Il buio nell’anima

Finalmente, quando le nuvole si stavano addensando all’orizzonte, nell’attesa di ricevere il sole per la fine della giornata, un rumore di cavalli si fece sentire da lontano, sul retro della casa, là dove c’era la strada che portava in città, oltre le colline.

Nella luce incerta del crepuscolo arrivarono per primi gli uomini con i cani ormai esausti, dopo il gran correre per tutto il giorno.

Dietro venivano altri uomini a piedi, stanchi e tirati in volto, con le scarpe piene di fango fino alle caviglie; poi seguivano i cavalieri, disposti in fila ai due lati della strada.

I due cavalieri centrali portavano, legato per le braccia tese fra i due animali, un uomo di colore infangato e dagli abiti laceri. Non riusciva a tenere il passo dei cavalli ed era quasi trascinato dalle braccia tese a croce, i piedi non toccavano terra.

Il viso era irriconoscibile e in più punti del corpo colava del sangue che si mescolava al  fango, era ricoperto di croste scure che si confondevano con la sua pelle.

Il corteo si fermò a distanza dalla casa, il corpo del disgraziato non più sostenuto si afflosciò come un sacco vuoto e giacque inerte al centro della strada.

La voce possente del signor Parker ordinò di radunare tutti gli altri schiavi, i servitori della villa  e tutti i lavoratori che erano rimasti a riposare per le abbondanti piogge dei giorni scorsi.

“Martin, fa in modo che siano tutti presenti, li voglio tutti qui. Intanto date una ripulita a quello lì, non è decente appenderlo così conciato. Non lo riconoscerebbe nemmeno la madre, voglio invece che si veda bene.
Io vado a cambiarmi, non posso restare ancora con questi abiti che puzzano di negro. Quel maledetto ci ha fatto sudare prima di prenderlo, correva peggio di una lepre impazzita e saltava di ramo in ramo come una scimmia, è riuscito perfino ad eludere i cani nuotando sott’acqua fra i canneti e saltando sui tetti giù in città”.

Scese da cavallo e si avviò verso la sua abitazione, nell’andare incrociò il dottore che era rimasto ad aspettare i cacciatori e la loro preda, non si accorse dell’espressione del suo ospite che esprimeva tutta l’indignazione e il disgusto per quella scena terrificante.

“Oh! Dottore, siete qui! Bene, adesso assisterete ad uno spettacolo davvero interessante, vedrete come scalciano quelle scimmie nere quando le appendi ad un albero. non andate via restate, dopo andremo a cena”.

Ridendo si allontanò. Il dottore  era in preda ad un attacco di rabbia repressa, si sentiva male, voleva vomitare dal disgusto che stava provando per quell’uomo arrogante, perfido e, soprattutto, per quello che stava per fare.

Si girò per seguire con lo sguardo la figura gigantesca che, incurante di tutto, si avviava verso l’enorme costruzione in legno in cima al declivio, lontano dalla riva del fiume.

In cuor suo il dottore si ripromise di non mettere più piede in quella tenuta, quando il limite era superato non c’era altro da fare. Doveva fuggire da quel luogo dove si stava per commettere un omicidio che  nessuno poteva evitare.

Vide con la coda dell’occhio la figura sempre più curva di Isac, il maggiordomo di casa Parker, immobile sulle scale della casa, chissà, si chiese, quante altre esecuzioni aveva visto nella sua vita.

Dopo poco il signor Parker tornò con  un abito di velluto marrone con gilet e orologio al taschino. Il prigioniero era stato lavato a colpi di secchi d’acqua per togliere parte del fango incrostato ed ora era pronto per la cerimonia finale.

Il lugubre corteo si avviò verso la sponda del fiume dove si ergeva, in tutta la sua maestosità, la quercia dove di solito avvenivano le impiccagioni.

Fu buttata la fune sul ramo e predisposto il nodo scorsoio, il cavallo con il prigioniero fu fatto avvicinare al cappio. Fu lo stesso Martin, il sopraintendente della tenuta che passò il nodo al collo di Geremia il falegname.

Le grosse nuvole nere all’orizzonte celavano in parte il sole che stava per tramontare. Una luce irreale illuminava la scena. Prima di dare il via al cavallo furono accese le torce. La luce tremolante delle fiamme creava arabeschi di chiaroscuri sui visi dei presenti.

Varie erano le espressioni di tutte quelle facce, nella tensione del momento. Tristi e rassegnate quelle dei compagni dell’uomo sul cavallo, indifferenti e distratti i visi degli uomini che avevano preso parte alla caccia, fumavano e discutevano del tempo che avevano perso in quella caccia nel fango.

Solo il viso del signor Parker era disteso, sorridente e tronfio, quasi divertito, con un sigaro in bocca in attesa dell’atto finale.

Dalla terrazza della casa la moglie e le figlie di Parker, guardavano lo spettacolo con morbosa curiosità.

Solo il dottore era fremente di rabbia, malediva l’impossibilità di non poter far nulla per quel poveretto, aveva un dolore straziante nel cuore, quello a cui stava assistendo era uno spettacolo barbaro che gli fece tornare i mente il recente periodo della Rivoluzione al suo paese, quando la ghigliottina era al lavoro nelle piazze di Parigi.

La storia, purtroppo, non aveva insegnato nulla.

L’uomo continuava nelle sue manifestazioni di follia, seguendo l’istinto atavico che era dentro di lui.

Sentì sulla pelle lo schiocco di frusta dato per far partire il cavallo, strinse i pugni fino a farsi uscire il sangue, poi rassegnato  chiuse gli occhi.

A nulla valse chiudere gli occhi, lui era lì, loro erano lì, d’improvviso nel frusciare del vento, nel chiarore delle torce, nel lento oscillare di quel povero corpo, nel silenzio, di colpo, scese la notte, un buio silenzioso, senza stelle, che raggiunse il fondo dell’anima.

di Lorenzo Barbieri

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