Blood on my name

Violenza genera violenza e sangue chiama sangue, questo è quello che durante la mia vita ho appreso, questo è ciò che sono.

A volte cerco d’immaginare cosa abbia provato quella notte mia madre, quando le strappavano dalle braccia mio fratello, gettandolo al suolo, accanto al suo diletto marito, ormai privo di vita, riverso nel sangue, che da uno squarcio nel petto bagnava il pavimento della sua casupola.

Probabilmente nemmeno lei sapeva cosa stesse accadendo quella notte e cosa, il suo mesto destino, le avrebbe riservato.

Videro le prime luci alzarsi poco dopo il tramonto; il sordo ed incessante rumore metallico dei soldati, armati di tutto punto sembrava lo stesso suono delle campane, durante il venerdì santo: lugubre presagio di morte e dolore.

Non erano pronti a difendersi, non sapevano ciò che stava per giungere sulle loro case, cosa avrebbe devastato le loro miserevoli vite di contadini e artigiani. Quella era gente che per campare lavorava la terra e viveva più di stenti che di ricchezza: i terreni che coltivavano, infatti, appartenevano ai signori, i quali, per puro diletto, mandavano a morte centinaia di giovani vite al fronte. Un lusso quello dei ricchi e dei nobili nel giocare a farsi la guerra.

Quella notte… le fiamme invasero il nostro villaggio.
Quella notte… la paura e il dolore furono nostra compagne.

Non valsero a nulla né preghiere né denaro e, come bestie, gli uomini si avventarono sulle giovani donne e ne fecero scempio infangando il loro candore. Fra queste vi era mia madre, levatrice presso il lazzaretto, nel vano tentativo di difendere suo figlio, ricevette il supplizio maggiore.

Non si sa né quanti fossero né a quale razza appartenessero. L’unica cosa manifesta è che la trovarono il mattino seguente ancora sporca del seme maledetto, frutto della violenza perpetuata, vicino al suo bambino ancora vivo. Dentro di lei, però, stava già germogliando nuova vita. Io.

Passò del tempo prima che quella che chiamavamo ‘casa’ fosse pian piano ricostruita dalle sue macerie, e che ella si rendesse perfettamente conto che qualcosa dentro lei era ormai cambiato. L’amore stesso era scomparso sia dal suo animo che dalle sue gesta. Il suo mestiere era far nascere nuove vite, dare al mondo figli non suoi ma portati alla luce da amorevoli mani.

Ora, invece, suo era il compito d’impedire future nascite con intrugli, a volte però, insieme al bimbo, anche la madre andava al creatore.
La bollarono come strega, fattucchiera e nessuno osò mai più avvicinarsi ad essa per un lungo periodo, se non coloro le quali, avendo tradito i loro consorti, volevano disfarsi delle loro colpe.
Bastava un sorso di un liquido ambrato, ma dal sapore acidulo, e la gravidanza, per quanto in stato avanzato, terminava.

Non fu così per me.

Seline, questo era il suo nome, o almeno così ricordo, conosceva sì le arti e le erbe, ma non era né un mostro né, tanto meno, una creatura priva di sentimenti. Era ciò che le avevano fatto, quello era il motivo per il quale non riusciva più ad andare avanti: la vergogna e il dolore provato ancora le spezzavano il cuore, mentre le sue candide mani accarezzavano il proprio ventre ormai gonfio.

Era incinta di quattro mesi quando decise di andare nella foresta e cercare Lazarus, l’ultimo dei druidi. Egli era scampato alla selvaggia caccia dei fedeli del Cristo bianco, che avevano massacrato i suoi fedeli compagni senza alcuna vera ragione, se non additandoli come meri pagani ed infedeli.

Fu così, che durante la ricerca, lo trovò seduto accanto ad una rupe. Il viso, che anche io ben ricordo, era pallido e rugoso, provato dal tempo e dagli affanni; vestiva abiti semplici, una lunga tunica scarsamente decorata con motivi azzurri e bianchi, anch’essa logora.

Ciò che maggiormente colpiva allo sguardo attento degli avventori, però, erano i suoi occhi: pallidi e vitrei, totalmente assenti. Viveva ormai da troppo tempo in un mondo fatto di tenebre.

«Avvicinati e non temere»

La voce roca del vecchio si rivolse verso la donna

«Vi cercavo vecchio Lazarus»

Quella della giovane, un tempo affabile, ormai era divenuta una pallida imitazione di ciò che era prima.

«Sì Seline, lo sospettavo. Sei una delle poche donne ad essere sopravvissuta allo scempio della guerra. Oh dolce Seline, so cos’è successo, non preoccuparti che non sarai mai giudicata da me. Non è tua la colpa, tu sei stata vittima della bramosia della razza umana»

Lei s’avvicino a piccoli passi, stanca del lungo pellegrinaggio. Ascoltava con aria afflitta ciò che il vecchio le diceva, ma non dava troppo peso alle sue parole… invero pensava che la colpa di tutto ciò che l’era capitato era solamente sua e di nessun altro.

«Vecchio e saggio Lazarus» cominciò «voi sapete cosa cerco di nascondere alla vista altrui. Sono gravida, ed ormai non potrò nascondere questo figlio che tengo in grembo» abbassò lo sguardo ed una lacrima solcò il suo viso cadendo verso la fredda terra «lui non ha colpe nel voler nascere, ma come posso prendermene cura se non provo amore. È stato concepito accanto al cadavere di mio marito, e i suoi occhi ancora sbarrati mi guardavano mentre quei cani bastardi mi prendevano con la forza… mentre mi obbligavano a… a…». Così la sua voce affievolì fino a non riuscire più a proferire parola.

«Seline davvero pensi che quella creatura che tu tieni nel grembo sia solo un mero problema? Hai forse dimenticato i nostri insegnamenti sulle antiche razze? Ebbene, colui che porti nel tuo ventre, è solo per metà mortale: la tua. L’altra metà, appartiene al popolo dei Drow, gli adoratori di Elamshin, la regina dei ragni. Il male stesso nella sua forma più pura».

Così facendo, il vecchio, con non poca fatica, s’alzò dal giaciglio e con far grave s’avvicinò al ventre della donna.
Seline teneva lo sguardo ormai terrorizzato su di lui, non emettendo alcun suono. Si sarebbe detto che quasi non respirasse.

«Tuo figlio nascerà dal sangue e della violenza e il sangue stesso sarà il suo marchio. Non vi saranno notti di sogni ma solo incubi e dolore. Egli, per metà mortale, non troverà mai pace fin quando la stella scarlatta di Antares non sorgerà alta in cielo. Solo allora egli sentirà la quiete adempiendo al suo destino: una vita di guerra in nome dell’equilibrio che, però, è assente in lui stesso. Il suo nome sarà Gwyar, ossia colui che è nato dal sangue violento».

Detto ciò, Lazarus prese la via del ritorno e così fece mia madre, in solerte silenzio, ripensando ancora alle parole del vecchio druido.

Dopo pochi mesi, in una notte senza luna e senza stelle, venni al mondo. Fu quando mi vide per la prima volta e sentì il calore del mio tenero corpicino da infante che Seline ritornò a provare l’amor un tempo perduto.

Fu così che ebbi il mio nome…
Fu così che la vita di tutti quel giorno cambiò…

Il Sangue stesso è il mio nome.

CONTINUA

Editing di Marianna Visconti

di Marco Casisa

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