IL FIUME E IL DESERTO – Parte quindicesima: Venezia nei due mondi

Giugno. Anno del Signore 1530

Non erano soltanto le fasce a tenerla immobilizzata, ma anche le catene mentali della sorella. L’unico conforto era il contatto spirituale con Fioravante, che le infondeva speranza e le dava la forza di scegliere da che parte stare, uscendo dalla passiva rassegnazione che per anni l’aveva ridotta a una sibilla al servizio della gemella.

Giorni addietro, pur costretta a dare il suo vaticinio per le mire ambiziose di Fatima era riuscita a mascherarlo dietro metafore e aforismi da interpretare. Mentire non poteva, ma esprimersi in modo sibillino, sì.

Per quello che ora le voci di Satanico e Lukia dietro le bende erano concitate e quasi furenti, in contrasto alla calma voce della sorella, una litania che riusciva sempre a far emergere verità nascoste, che neppure lei sapeva esistessero.

Oh, se solo fosse stata padrona delle propria volontà! In nome della Luce avrebbe aiutato a cambiare il corso degli avvenimenti, ormai destinato alla vittoria delle Tenebre.

Avrebbe potuto gioire nell’aver visto con la mente che la Serenissima aveva allestito un corpo di spedizione in una base fino allora segreta, ma che le sue facoltà extrasensoriali avevano localizzato e che a causa del fluido della sorella era stata costretta a rivelare ai servi dell’Ombra.

«Ma cosa ci vuole a tirar fuori a questo cadavere vivente dove hanno questa maledettissima forza d’attacco?» Il tono collerico dell’uomo femmineo le infuse un piccolo trionfo.

«Stai zitto, e lasciala parlare» ribattè Lukia.

Basma sperò che ancora una volta la profezia non venisse compresa.

«Presso il vulcano vicino alla Venezia della Nuova Spagna, nel territorio alleato, tre titanici navigli celesti e un’esercito misto attraverseranno il mare alla volta del Sole Morente. E allora sarà la caduta della Trinità ombrosa.»

«Basta così» esclamò la donna chiamata Lukia. «Adesso so dove si trova questa base.»

Basma imprecò dentro sé. Prima o poi sarebbe accaduto. Ma un’altra visione si fece avanti nella sua testa. Avrebbe potuto essere consolante per il fatto che vaticinava qualcosa che forse avrebbe creato un’alternativa favorevole alla forze della Luce.

Un’effimera, purtroppo, perché il fluido ipnotico di Fatima la stava costringendo a rivelarla. Cercò di opporsi con tutte le forze, ma le parole le vennero alla bocca senza che lei fosse in grado di controllarle. Era la fine. Pregò Iside, la vera Iside di perdonarla mentre la sua voce scandiva.

«La Luce ha soltanto una speranza, ora sappiate che…»

«Basta perdere tempo!» ordinò Lukia. «Iside, fa star zitta quell’ammasso di fasce perché ha detto abbastanza. Dobbiamo sbrigarsi studiare un piano di battaglia e ogni attimo è prezioso.»

La litania di Fatima coprì le ultime parole di Basma, che ringraziò la dea per averle impedito di rivelare l’ultima possibilità di riscossa per la Luce.

Non appena il tronetto venne portato via, Lukia, con aria trionfante esibì la sua teoria ai complici.

«Se sono nei pressi di un vulcano si tratta di sicuro di portaornitotteri come le nostre. Mi consola che siano solo tre.»

«Tre di troppo» ringhiò Satanico.

«Che però con un attacco di sorpresa di missili verrebbero ridotte a un ammasso di metallo rovente» ribatté Lukia.

«Di sicuro, basta sapere dove accidente si trovano» insistette Satanico.

«La mummia ha parlato di Sole Morente, quindi attaccharanno da est. Dalla Nuova Spagna. Ossia colonie spagnole in America.» seguitò Lukia.

«Venezia in America, ma andiamo, quella morta seduta farfuglia idiozie» contestò Satanico.

«La Nuova Venezia o Piccola Venezia è il nome di una provincia iberica nel Nuovo Mondo» ribattè Lukia. «Amerigo Vespucci definì quelle terre Piccola Venezia per il fatto che gli indigeni costruivano palafitte e il paesaggio gli ricordò la capitale della Serenissima. Venezzuola. Oggi gli spagnoli chiamano quella provincia Venezuela. E adesso sono alleati della Serenissima.

«Ci sono vulcani in questo… Venezuela?» chiese Satanico ora incuriosito.

«Nella parte orientale. Vulcani di fango» confermò Lukia.

