Il collezionista

Il collezionista, racconto di Lorenzo Barbieri

Pochi giorni fa sono stato invitato, da alcuni amici, ad un “vernissage”. La prima mostra di un amico comune, pittore esordiente e, anche se malvolentieri, sono andato.

Ho trovato un clima da grande occasione, gente elegante oltre i miei gusti, molte signore dall’aria annoiata e saccente. Sono stato presentato a diverse persone e, come c’era da aspettarsi, la domanda è arrivata, precisa, da parte di una signora ingioiellata e truccata da vamp.

– Di cosa si occupa lei, per vivere?

Domanda di una banalità scoraggiante. Stavo per rispondere in modo istintivo, poi pensandoci mi sono detto divertiamoci un po’

– Sono un collezionista!

Mai parola fu più stupefacente. Guardare le facce degli astanti fu un vero spettacolo, le donne, dandomi una occhiata scrutatrice si resero conto subito che non potevo essere un magnate maniaco disposto a tutto pur di assicurarsi l’ultimo Rembrandt.

Sorseggiando champagne dal loro flute, voltarono le spalle fluttuando verso altre prede, gli uomini espressero il loro quasi disgusto per una affermazione del genere, non ricopriva interesse per loro, abituati a discutere di affari e politica.

La signora che mi aveva posto la domanda, mi guardò con un misto d’incredulità e dovendo pur rispondere, avendo lei posta la domanda, non trovò niente di meglio che chiedere
– Capisco, e cosa colleziona?

Stavo per risponderle le sorpresine kinder, ma non mi sembrò in linea con l’ambiente in cui mi trovavo, non perché temessi di sfigurare, ma per evitare ulteriori manifestazioni di snobismo inutile. Risposi:

– Mia cara signora, io raccolgo “avatar”

Questa volta lo stupore fu autentico, rimase con il bicchiere a mezz’aria non sapendo cosa dire, ne cosa fare. Di tutto si aspettava meno che di una risposta di questo genere.

– Avatar? Mi scusi, ma gli avatar non sono quelle piccole icone che si usano nei computer per identificarsi nei blog?

– Certo, signora – continuai imperterrito- vedo che lei conosce bene il mondo della rete, ma come lei certamente saprà la parola è di origine indiana. In India vige una religione politeista, vale a dire, con più Dei.
Quando uno di questi Dei decide di mostrarsi agli umani, deve scegliere un corpo per assumere un aspetto umano, bene! In quel caso quella rappresentazione visiva tridimensionale è chiamata avatar. Un po’ come le nostre statue dei santi, solo che, da noi, sono solo statue, da loro gli avatar sono persone vere e proprie.

La signora mi guardava stranita, potevo quasi sentire il lavorio del suo cervello questo deve essere tutto matto

– Capisco – fece lei – , ma non vedo come lei possa collezionare questi avatar.

– Ha ragione, non posso collezionare quelli, come giustamente ha detto lei prima, anche le piccole icone sono state chiamate con lo stesso nome, posso confermare che esistono anche altri esempi, però modestamente, io colleziono altro.

– Volevo ben dire!

Sorrise lei certa di avermi colto in fallo, di rimando io continuai nella mia spiegazione.

– Ha presente i bambini, ebbene, nel loro immaginario collettivo, cara signora, i bambini hanno la tendenza a personalizzare la loro fantasia, identificano tutta una serie di personaggi immaginari, invisibili amici compagni di giochi, sotto forma di bambole, peluche e una miriade di pupazzi di ogni tipo.
Complici i cartoni animati, la televisione, il cinema, le industrie che sommergono d’offerte il mondo delle illusioni infantili.
Bene! Questi oggetti possono, a buon diritto, essere considerati degli avatar, rappresentano la realizzazione materiale dei sogni infantili, io sono un collezionista di questi avatar.

– Non vorrà dirmi, – esclamò la donna sbigottita,- che lei colleziona bambole e pupazzi?

– Non proprio, mi limito a quelli più piccoli, ha presente i pupazzetti tridimensionali che escono sotto forma di sorprese?

– Quelle degli ovetti?

La signora non capiva ancora, se la stavo prendendo in giro o facevo sul serio, mi guardava con una certa ansia nella voce, quasi allarmata, lei la moglie del prefetto locale, stava perdendo tempo con un tizio fuori di testa che si occupava di pupazzetti dei bambini.

Fui ben lieto di toglierla dall’impaccio annuendo vigorosamente alla sua domanda.

– Esatto signora! Proprio loro, io colleziono sorpresine di ogni tipo, se permette ora dovrei andare, ho perso già abbastanza tempo in questo posto, non c’è niente di interessante, l’artista è un amico, ma deve farsi ancora le ossa, mi piacerebbe discutere con lei di arte moderna, ma i miei “avatar” reclamano la mia presenza.

La lasciai lì, impalata, con il suo flute di champagne in mano; era rimasta basita!

Quando mi capita cerco sempre di far scendere dai loro piedistalli artificiali quel genere di persone che hanno la pretesa di aver diritto a emanare giudizi in lungo e in largo. Da dove derivi quest’arroganza non è dato sapere.

Tornando al discorso collezionismo, io reputo questo una necessità, un bisogno mentale a volte anche perverso, un meccanismo che scatta in molti soggetti, per dare forma, rendere tangibile e concreta la propria fantasia, non importa qual’è l’oggetto prescelto, l’importante che dia, come risultato, l’appagamento del proprio ego, che gratifichi quella parte segreta, insita in ogni essere umano, che spinge a ricercare, a volte in oggetti futili e insignificanti, risposte alle domande più recondite. Domande che non hanno risposte nella vita reale.

La trovata degli Avatar, pensandoci bene, non è poi tanto lontana dalla verità, il collezionista tende a identificare la sua idea di divinità in se stesso, quando è solo con gli oggetti del suo desiderio, tende ad esprimere la sua sicurezza, la sua illusione di onnipotenza.

Il poter disporre a suo piacimento d’oggetti che rappresentano ai suoi occhi la personificazione delle sue visioni, lo fa diventare artefice del suo destino, è lui che ricerca, trova e stabilisce la sorte degli oggetti che rappresentano le sue illusioni, le sue utopie, le sue speranze.

Li cura, li preserva, li custodisce e li esibisce con evidente orgoglio. Queste persone si rifugiano nell’illusorio mondo della fantasia per non crescere, per non dover affrontare le insidie del vivere quotidiano dove a decidere la vita non sono gli avatar, ma solo gli Dei.

di Lorenzo Barbieri

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