Noi e Loro

Noi e loro

Ci siamo. La guerra è iniziata. Noi contro loro. Sapevamo che prima o poi sarebbero arrivati. Per anni abbiamo scrutato il cielo, sondato le profondità dello spazio, in attesa di scoprire una forma di vita intelligente. Alla fine, la forma di vita ha scoperto noi. E il nostro mondo. Il nostro bel mondo.

Quando fu data la notizia ci fu un tripudio globale. Eravamo contenti di non essere soli nell’universo. Non vedevamo l’ora di scoprire quale diversità avrebbe arricchito la nostra cultura. Per le vie si addobbavano negozi, si vendevano abiti con le scritte “Benvenuti”, s’incidevano canzoni cercando melodie dolci mentre i nostri scienziati pensavano a come rendere il loro soggiorno piacevole, attrezzando capsule con la giusta mescolanza di particelle per non danneggiarli. Sapevamo che la nostra atmosfera era veleno per loro e lavorammo sodo per ovviare al problema.

Stupidi. Quanto fummo stupidi.

Per primo giunse un satellite. Orbitò attorno al nostro pianeta per mesi. Inviammo diversi segnali ma non ottenemmo mai risposta. Credemmo che la nostra lingua fosse troppo complessa. Provammo con un linguaggio matematico ma niente. Fu il primo segnale d’allarme ma nessuno volle prenderlo in considerazione.

Poi giunsero delle strane macchine. Caddero come stelle cadenti. Avevano delle ruote e una sorta di braccio meccanico con cui raccoglievano materiali dal nostro terreno. Due strambe apparecchiature coglievano l’energia del nostro sole per il funzionamento. C’erano delle scritte, per noi incomprensibili, e fu il secondo segnale che ignorammo. Le macchine raccolsero metalli preziosi, minerali, piante, persino piccoli insetti.

Infine giunsero le navicelle. Una, due, tre, cinque, dieci, venti; uno sciame intero si profilò nella nostra atmosfera. Per prima cosa ci fu una sorta di suono sordo seguito da una vampa elettrica che mise fuori gioco i nostri sistemi primari. Poi fu la volta di piccoli velivoli senza pilota che macchiarono il nostro bel cielo di scie bianche che ben presto ti tramutarono in una cappa caliginosa.

In molti si ammalarono e morirono prima che i nostri scienziati riuscissero a trovare una cura. Dopo il veleno dal cielo fu la volta di terribili esplosioni. Colpirono le città principali radendole al suolo in un lampo di fragoroso.

Fu il momento del nostro contrattacco. Utilizzammo le nostre armi e distruggemmo molte delle loro navicelle. In seguito arrivarono i loro soldati, coperti da tute protettive per resistere alle radiazioni del nostro sole e alla nostra aria venefica per il loro organismo. Le loro armi non erano così devastanti ma in egual modo si rivelarono avversari terribili. Le prime schermaglie furono sanguinose.

I nostri scienziati studiarono i loro corpi. Erano orribili. Uno di loro, ancora vivo quando fu preso, sbraitò e si divincolò, perse persino dell’acqua da quelli che intuimmo essere occhi.

Non capimmo nulla del suo blaterare fastidioso. Muoveva due arti superiori come per proteggersi mentre quelli inferiori se ne stavano rannicchiati. Aveva un pezzo di carne che spuntava da una peluria ispida. Vi uscì del liquido giallognolo quando lo prendemmo di forza e lo posizionammo sul tavolo.

Urlava, urlava sempre, diceva qualcosa, qualcosa che a furia di sentirlo mi fu quasi semplice ripeterlo; diceva “In nome di Dio” e “Voglio tornare sulla Terra”.

Cos’è dio? E cos’è questa terra?

di Marko D’Abbruzzi

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