Heinrich Heine – gli Italiani

Negli italiani, l’espressione dolorosa del volto affiora soprattutto quando si parla delle sventure della loro patria, cosa che a Milano capita spesso di fare. È questo il punto più sensibile nel cuore degli italiani, e basta sfiorarlo perché scattino, con un moto delle spalle che riempie di una profonda pietà.

Uno dei miei inglesi giudicava gli italiani indifferenti in politica solo perché sembravano ascoltarci disinteressati mentre cianciavamo dell’emancipazione dei cattolici e della guerra di Turchia; e fu tanto ingiusto da schernirli davanti a un pallido italiano dalla barba nera come la pece.

La sera prima, avevamo visto rappresentare alla Scala una nuova opera, e ascoltato il gran chiasso che in simili circostanze si fa.

“Voi italiani – disse all’uomo pallido l’inglese –  sembrate morti a tutto fuor che alla musica; solo questa riesce a entusiasmarvi”.

Rispose l’italiano, scrollando le spalle: “ci fate torto, – e sospirò – : l’Italia siede in un sogno elegiaco sulle sue rovine, e quando, alla melodia di un bel canto, si ridesta di colpo e balza in piedi urlando, il suo entusiasmo non va alla canzone in se stessa, ma agli antichi ricordi e sentimenti che ah in lui risvegliato, che l’Italia ha sempre portato in cuore e che ora prorompono tumultuosi: questo il significato del baccano d’inferno che avete sentito alla Scala…

Forse, questa confessione permette di capire l’entusiasmo che, di là dalle Alpi le opere di Rossini o di Meyerbeer suscitano ovunque. Ho assistito a scene di autentica frenesia umana: per esempio, alla rappresentazione del Crociato in Egitto, là dove la musica passa da una molle tristezza a un urlo di disperazione. In Italia, questo si chiama furore.

Heinrich Heine, “Impressioni di Viaggio (1824-1828)”, trad. Bruno Maffi

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