IL FIUME E IL DESERTO – Parte prima: Il carro del faraone

Novembre. Anno del Signore 1529

I contorni della piramide disegnavano un nero triangolo nella notte stellata, montagna costruita dall’uomo nel deserto, testimone di un’antica grandezza, capitolo di una storia millenaria, di re, regine, dei e dee, popoli passati e trascorsi, come le acque del Nilo, non troppo distante dall’accampamento dei nomadi.

Il buio s’illuminò d’un tratto e l’intera tribù venne svegliata dal fenomeno abbagliante come luce divina. Ali, il capo, urlò ai suoi di mantenere la calma, cercando in cuor suo di nascondere la paura. Era come se un sole nascosto tra le sabbie del deserto avesse lanciato i suoi raggi sulla facciata della piramide.

Il disco luminoso che aveva, come dire, acceso l’antica costruzione divenne un’immagine in movimento. Enorme come la montagna di pietra, la figura di un carro da guerra trainato da un cavallo al galoppo con a bordo un uomo armato di arco si muoveva. Il gigante lanciava frecce che sparivano man mano nel buio della notte. L’immagine era piazzata sulla facciata della piramide ma sembrava in eterno movimento.

Ali cercò di urlare ai suoi che si trattava di una delle moderne macchine volanti dei dominatori turchi, ma sapeva che non gli avrebbero creduto. Il carro, anche se in alto ed enorme, non fluttuava in cielo, bensì a contatto con la piramide, come un gigantesco affresco che avesse preso vita.

Guardando meglio, Ali ricordò un carro simile e i vestiti dell’arciere, visti nei bassorilievi delle rovine che testimoniavano i tempi in cui l’Egitto era governato dai leggendari faraoni. Senza dubbio, davanti a loro si stagliava lo spirito di un antico sovrano del suo paese.

La paura si fece orgoglio e lui urlò a squarciagola a tutta la tribù che i fantasmi non erano pericolosi e che ogni tanto i faraoni si svegliavano per ricordare antiche glorie dei tempi in cui l’Egitto era una potenza, e che, come anni addietro i mamelucchi, forse anche i turchi sarebbero stati spazzati via, come da una piena del Nilo.

                                                                      ***

«Come una piena del Nilo la voce si sta spargendo fino ai confini del paese. L’Egitto è una provincia turbolenta. I mamelucchi vorrebbero riprendere il potere. Le tribù interne sono estremamente superstiziose. Le leggende sulle piramidi e gli spiriti degli antichi faraoni sono oppio per i nostalgici. La Sublime Porta vorrebbe spostare la capitale ad Alessandria, ma adesso la terra scotta, come la sabbia del deserto a mezzogiorno.»

Il doge lasciò parlare l’eccitato ambasciatore ottomano, il quale sembrava anche lui credere alla storia degli spiriti, a dispetto della sua fede e alla lealtà al sultano.

Non appena il turco ebbe terminato la concione, il doge fece un cenno a due valletti. I servi uscirono tornando subito dopo con uno strano apparato, grande come un cannoncino. Il doge stesso tirò una leva che fece chiudere le persiane, invitando l’oscurità nella sala. Dalla bocca da fuoco del presunto cannone si scaturì un raggio che illuminò la parete nuda dirimpetto. Un attimo dopo, questa si riempì con l’immagine di una giovane donna.

L’ottomano espresse la sua sorpresa per il portento borbottando qualcosa nella sua lingua. Un attimo dopo, la fanciulla iniziò a danzare, leggiadra ed elegante. Dopo un centinaio di passi, il doge schioccò le dita e la ballerina si fermò, come d’incanto. La parete era ora riempita soltanto dalla luce proveniente dal cannone. Il doge tirò nuovamente la leva; le persiane si riapersero e il sole tornò a illuminare la sala.

Rivolto all’esterrefatto ambasciatore di Solimano, il doge fece un cenno ai valletti, e questi estrassero dal cannone un cerchio di tela trasparente. Gli occhi del turco osservarono le immagini della ballerina, impressevi, ciascuna, con una piccola differenza: in piedi, ferma, la gamba leggermente alzata, la stessa un po’ più i alto, in tutta la sequenza del ballo.

«Quando questa ruota gira, si ha l’impressione del movimento. Un principio inventato da un allievo di Leonardo da Vinci, certo Gualtiero di Senigallia. Ai suoi tempi si usavano schizzi, o dipinti. Oggi, con l’avvento dell’alcamera, si possono scattare immagini da modelli veri, come la nostra ballerina. Immagine sviluppata su tela trasparente e inserita in un apparato ottico.

Un faro parabolico grande come una mezza palla, una luce piccola ma potente, nel nostro caso metallo fuso al calor bianco,  nel punto focale, fa in modo che le immagini vengano proiettate su qualunque superficie. Le lenti del cannone, che è stato battezzato cinemagico, regolate bene, possono far ingrandire o rimpicciolire le proiezioni a seconda delle necessità.»

