caduti durante le guerre recenti. L’artista ha voluto simboleggiare la pace e il perdono a chi ci fu avversario.»

Si raschiò la voce e aggiunse: «Ma vieni vicino, figliola e accomodati.»

Indicò un divano.

«Ottomana, regalo del sultano turco, nostro alleato.»

Il doge iniziò ringraziando ancora una volta Luna per l’intervento che aveva impedito l’attentato.

«Luna d’Argento, entro breve saremo costretti a intraprendere una spedizione pericolosa in un paese lontano. Un viaggio lunghissimo. Ma prima dovremo farne un altro, più importante. Quello con lo spirito, che ci darà più saggezza. Fioravante, Artemide, Anna, Suor Gudrun, hanno poteri magici. Siamo ora in possesso di talismani che ci aiuteranno per la nostra spedizione verso universi sconosciuti.

Ma la tua facoltà di vedere il presente e il futuro nei differenti sviluppi del destino è unico. Torneremo insieme nel chiostro di Santa Maria Veggente a Padova, con la Corazza della Valchiria, lo Scudo di Canuto, l’Elmo di Odino e il Pugnale di Kalì. Con te al nostro fianco intraprenderemo un viaggio mai compiuto da alcuno. Sperabimente riusciremo a scoprire chi si nasconde dietro il complotto in Giapangu e carpiremo i loro segreti, imparando a evitare errori.

Uniti, saremo invinc…»

Si interruppe al suono di un ticchettio. Erano soli nella sala. Credevano, ma l’ombra che si mosse alle loro spalle dimostrò il contrario. Minerva si nuoveva, camminando a scatti, mentre le sue mani impugnavano la lancia puntandola minacciosamente in avanti e coprendosi con lo scudo quadrato.

«Un automo!» esclamò esterrefatto il doge «Attivato da un congegno a orologeria.»

Atena e Luna si alzarono e spinsero il divano per ostacolare l’avanzata dell’oplita meccanico.

Il doge azionò il trono a rotelle che iniziò a emettere sbuffi di vapore con un fracasso notevole, aggirando in breve l’ottomana. La testa della Minerva meccanica si voltò seguendo i movimenti del trono. Il torso si girò anch’esso. Alzò la lancia.

Atena si gettò verso il trono afferrò la tonaca dogale del nonno e lo scaraventò a terra, trascinandolo per il pavimento, mentre il sedile mobile proseguiva il suo sbuffante giro per la sala. Minerva lanciò e la punta dell’arma si conficcò sullo schienale del trono passandolo da parte a parte.

«Spiacente Luna, ma questa volta tocca a me salvare la vitaccia al nonnino. Guarda.»

Prese un vaso e lo lanciò contro il muro. Minerva voltò la testa in direzione del rumore.

«Quell’Arcangelo deve avere applicato un apparato acustico sensibile a ogni rumore e l’automo si gira a ogni suono. Se stiamo zitti la scampiamo.»

Minerva si fermò come se le sue orecchie meccaniche cercassero di udire nel silenzio caduto dopo il frentumarsi del vaso contro la parete. La porta si aprì e le due guardie irruppero nella sala. Minerva si animò, sfoderò il gladio e cominciò ad agitarlo contro i soldati.

«Uscite e chiudete la porta!» ordinò Atena.

I militi ubbidirono e la lama colpì il legno, con tanta forza che non riuscì più a estrarla.

«Mentre la nostra amica cerca di estrarre il suo Excalubur è bloccata, sbrighiamoci!»

Atena sfoderò la lunga spada e si lanciò contro la statua. Un colpo ben azzeccato al collo, un po’ sotto l’elmo dove la testa girava, la impalò al legno della porta. Un ticchettio segnalò che gli ingranaggi erano stati danneggiati.

«Bene, suggerì Atena. Ora che la mia gemella testadiferro è messa fuori combattimento vediamo di ingannare il nostro Arcangelo, che sicuramente si trova nelle vicinanze per sapere se la sua amica metallica ha ammazzato il nonno.»

Atena tolse la tunica a Minerva e la indossò, mentre Luna vestiva l’automo con la tunica e il copricapo del doge, paralizzato a terra. Poi piazzarono il finto doge sul tronetto. La finta Minerva camminò come un automo verso il balcone, spingendo il sedile. Non appena giunta al parapetto attivò il comando che faceva elevare e catapultare. Il finto doge si schiantò sul selciato della piazza. La gente si ritrasse inorridita. Solo una figura vestita in un mantello nero rimase ferma, come un artista che ammirasse un’opera appena compiuta. Poi, con passo svelto si allontanò.

«Seguilo Luna. Ma con discrezione» ordinò Atena e l’americana corse per i corridoi del palazzo e  uscì. Arcangelo era ancora in vista e lei l’avrebbe pedinato. Questi si voltò e Luna vide un volto sbarbato, estremamente bello e un sorriso sornione. Un attimo dopo, dal presunto cadavere del doge uscì una strana nuvola.  Il sorriso di Arcangelo divenne una grinta delusa. Atena, dal balcone urlò: «State lontani da quei fumi velenosi!»

Un attimo di distrazione e Arcangelo si mise a correre, sparendo dalla sua vista.

Luna descrisse il volto del sicario ad Atena, che commentò: «Un bel tenebroso. I seguaci dell’Ombra possiedono la nostra tecnologia, ora. Come siano riusciti è ancora un mistero. Ma hanno fallito di nuovo. La Luce abbaglierà i nostri avversari illuminando le tenebre e sconfiggendoli.»

di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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