Plaza de Mayo

Il mio lavoro di corrispondente freelance mi porta in giro per il mondo e in tutte le situazioni, anche le più scabrose.

Dove ci sono guerre, catastrofi, battaglie e dimostrazioni non sempre pacifiche, io sono presente.

Adesso mi trovo a Buenos Aires per tenere d’occhio il movimento delle madri dei desaparecidos. Ricorre un anniversario e si prevedono dimostrazioni.

Sono stato fortunato a trovare una stanza in un albergo che affaccia proprio sulla piazza così, senza impegnarmi troppo, posso seguire l’evolversi della situazione.

Le forze di polizia sono schierate tutte intorno alla piazza formando un cordone di sicurezza specie nelle vicinanze della Casa Rosada e dal lato opposto, intorno alla sede del municipio.

Questa tragedia dei giovani scomparsi si sta trasformando in una vera tragedia dalle proporzioni gigantesche, ad oggi il numero degli scomparsi si aggira sulle quattromila unità, nessuno riesce a sapere che fine abbiano fatto. Le proteste della piazza sembrano non servire a niente.

Ogni giorno alle 17 arrivano da tutte le strade limitrofe cortei di donne vestite di nero e con un fazzoletto bianco legato in testa. Sono le madri, le mogli dei desaparecidos.

Dalla mia finestra le vedo che in silenzio camminano in cerchio intorno all’obelisco al centro della piazza, un carosello di lacrime, un cerchio di dolore che spinge la gente presente a partecipare a quel movimento senza fine.

Ogni volta che passano davanti al palazzo del governo, la marea si arresta per mettersi di fronte alle vetrate della Casa e mostrare tutte in sincronia, le foto dei loro cari. La polizia cerca di non intervenire per non accrescere il malumore della folla, ma si tiene pronta per ogni circostanza.

I primi giorni che ho assistito a questo spettacolo, mi sono venuti i brividi, nonostante io sia abituato a spettacoli del genere.

Queste madri, dignitose e fiere nel loro dolore, che sfidano il potere insensibile ad ogni sorta di umanità, dimostrano a chi comanda che si può soffrire, ma nello stesso tempo non cedere alla violenza, di chiedere giustizia solo con la costanza e la determinazione.

Il direttore del giornale per il quale sto lavorando, è stato chiaro, devo documentare con testimonianze e foto il pezzo che dovrò presentare alla fine della missione. Il problema è che dopo giorni d’osservazione, ancora non trovo il coraggio di uscire e andare a parlare con loro, che tipo di domande dovrei fare, cosa possono dirmi che già non sappia.

La situazione, per chi guarda da fuori, è chiara, il regime tenta di annullare sul nascere ogni tentativo di organizzare un movimento di protesta contro l’attuale governo. Centinaia, e centinaia di giovani, spariti nel nulla, nessuno sa dove sono andati a finire, le voci in giro sono molteplici e discordanti.

Ci sono versioni pessimistiche che affermano con durezza che sono tutti morti, fucilati e sotterrati in fosse comuni; altri con la stessa determinazione affermano invece che sono prigionieri e trattati come dissidenti, ma sono vivi, solo tenuti in cattività in speciali prigioni; altri propongono ulteriori ipotesi, molte delle quali molto fantasiose.

La verità purtroppo non la conosce nessuno. Rimane solo il fatto concreto della sparizione della migliore gioventù argentina.

Nella camera d’albergo ho a disposizione un piccolo tavolino sul quale ho messo la mia fedele 22 lettere, per battere il testo. Ho anche la macchina fotografica, di foto ne ho fatte già a sufficienza, del resto lo spettacolo e sempre uguale, tutti i giorni alla medesima ora, le stesse donne, lo stesso giro intorno all’obelisco.

Una sorta di rituale che sta diventando un tormento, una sensazione angosciante dovuta alla ripetitività, alla costanza che queste donne dimostrano. Non riesco a fare ancora il pezzo che, una volta scritto, mi porterà lontano da questo posto.

Non so se è il mio subcosciente che mi spinge a rimandare il lavoro, per avere il pretesto di restare ancora qui o l’effettiva mancanza d’idee.

Il mondo dovrebbe conoscere davvero il dramma che si sta vivendo in questo paese, sì le notizie arrivano, ma depurate dalla mano pesante del regime, le televisioni non sono autorizzate a riprendere la marcia silenziosa giornaliera delle madri, tuttavia qualcosa riesce sempre ad uscire e, a sprazzi, immagini e notizie riempiono i telegiornali delle nazioni di tutto il mondo.

Dovrò decidermi a scendere anche io in piazza, cercare di registrare qualche voce, ascoltare le parole di qualcuno che accompagna le madri, o loro stesse. La polizia non gradisce la presenza dei giornalisti stranieri, non vogliono che i problemi interni del paese siano spiattellati in tutto il mondo.

Dovrò essere molto attento, mescolarmi nella folla che assiste al corteo delle donne, senza macchina fotografica, senza segni di riconoscimento della mia professione. Un governo che si comporta in questo modo, di cosa ha paura! cosa hanno i giovani da doverli eliminare!

Con la politica che sta mettendo in atto è destinato a durare poco, non credo che chi è al potere non abbia messo in preventivo un esito del genere, invece di esercitare questo tipo di regime dispotico. Perché non ha adottato una linea più morbida, a favore del popolo? Se il popolo sta bene non mette in atto nessuna protesta, anzi è ben lieto di appoggiare le iniziative governative.

La dittatura si può esercitare anche senza violenza e con leggi che non coinvolgono in prima persona le masse.

Oggi sono uscito e mi sono mescolato alla folla che ogni giorno assiste alla processione delle donne in nero, forse, ho sbagliato proprio il momento, stranamente oggi la polizia esausta di questo continuo carosello in nero e bianco a deciso di usare le maniere forti e sono partite le prime scariche di fucili.

L’acre odore della polvere da sparo riempie la piazza, il panico si è impossessato dei presenti, molti corpi sono rimasti al centro della piazza, oltre al nero e al bianco adesso c’è anche il rosso a colorare l’asfalto della strada.

Voglio andarmene, non voglio sentire più questo suono sinistro dei fucili, le grida di donne offese, piangenti e ferite dalla tracotanza di uomini di legno che non hanno occhi per vedere, ne orecchie per sentire il grido di un popolo che muore sotto i loro occhi.

Oggi sarà il mio ultimo giorno in questa piazza, finalmente ho in mente il pezzo che scriverò, farò in modo che la violenza alla quale ho assistito venga a conoscenza di tutti e il biasimo del mondo, verso questa classe politica ottusa, sia il talmente forte da poterli ridurre al silenzio per sempre.

Io andrò via, ma sono sicuro che l’appuntamento di queste donne coraggiose non si fermerà, andrà avanti per tutto il tempo, anche dopo la fine di questo regime, andranno sempre avanti fino a quando non avranno risposte esaurienti sulla sorte dei loro cari e ad abbattere le barricate che il potere alza per nascondere le proprie paure.

di Lorenzo Barbieri

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