Lo scudo vichingo

Luglio. Anno del Signore 1528

Dalla grande finestra blu cobalto del salone i pesci sbirciavano, per poi nuotare via veloci. La riunione era segreta eppure Gudrun aveva l’impressione che il mondo li stesse osservando.

La monaca non era mai stata a bordo di un submarem e neppure di un’aeronave. Ne aveva sentito parlare, ma le moderne macchine erano qualcosa di molto lontano dalla realtà uniforme e senza tempo del convento. Ma ora che era entrata a far parte della spedizione era stata compensata della sue mancate esperienze nel giro di un mese.

Il Proteus era una combinazione di ambo le macchine. Atena le aveva rivelato che quello era  l’unico esemplare mai costruito.

In quel momento stavano navigando in immersione e, all’infuori dei pesci, nessuno avrebbe saputo della loro presenza al largo della Danimarca.

Fioravante e le cinque suore erano in attesa. Aveva sempre avuto l’impressione che a bordo si trovassero altri passeggeri, oltre all’equipaggio, ma ora due sedie pronte confermavano che si stava aspettando qualcuno.

Un clangore metallico scandito si avvicinò. Strano, i tappeti e le suole attutivano il rumore sul pavimento ferragno. La porta si aprì automaticamente grazie a congegni a vapore e qualcuno, o qualcosa, fece la sua entrata.

Aveva sentito parlare degli automini, macchine a forma umana, ma quando dall’elmo che copriva il volto dell’essere uscì un saluto dal tono autorevole e cortese, Gudrun rimase sbilanciata. Nonostante il passo poco umano e gli sbuffi di vapore che uscivano da sotto il mantello della persona, le gambe erano veloci e agili.

Un paio di falcate e l’uomo raggiunse lo scranno e si sedette.

Fu Atena a presentare Sorella Gudrun all’uomo e quest’ultimo a lei.

«Agente Gambadiferro.»

Mancava l’ultimo ospite. Un canto e il suono di uno strumento nel corridoio ne segnalarono l’arrivo.

Un uomo di bell’aspetto con un cappello piumato e un liuto in mano si sedette con eleganza accanto a Gambadiferro. Atena, con l’aria un po’ infastidita, presentò: «Agente Musico.»

Gudrun notò le due novizie italiane lanciare sguardi languidi all’ultimo arrivato.

Dopo un’animata discussione, Atena tradusse.

«Il Dipartimento Fenomeni Paranormali ha confermato le informazioni del Servizi Segreti: il Principe Federico ha ordito un complotto contro Re Cristiano e ha pianificato un agguato in una città del vostro Regno durante la consegna di una reliquia in una Cattedrale: uno scudo trovato di recente, appartenuto a un vostro antico sovrano in vena di conquiste.
Il piano è uccidere il Re e impadronirsi dello scudo. Salito al trono, l’usurpatore userà la reliquia per ritentare le imprese dei vichinghi. La nostra missione è di salvare Cristiano e la pace, oltre a prenderci lo scudo, che, secondo Fioravante, Artemide, Anna e anche Luna d’Argento, è un talismano. Purtroppo non sappiamo ancora di quale città si tratti e ci rivolgiamo a te, Gudrun. Quale messaggio o profezia carpisci dal tuo elmo?»

Era tutto chiaro ora. La monaca spiegò le sue teorie all’agente.

«Le rune dell’elmo, ODEN, indicano Odense, l’antica Odinvi. Lo scudo è quindi  quello  che secondo la leggenda era appartenuto a Canuto il Santo, ucciso dai ribelli nel 1086 nella chiesa di Sant’Albano in quella città. Lo scudo avrebbe dovuto ornare la fiancata della nave ammiraglia di una flotta destinata a invadere l’Inghilterra.»

Emersero nella notte. Salirono sul ponte del Proteus, dove due barche simili a navi vichinghe in miniatura erano state approntate. Ci sarebbe stato posto per tutti. Calarono le scialuppe e, dopo diversi giorni a tu per tu con macchine ci si ritrovò a bordo di imbarcazioni spinte a remi.

Mentre la luce dell’alba delineava timidamente le rive del torrente di Odense che avevano imboccato dalla sua foce nel fiordo, Atena bisbigliò a Gudrun quello che lei aveva notato dall’inizio.