«Ma capaci di eruttare magma abbastanza potente per far alzare i colossi dell’aria come li definisce il cadavere parlante» aggiunse con rabbia Satanico.

«Allegro, Gabriele, rimanderemo l’attacco di Shimada nel Mediterraneo. Nel frattempo ti recherai in Spagna dalla Duchessa e recluterai un pugno dei suoi uomini. Poi volerete in Venezuela. Saranno gli stessi spagnoli ad attaccare di sorpresa questa base, armati dei nuovi lanciamissili portatili. Due piccioni con una fava. Eliminamo questa minaccia e la colpa ricade su dissidenti spagnoli, a discapito di questa effimera alleanza. Sarà il primo vero atto di guerra contro la Serenissima e ancora quel vecchiaccio del Doge rimarrà all’oscuro sull’esistenza delle nostre portaornitotteri  che ben presto ridurranno il resto della sua aviazione come la forza d’attacco in Venezuela.

Tacque e declamò.

«Ironia della Storia. Attacco a ben due Venezie, in due mondi.»

                                                                ***

Il messaggio di Basma sarebbe potuto sembrare un paradosso. Fioravante vide se stesso scoperto in flagrante mentre camminava per la cella. I beduini che lo afferravano e portavano via, lontano dalle altre prigioniere. Come poteva essere possibile che la sua assenza potesse favorire la riscossa?

Lo scetticismo svanì quando vide la seconda alternativa con lui che ancora fingeva la catalessi, attendendo l’occasione giusta per agire, temporeggiando troppo, fino a quando, l’annuncio della distruzione della forza d’attacco in America avrebbe confermato la disfatta totale. Eppure il doppio vaticinio si ripeteva e ripeteva nella mente, mostrando ambo le alternative.

Cercò di comunicare con Ferruccio, ma evidentemente in quel momento il Doge si trovava lontano dalla lancia celta. Dannazione! E intanto la forza d’attacco in America era in pericolo.

Per un attimo rivide ancora una volta l’alternativa favorevole alla vittoria della Serenissima e della Luce che purtroppo presentava lui in una cella isolata, prossimo a morire. In pratica il suo sacrificio avrebbe fatto sopravvivere sua figlia e sua nipote. Ancora non capiva come, ma si rassegnò al giudizio del fato.

                                                                 ***

Torvald Gunnersen, il vero condottiero della forza d’attacco danese, non credette ai propri occhi quando vide l’automovile dogale uscire dal palazzo. Il mezzo doveva essere anfibio, perché subito dopo girò e si diresse verso la laguna. Fortunatamente lui e i danesi si trovavano in parata e ingombravano il traffico, diretti da quel fantoccio tedesco, l’unico vero lanzichenecco.

«Fate largo a Sua Eccellenza» ordinò il conducente a cassetta. L’automovile era una vecchia carrozza dorata e riadattata. Accanto al postiglione c’era un soldato armato di rivoltone e dietro altri due, con le stesse armi. Sotto le ruote erano stati applicati due galleggianti.

Diede ordini in danese, consapevole che né il tedesco né gli italiani avrebbero capito. I suoi ubbidirono e a colpi di archibugio sparati al cuore abbatterono il postiglione e le tre guardie del corpo. Torvald aveva agito d’impulso approfittando di quell’inaspettata occasione.

Di certo sarebbe stato più glorioso e degno di un discendente di vichinghi attenersi al piano originale e attaccare in massa il palazzo in una vera battaglia. Ma trovarsi servito il Doge su un piatto d’argento, anzi su una carrozza d’oro, era un’occasione unica.

Il submarem era già pronto, al largo. Il piano prevedeva la conquista di un vaporetto. E va bene, avrebbero invece navigato per il Canal Grande su quel mezzo di lusso. Sentiva l’astinenza dal mare, dopo giorni a terra.

Abbaiò qualcosa in danese e aprì la porta della carrozza. Il Doge lo guardò da dietro una strana maschera con una specie di proboscide. Dalle maniche del suo abito si scaturì una nuvola di fumo, mentre gli italiani caduti si rialzavano. Torvald realizzò di essere caduto in una trappola mentre il buio lo avvolgeva. Sonno o morte?

                                                                        ***

Da un giorno il Doge aveva avuto troppo da fare per poter mantenere il contatto con Fioravante. Aveva rischiato la propria vita e quella dei soldati, anche se protetti da corazze antiproiettili e scoperto chi comandava veramente gli scagnozzi danesi di Lukia, cui era stato somministrato l’intruglio della verità mentre dormiva. Entro poco avrebbe finalmente saputo chi era in realtà costei.

CONTINUA…

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di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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