IL FIUME E IL DESERTO – Parte ventiseiesima: Sogno americano

 

Luglio. Anno del Signore 1530.

 

Come ogni notte Luna d’Argento sognò i vulcani gemelli che si stagliavano in sottofondo nel panorama dalla finestra del palazzo della sua famiglia a Tenochtitlan. Non riusciva a capire perché, ma sentiva che in ciascuna delle montagne di fuoco si nascondeva qualcosa che lei non riusciva a comprendere.

Due concetti: conquista in armi da una parte e pacifica dall’altra. In ambo i casi si trattava di viaggi in luoghi lontani, molto lontani. Uno che sarebbe avvenuto entro poco. L’altro, dopo molti decenni. E come ogni notte, prima di svegliarsi, vide l’astro che le dava il nome. Una voce le sussurrò: ”Luna d’Argento”

Poi si svegliò. Il suo sposo Sole Tiepido le era accanto e l’accarezzava. Unica consolazione per la nostalgia di casa, l’America. Dalla finestra entrava la luce del mattino. Il cielo di Venezia era già una consolazione dopo tanti giorni passati nella catalessi pur con  la consapevolezza di trovarsi sottoterra.

Le parole di suo marito furono il toccasana.

«Mia diletta, stanotte Solimano è stato liberato dalla stregoneria ed è nuovamente dalla parte del Grande Padre di Venezia. Non è lontano il giorno in cui potremo tornare in America.»

Lei sorrise, anche se sapeva che il ritorno a casa avrebbe significato una nuova partenza.

                                                                          ***

Cuatemoc, signore dei Regni Uniti d’America seguiva i lavori per l’allestimento del grande missile. Italiani e americani lavoravano fianco a fianco, pervasi da un entusiasmo senza pari, che lui condivideva, pur consapevole che soltanto le nuove generazioni avrebbero un giorno visto partire l’Uomo per la Luna.

Gli uomini di metallo che collaboravano al progetto sarebbero stati gli unici a non venire sostituiti nei decenni a venire. Il grande ordigno era quasi pronto, ma non sarebbe mai volato sulla Luna. Ciononostante, era necessario provarlo per confermare che la lega metallica avrebbe resistito. Se l’esperimento fosse riuscito, il prossimo missile sarebbe stato costruito con gli stessi criteri, anche se più perfezionato.

Una galleria circolare era stata scavata nel fianco del vulcano. Un apparato metallico enorme, piazzato all’imbocco, sarebbe stato surriscaldato dalla lava e a un certo punto, la neve in cima al monte sarebbe stata incanalata nell’enorme contenitore. Al contatto con il metallo rovente la neve si sarebbe trasformata in vapore che sotto pressione avrebbe lanciato il razzo in cielo.

Stando ai calcoli, avrebbe raggiunto il grande Lago, a Occidente, sarebbe caduto nelle sue acque e il suo equipaggio raccolto da una nave volante. L’abitacolo era abbastanza grande per quattro viaggiatori. Nessuno sarebbe stato umano. Due uomini di ferro che con un congegno a tempo avrebbero attivato i razzi cinesi non appena in cielo e pilotato il missile, due scimmie per sapere se esseri viventi avrebbero potuto sopravvivere alla grande accelerazione, alle altitudini e al contatto con l’aria, che, secondo gli uomini di scienza, avrebbe fatto scaldare il metallo.

Cuatemoc trovava pace nel seguire i lavori. In quel vulcano sembrava che i venti di guerra che spiravano nel mondo non si sentissero. Se le forze dell’Ombra avessero trionfato, tutto quel progetto sarebbe di sicuro stato sospeso. Troppo cielo, troppa Luna per chi amava stare sottoterra, tra i demoni degli inferi. O forse no.

Quand’anche le forze delle tenebre avessero conquistato il mondo, America compresa, non avrebbero potuto controllarne ogni palmo. E forse il progetto sarebbe andato avanti, in segreto, fino al giorno in cui le forze della Luce avrebbero abbandonato il mondo ormai dominato dalle Tenebre e si sarebbero trasferiti sulla Luna per preparare la riscossa e la riconquista.

                                                                            ***

Basma sognò avvenimenti risalenti a tre anni addietro. Una città, in America, Tenochtitlan, e, lontano, due vulcani gemelli.  All’interno di uno di essi, tre rappresentanti le forze dell’Ombra avevano costruito un’arma micidiale.