Il volto del turco assunse un’espressione rilassata, sostituita subito dopo da una grinta di rabbia.

«Un volgare trucco da baraccone. Voi italiani siete maestri in simili inganni.»

Il doge non mosse un muscolo all’insulto e ribattè.

«Eccellenza, capisco la vostra frustrazione e faccio finta di non aver udito gli ultimi vostri commenti. I  nostri ingegneri hanno costruito questo prototipo allo scopo di dilettare il popolo. Tra qualche anno, il cinemagico diverrà popolare in ogni teatro. Purtroppo, qualcuno ha rubato o copiato in qualche modo il progetto per loschi fini. Qualcuno che sta già usando macchine sviluppate dalla mente del nostro defunto Leonardo da Vinci.

Assunse un’espressione triste e continuò.

«Qualcuno che ha già usato automini  per attentare alla vita nostra e di Sua Santità il papa.»

«Sono dolente per il rischio che avete corso» rispose l’ottomano. Il doge non seppe se il plurale fosse di cortesia o includesse anche il capo della religione cristiana.  L’alleanza tra l’Impero Ottomano e la Serenissima Repubblica era cementata dalla saggezza di Solimano. Che i suoi ambasciatori condividessero l’amicizia con il vecchio nemico infedele non si sapeva. Chi serviva il Sultano era obbligato a essere amico di ogni suo alleato.

Il doge temeva che chi aveva tentato di uccidere lui e il papa, poteva anche cercare di colpire Solimano. E allora l’alleanza sarebbe stata a rischio. Il doge, risoluto, concluse: «Eccellenza, riferite alla Sublime Porta che la Serenissima Repubblica, sua fedele alleata, invierà i migliori agenti in Egitto per aiutare l’Impero Ottomano a scoprire queste trame.

Visto che uno dei sospetti è italiano, l’operazione per arrestarlo è cosa nostra. Nell’attesa che questa combriccola di facinorosi venga debellata, consiglierei di riferire al grande Solimano di tenersi bene nascosto nel suo rifugio segreto… a Baghdad.»

«Voi sapete…» ribattè l’ambasciatore, con aria tra l’indignato e chi ha perso una partita a scacchi.

«Lo sanno solo i nostri Servizi Segreti, Eccellenza.»

                                                                        ***

La donna era bella, tratti orientali, forse arabi, forse discendenza locale da tempi più antichi. Il volto era scoperto, niente veli, la veste di seta senza tempo, piena di simboli cucitivi addosso. Il Nilo scorreva, sottofondo alla regalità di lei. Poco lontano, le rovine di un palazzo erede dei tempi, sembrava un formicaio dove industriosi insetti si prodigavano alla sua ristrutturazione.

«Mastro Agnelli» proferì in italiano perfetto, cercando di mantere il tono di chi comanda rivolto a chi serve.

«Chiamatemi Gabriele, Altezza» rispose l’uomo dal bel volto, evitando lo sguardo degli occhi neri di lei. Dietro, una donna velata completava lo scenario. «Io mi occupo di scienza e la mia amica di   magia. Assieme metteremo in piedi qualcosa di grande. E non intendo solo il palazzo.»

«I vostri antenati romani definirebbero la nostra collaborazione un triumvirato, anche se l’unico ”vir” siete voi. La storia si ripete. L’alleanza tra Antonio e Cleopatra contro Roma verrà cementata dal nostro patto.»

«Ma non ci sarà alcun Ottaviano a fermare l’ascesa del Grande Egitto che spazzerà via le armate ottomane. Gli spiriti dei faraoni si sono risvegliati, pronosticando il loro ritorno. L’Egitto verrà ridestato da un sonno millenario tornando ad adorare i suoi dei. Al suo servizio combatteranno i guerrieri di Ra, dio del Sole che verranno fin da noi dal paese dove esso nasce, come al momento gli artigiani che, industriosi, stanno ricostruendo il futuro palazzo reale a velocità sorprendente, coadiuvati dagli automini. La mia amica Freja ha vaticinato che il Bue Api renderà fecondi i campi intorno al Nilo e la dinastia dei nuovi faraoni verrà benedetta dalla dea patrona di re e regine. E la prima monarca dell’Egitto risorto, la nuova Cleopatra, sarà l’incarnazione della dea: la divina Iside.»

La donna alzò la testa, come se fosse stata appena incoronata, dichiarando: «E noi ne assumeremo il nome e guideremo le armate del Sole e dell’Egitto risorto rinforzate da armi moderne alla riscossa contro i turchi e poi alla conquista dell’Italia, vendicando Cleopatra. Scienza e magia, moderno e antico ci daranno la vittoria.»

CONTINUA…

di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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