Capitolo 23. Passato e presente

CAPITOLO 23°

Passato e presente

Shingen abitava con la madre Hania e il padre Isak, ad Aleran, poco distante da Talalum-Brich.
Quando Isak decise di partire per Iyron, Shingen aveva solo tre anni. Hania non poteva restare ad Aleran, lì per lei e il suo piccolino non ci sarebbe stato futuro.
Era solo una piccola cittadina dove, del resto, mancavano provviste di cibo e, inoltre, la partenza di Isak scatenò dissensi nella sua famiglia d’origine.

Isak, quindi, decise di separare Shingen anche dai suoi nonni paterni, così Hania, a malincuore, dovette seguirlo.
Si incamminarono alla ricerca di un posto sicuro dove vivere e si fermarono a Talaum-Brich.
All’inizio fu dura. Non trovarono molti amici ma, grazie a Runa Hania trovò finalmente ciò che cercava.

Runa lavorava per il Sig. Carter ma era in dolce attesa e, non potendo portare più avanti il suo compito, decise di lasciare il posto a Hania per dedicarsi alla sua famiglia.
La taverna del Sig. Carter era l’unica di tutta Talum-Brich a godere di una certa fama. Era accogliente come una vera casa e questo grazie a Gil, moglie del Sig. Carter.

Presentava al piano di sopra stanze di media grandezza ben arredate e illuminate, molto calde d’inverno e fresche nei mesi più caldi.
La taverna era formata da tre piani: due dedicati alle camere da letto e il piano terra era una grande sala con tavolate in legno, piano bar, ristorazione e sala da ballo con tanta bella musica suonata dal vivo dai più grandi musicisti di quel tempo. Vi era inoltre un grande caminetto e un salottino dove potersi rilassare se non si sceglieva di pernottare.

Era un posto sereno e allegro dove le feste e l’armonia non mancavano mai, sempre pieno di gente, di amici e conoscenti, di persone che viaggiavano e che avevano bisogno del calore di una casa dove riposarsi e magari divertirsi.
Gil sapeva far fronte a qualsiasi occasione.
Hania fu un vero aiuto per lei e insieme portarono avanti quella taverna con amore e dedizione per il lavoro.

Hania, inoltre, non chiedeva ricompense in cambio ma solo un posto caldo e sicuro dove poter avere riparo per il suo piccolino. Divennero una grande famiglia.
Hania aveva pregato più volte Isak di non abbandonarli, soprattutto ora che avevano trovato un posto migliore dove vivere tutti insieme ma lui voleva a tutti i costi scoprire i segreti del monte Iyron.

Così, dopo i primi mesi di permanenza a Talalum-Brich e, dopo essersi accertato che sua moglie e il piccolo Shingen stessero sul serio bene e in ottime mani, partì solo ma non fece mai più ritorno.

«Forse è stato annientato.»
«No! Sarà rimasto bloccato chissà dove. Si sa le tempeste dell’est sono inattraversabili e non gli avranno dato modo di arrivare a Iyron o di fare ritorno a Talalum-Brich» mormorava l’intera Talalum-Brich. Così, mai nessuno si incamminò alla sua ricerca perché impauriti dal mistero che avvolgeva la scomparsa di Isak.

Intanto gli anni passavano, Hania non perdeva la speranza, sapeva che un giorno la sua famiglia si sarebbe riunita e finalmente la vita avrebbe riavuto senso. Nel frattempo si prendeva cura del piccolo Shingen, affinché non gli mancasse nulla e si dedicava al lavoro.
Shingen crebbe forte. Il suo unico scopo era quello di diventare un uomo coraggioso e un guerriero come il padre.

Era un bambino solitario e tutt’ora, all’età di soli sedici anni, era così.
Era un ragazzino impavido, sveglio e dall’occhio vispo, non molto alto, dalla corporatura robusta ma non grassa, molto agile e veloce. Era molto carino: aveva grandi occhi marroni, capelli scuri molto corti e lineamenti molto dolci.

Aveva un carattere forte e spesso dava l’impressione di essere arrogante, sfrontato e insolente ma era solo un modo per non affezionarsi alla gente.
Era un ottimo ascoltatore, però di sé non parlava mai a nessuno.
La taverna del Sig. Carter era la sua casa e, anche se gli procurava dolore, era l’unico posto dove poter tornare e dove vi era gente che conosceva.

Purtroppo, Shingen, a soli sette anni perse anche la madre.
Ora era un giovanotto e il suo passato non lo scalfiva più. Lo teneva custodito dentro sé e andava avanti giorno dopo giorno con la speranza di poter vendicare la sua famiglia.
Prima di partire, Isak, regalò a Shingen una spada in legno, fatta da lui: «Ecco figlio mio, fino al mio ritorno sarai tu l’ometto. Questa spada aiuterà a proteggere te e la mamma.»

Non si diede mai pace per la perdita dei genitori e forse, dentro sé, si sentiva in colpa per non aver fatto nulla per impedire il rapimento della sua e di quella di Ikyo.
Il Sig. Carter, quel lontano giorno di nove anni fa, era fuori per delle commissioni e portò con sé il piccolo Alan. Al suo rientro vide che della sua taverna erano rimaste solo rovine e nascosti in un angolino, tremanti e pieni di paura, c’erano la sua piccola Ikyo e Shingen.

Eppure, Shingen, si era allenato con la sua spada ma difronte a quegli uomini, sconosciuti, che senza pietà devastarono la taverna, piccolo com’era, non poté far nulla se non nascondersi e, in silenzio, piangere accanto e insieme alla dolce Ikyo.