«Le gondole non sollevano onde e quindi i galleggianti non hanno fatto suonare le campanelle, e le sentinelle non si sono accorte di noi.»

Non appena in vista della Cattedrale consacrata a San Canuto, le gondole approdarono e tutti sbarcarono. Le imbarcazioni vennero nascoste tra la vegetazione.

Mischiati tra la folla, vestiti da frati e suore, Gudrun e i suoi compagni videro finalmente Il corteo reale entrare  nel piazzale davanti alla Cattedrale.

Gudrun pregò che i sicari di Federico non assalissero i soldati del Re dentro la chiesa. Sangue in un luogo sacro era stato versato una volta di troppo nella storia della Danimarca.

Le sue preghiere vennero esaudite. Gli armigeri del principe traditore, sbucati da dietro il chiostro, bloccarono la porta della chiesa puntando gli archibugi, mentre altri circondavano la scorta reale.

Mentre la folla si dava alla fuga, Fioravante,  Artemide e Anna sfoderarono le pistole facendo fuoco contro gli armati che sbarravano l’entrata alla Cattedrale. Atena, Gambadiferro, Musico, Fulvia e Luna d’Argento si gettarono contro un gruppo che stava attaccando il Re e i portatori dello scudo.

L’uomo macchina brandiva due spade e, saltando velocissimo tra sbuffi di vapore, mise in fuga gli assalitori, che urlavano la parola “Satan”, palesemente convinti che i vapori dei macchinari degli arti uscenti da sotto la tonaca fossero i fumi dell’Inferno.

I portatori dello scudo fuggirono anch’essi, spaventati forse da Gambadiferro o da chi li stava attaccando. Il Re, rimasto solo, sfoderò la spada. Atena l’affiancò. Gudrun si immise nella mischia urlando in danese che loro erano dalla parte di Sua Maestà. Fulvia afferrò lo scudo di Canuto e lo usò per ripararsi mentre si affiancava alla madre, alla difesa del Re contro altri armigeri di Federico, ripresisi dallo spavento.

L’agente Musico si mise a cantare nella sua lingua mentre incrociava la spada con un colosso biondo. Tanto sprezzo del pericolo sbilanciò l’avversario.

Gambadiferro emise tanto vapore da provocare una caligine intorno al Re e a chi lo difendeva. Gudrun udì commenti sulla ”figlia del diavolo color Inferno”, rivolti a Luna d’Argento, rammaricandosi che nell’Era Moderna la gente credesse ancora a tali superstizioni. La paura  mise alla fine in fuga gli sgherri del Principe.

La nuvola di vapore coprì la loro ritirata.

Raggiunte nuovamente le gondole, remarono via.

Le sentinelle alla foce sorrisero al passaggio in barca di un gruppo di suore e frati di cui uno accompagnava  col liuto il salmo che Gudrun cantava.

«Lunga vita al re» declamò la monaca. Poi intonò un sonetto improvvisato all’istante, dedicato a Cristiano ”re cristiano e saggio”. Sotto la tonaca era nascosto lo scudo di Canuto.

Raggiunto il Proteus, si immersero fino a raggiungere il largo. Il natante, tornato sulla superficie del mare, vibrò. Atena invitò Gudrun a salire sul ponte per assistere alla metamorfosi.

I quattro alberi dello scafo vennero innalzati, i rotori si aprirono come ombrelli e cominciarono a girare vorticosamente. Infine, Gudrun sentì lo stomaco andarle in gola mentre la superficie del mare si allontanava sempre di più in basso e le nuvole si avvicinarono.

Tornati in sottocoperta, si riunirono nella sala a fare il punto sulla missione.

Ancora una volta l’espressione delusa di Fioravante si fece parole nella traduzione di Atena.

«La scritta KNUD incisa sullo scudo, che potrebbe far credere al nome di Canuto nella tua lingua, è più antica del re e risale all’età del ferro. Quindi, o si trattadi un altro Canuto, una profezia, oppure…»

«”Knud” vuol anche dire ”nodo”» interruppe Gudrun.

Atena sorrise.

«Allora basta trovare un nodo gordiano da quelche parte che ci conduca alla prossima reliquia. Grazie Gudrun. Detto tra noi, ma non sarebbe più pratico che ti imparassi l’italiano?»

La risata comune che seguì espresse l’allegria senza barriere di linguaggi. La Torre di Babele crollava davanti alla gioia, come sempre.

di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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