Le origini dell’astrologia

Le osservazioni degli astri e le interpretazioni divinatorie dei Sumeri, degli Assiri e dei Babilonesi hanno lasciato segni indelebili
nelle tradizioni magiche occidentali.
Di fatto, le principali arti mantiche praticate ai nostri giorni
hanno le loro radici nella cultura astrologica
del popolo mesopotamico.

Le origini dell'astrologia

Sin dalle origini della civiltà sumera, intorno all’anno 3200 a. C., durante i riti divinatori gli indovini chiamavano in loro aiuto numerose divinità. Questa abitudine si conservò intatta durante gli anni dell’Impero babilonese e assiro (compresi fra il 1890 e il 539 a. C.), anche se i nomi delle costellazioni, come quello degli dei, subirono delle modifiche.

I successori dei Sumeri invocavano Shamash, dio sel Sole, Adad, dio delle tempeste e Anu, dio del cielo. Anche le divinità dei pianeti ebbero un ruolo fondamentale, poiché si credeva che influissero direttamente sulla vita umana: Marduk, il creatore, signore di Giove, era il protettore della salute; Sin, dio della Luna, regolava i cicli naturali; Nergal, signore di Marte, era il dio della guerra; Istar, signora di Venere, dominava i sentimenti umani e tutelava la vegetazione, e Ninurtu, signore di Nettuno, era il protettore dei saggi e il custode della sorte degli esseri umani e per questo era rappresentato solitamente con in mano uno stiletto e una tavoletta su cui era scritto il futuro.

Si credeva che queste divinità lasciassero l’impronta del loro carattere sugli elementi della natura. Ma era soprattutto il cielo notturno il luogo in cui gli indovini cercavano i segnali degli avvenimenti stabiliti dagli dei.

Rilievo del 1500 a.C. circa, che rappresenta Marduk, capo del pantheon mesopotamico, dio supremo di Babilonia, legislatore, divinità del destino e centro di culti misterici.

UN’OPERA FONDAMENTALE

La fonte principale per la conoscenza dell’astrologia mesopotamica è un’opera rinvenuta nell’antica città di Ninive, fra i resti del palazzo di Assurbanipal (668 – 626 a. C.).

Quest’opera, composta originariamente di da circa 70 tavolette di argilla, venne intitolata dagli archeologi Enuma Anu Enlil, che significa “Quando Anu Enlil”, parole con cui inizia il testo. Vi sono indizi che questo trattato sia antichissimo; inoltre, si sa che Assiri e Babilonesi facevano risalire le loro nozioni a “un’antichità atemporale”, il che significa che può riferirsi perlomeno a circa duemila anni prima, all’epoca sumera.

Il contenuto di quest’opera è ordinato sistematicamente. Le prime 22 tavolette contengono profezie basate sui movimenti di Sin, la Luna; presagi suggeriti dall’apparizione di Shamash, il Sole; la direzione dei venti e altri fenomeni metereologici, così come osservazioni relative ai pianeti di Nergal, Istar, Marduk e Ninurtu.

In Enuma Anu Enlil non esistono oroscopi individuali, ma solo in relazione al paese nella sua totalità o al suo sovrano; tuttavia, contiene predizioni di tempeste, inondazioni, siccità, raccolti buoni o cattivi, attacchi di animali selvaggi, malattie, guerre, rivoluzioni e cambi di dinastia.

Tavola dell’ Enuma Anu Enlil. British Museum

LE COSTELLAZIONI 

Nella cultura mesopotamica, la conoscenza dell'”inclinazioni” dei corpi celesti era fondamentale per i sacerdoti, poiché, una volta identificato il cattivo presagio, si cercava di scongiurarlo con riti, preghiere ed esorcismi.

Gli astrologi assiri e babilonesi mostravano una speciale predilezione per alcune costellazioni; ad esempio, le “sette sorelle”, come chiamavano le Pleiadi, che incidevano sulla pietra come talismani.

Il re Assurbanipal e probabilmente anche i suoi antenati invocavano, durante i riti divinatori, Uranna, termine sumero che i Greci trasformarono poi in Orione, con queste parole: Parla e che i grandi dei siano con te! Alzati per pronunciare il tuo oracolo!”

Un ruolo importante nelle predizioni astrologiche lo svolgevano alcune costellazioni, che giravano attorno a un asse ideale che, a detta degli esperti, univa la Terra al cielo.

A ogni gruppo di queste costellazioni era collegato un mese, secondo la sua posizione rispetto al sorgere del sole; all’inizio erano undici gruppi, dato che Giseren, la Bilancia, era considerata un’appendice di Zibanitu, lo Scorpione. Le principali erano Suhurmasshu, “il pesce-capra”, che si chiamò poi Capricorno e Alluttu, “il granchio”, ovvero, Cancro.

Il primo era in relazione con il solstizio d’inverno, e veniva chiamato “Porta degli Dei”, perché indicava il momento in cui il giorno iniziava ad allungarsi; il secondo con il solstizio d’estate. I miti astrologici mesopotamici furono conosciuti in Grecia grazie all’opera Historias babilonias, scritta da un sacerdote babilonese chiamato Betos, che, intorno al 1800 a. C., si trasferì sull’isola di Cos, nel mar Egeo, dove fondò una scuola astrologica.

A partire da quel momento, le undici costellazioni, che poi divennero dodici, vennero chiamate in Occidente Zodiakos, che significa “figure animali”, e in questo modo sono arrivate sino ai nostri giorni.

I Greci appresero dai popoli mesopotamici non solo a effettuare tutto l’impressionante complesso di osservazioni astronomiche, che avrebbero posto le basi per le future scienze dell’Universo, ma anche qualcosa di fondamentale per le pratiche divinatorie: l’astrologia giudiziaria, cioè, l’arte di predire il futuro secondo il movimento degli astri.

Un’altra pietra miliare fu la compilazione del Libro di Nejepso-Petosiris, un trattato di astrologia egizia scritto ad Alessandria verso il 150 a. C. A quell’epoca risale, inoltre, la fusione dei due sistemi astrologici: quello babilonese e quello egizio, su cui si basa l’astrologia occidentale.

Zamuk, la festa del Buon Futuro

Ogni anno, all’arrivo dell’equinozio di primavera, i popoli assiro e babilonese celebravano l’Akitu, un rito propiziatorio del nuovo anno. Le feste duravano dodici giorni e durante questo periodo i sacerdoti recitavano molte volte l’Enuma Elish, il poema della creazione del mondo .

Esso, evocava il combattimento fra Marduk e il mostro marino Tiamat, o la creazione dell’umanità a partire dal sangue del demonio Kingu, a cui Tiamat aveva affidato le tavolette del futuro dell’umanità.

Una delle feste che si celebravano era quella del Buon Futuro; in questo caso non si trattava di una semplice consultazione del cielo destinata a scoprire l’avvenire del Paese, bensì di una vera “violazione dei cieli”, poiché i sacerdoti, con i loro riti propiziatori diretti agli dei, localizzavano, con o senza il loro consenso, gli eventi di ognuno dei dodici mesi dell’anno a venire.

Leggi anche L’astrologia araba

Tratto dalle opere a fascicoli “Il grande libro della divinazione”, Spagna 2003

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