Ora, finalmente, era cresciuto e aveva potuto affrontare il tanto temuto monte Iyron; lo faceva anche per la sua mamma e chissà se un giorno non sarebbe riuscito, nel lungo cammino, a ritrovarla per poter finalmente riabbracciarla; in cuor suo voleva dare la stessa speranza anche alla piccola Ikyo.

«Ikyo tornerò. Spero di potermi riscattare e farò di tutto per riuscirci, viaggerò in lungo e in largo per ritrovarle. Non credere che io abbia dimenticato! Attraverserò il monte per scoprirne i suoi più profondi segreti…» con queste parole Shingen, lasciando Ikyo in lacrime, si incamminò verso il suo destino.

Prima di iniziare il suo viaggio pensò bene di fermarsi ad Aleran.
Lì, si diceva, ci abitava un bravo e saggio fabbro famoso per le spade che forgiava.
Shingen sapeva di essere nato ad Aleran ma era troppo piccolo quando partì con i suoi genitori e, di quella piccola cittadina, non ricordava nulla, del resto erano passati quattordici anni…

Aleran era cambiata, era diventata una vera e propria città. Dell’immensa campagna che prima la circondava era rimasto solo un piccolo terreno sfruttato dai feudi.
Tutti lo accolsero con amore ma Shingen non si lasciava scalfire dal sorriso di nessuno.
«Cerco il saggio fabbro del villaggio. Qualcuno potrebbe indicarmi la strada che conduce alla sua fucina?»

«Shingen ma sei tu? Oh ragazzo mio… sì, sei proprio tu. Fatti abbracciare…»
«Vecchia signora io non la conosco, non ricordo di averla mai vista, state solo rallentando il mio cammino. Voglio il fabbro…» con freddezza rispose Shingen.
«Il fabbro sono io e se non ti scusi con quella dolce signora io, ragazzino, non ti degnerò del mio ascolto.»

Shingen guardò il fabbro con aria quasi di superficialità e sfida ma dato che aveva sul serio bisogno del suo aiuto perché non poteva fallire nella sua impresa, si rigirò e rivolgendosi alla vecchina seduta su una misera sedia in legno, le disse: «Oh… d’accordo, mi scusi. Sono contento che lei mi abbia ri-conosciuto ma ho molta fretta e sul serio non ricordo nessuno di tutti questi volti. Quando sono andato via da Aleran avevo solo tre anni. Troppo piccolo per ricordare posti e persone… e, inoltre, ho molta fretta.»

La vecchietta continuava a guardarlo commossa e a stento tratteneva le lacrime che scorrevano, senza un apparente significato, dai suoi grandi e stanchi occhi grigi sul suo volto scalfito dai segni dell’età ma rimase immobile, non disse più nulla, poi chinò il capo e si portò una mano sul volto quasi a volerlo coprire per difendersi dalle sue emozioni.

Shingen distolse subito lo sguardo e rivolgendosi al fabbro gli disse: «So che sei un fabbro con una certa fama, io devo partire e ho bisogno di un’arma. Una spada in grado di affrontare chi si cela dietro il tanto temuto monte Iyaron. Ne dovresti scegliere e modellare una tra queste che ho disegnato e forgiarla nei minimi dettagli; deve essere una spada in grado di non essere mai scalfita e deve potermi difendere…»

«Vieni un po’ qui ragazzino.»
«Dimmi…»
«Io posso forgiare qualsiasi spada ma se hai sul serio intenzione di seguire i passi di tuo padre io non posso aiutarti. Niente può superare l’oscuro monte Iyaron!»
«Mio padre? Tu cosa ne sai di mio padre?»
«Io conoscevo tuo padre…»

Ci fu un attimo di silenzio, Shingen lo guardava dritto negli occhi, scrutava il suo sguardo con fermezza per cercare una risposta e poi disse: «Cos’hai deciso? Mi aiuterai o dovrò viaggiare e arrivare a Iyaron a mani nude e quindi non potrò difendermi da un eventuale attacco? Mi è tutto chiaro: tutti conoscete me, la mia famiglia, la nostra storia ed è proprio per onorarli che devo partire e devo vincere contro chi ho temuto da piccolo, contro chi mi ha fatto fallire…»

Il vecchio fabbro fu colpito dalla tenacia di Shingen.
«D’accordo ma devi allenarti e forse serviranno due o tre anni e, magari, non basteranno per conoscere alla perfezione i segreti della spada che ti forgerò per la tua nobile impresa.»
«Posso fermarmi solo un anno, lavoreremo giorno e notte senza sosta…»
«Almeno due.»
«Le ho detto uno e uno sarà!»

Taro, così si chiamava il vecchio fabbro, quasi rassegnato, accettò le condizioni di Shingen, forse troppo stanco di dover lottare con chi non poteva e non voleva capire.

«Allora, Shingen, almeno dammi l’onore di sentirmi chiamare maestro. Devi sapere che è troppo tempo, ormai, che non ho allievi da allenare e il suono di quella parola mi faceva sentire vivo… vorrei rivivere quei momenti felici, vorrei potermi risentire vivo. Ricorda, inoltre, Shingen, che senza ad-destramento la spada non ti servirà a molto, dunque, ritengo necessario che tu, dall’alba al tramonto, debba vivere in simbiosi con la tua nuova spada e sentirne la sua più profonda essenza. Quanti anni hai?»

«Dodici, maestro… solo dodici» rispose Shingen, a voce bassa.
«Come sei piccolo…»

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di Annalisa Vozza

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