Dopo mesi e mesi di lavoro era stata scavata una galleria circolare e assemblato un enorme apparato di metallo, capace di far bollire la neve e di sputare in cielo un ordigno capace di far esplodere una grande piramide. Uno degli artefici dell’opera era stato il fratello di Lucrezia, Cesare, alleato a un cinese e un tedesco.

L’intenzione era di compiere un attentato al Doge, al Papa e ai regnanti del mondo, a quei tempi riunitisi nella capitale dei Regni Uniti d’America per cementare la pace che ora era messa i pericolo dal Triumvirato.

Vide Fulvia e Anna, fatte prigioniere dai cospiratori, ribellarsi e con un’azione di disturbo riuscire a provocare un’esplosione che all’ultimo istante aveva deviato la traiettoria del missile, salvando i regnanti del mondo. E vide Cesare Borgia e il complice chiamato Lo Scorpione fuggire a bordo di una macchina volante e raggiungere una città a meridione, un’enclave ancora in mano alla Spagna, inseguiti dalle genitrici delle due coraggiose fanciulle, Silvana e Loretta.

Vide la battaglia finale in cui il fratello di Lucrezia, intenzionato a impalare le due donne e i loro sposi, veniva lui stesso ucciso in cima alla piramide dal palo destinato ai prigionieri dopo la ribellione della madre di Anna. L’orrida visione di Cesare Borgia, chiamato Draco, arruolato dalle forze delle Tenebre, trafitto dal palo, venne sostituita da un’altra ancora più tremenda.

Un concetto, una rivelazione: Draco era la reincarnazione di un despota dedito anch’egli alle tenebre: Vlad Dracul, un principe della Valacchia, chiamato l’Impalatore. Finalmente, si svegliò, matida di sudore.

Dopo l’incubo, la consolazione: se soltanto Lucrezia avesse saputo che le responsabili del fallimento del progetto del fratello e della sua morte erano state in sua mano per giorni, le avrebbe sicuramente fatte uccidere tra atroci tormenti per vendetta. Alla piacevole sensazione di sollievo si aggiunse uno strano sentore di rivalsa.

Non riusciva ancora a capirne il perché, ma in qualche modo l’apparato di morte creato da Draco era ancora in funzione. Ma anziché per uccidere, entro non molto sarebbe stato usato per raggiungere l’alto dei cieli. La Luce riusciva sempre a dissipare l’Ombra trasformando il male in bene, la morte in vita, l’odio in amore.

Pensò a sua sorella, che lei aveva odiato non appena si era liberata dal suo giogo ipnotico. Sangue del suo sangue, purtroppo sotto l’influenza di demoni. La perdonò. Perdonò anche Lucrezia, intrisa d’odio per la morte del marito e del fratello.

Captò una piccola fiammella nel buio. Il gelido cuore della povera donna batteva per un uomo: l’ammiraglio Shimada. Nonostante serva dell’Ombra, era capace di provare sentimenti, umana. Sentì una peculiare sorellanza con la sua nemica, quando si trovò anch’essa a pensare a un uomo. Un uomo che aveva visto solo per pochi attimi, cavalleresco e regale. Non poteva dimenticare il sentimento provato e lo sguardo di lui, che sembrava ricambiarlo. Un piccolo demone la tentò: Francesco I, re di Francia e Imperatore del Sacro Romano Impero, era vedovo. Lei, regina d’Egitto, lui Sacro Romano Cesare.

Un sogno a occhi aperti, che le diede buon umore e la forza di inventare una menzogna da raccontare a Lucrezia, quando costei le avrebbe nuovamente chiesto chi fossero i responsabili della morte di suo fratello.   

                                                                     ***

Ferruccio sognò passato, presente e futuro. Vide, anche se un po’ sfocata, la scena di un dialogo tra un vecchio santone indiano e un soldato greco dell’esercito di Alessandro il Grande. L’indiano donava il talismano con il Sole all’Orizzonte al greco, dicendo che ormai non ne aveva più bisogno perché a contatto con la sua forza, il suo potere di comunicare con i Messaggeri si era acuito.

Così andavano le cose coi talismani. E nel corso dei secoli il Sole era andato in usufrutto a differenti persone fino a giungere a lui. E ora era al collo di Loretta e aumentava il potere di ogni sensitivo che le stesse nelle vicinanze. Come da un paio di notti, sognò la rivelazione, la metafisica dell’Universo. Degli universi a essere precisi.

In tutti i destini paralleli creati dalle scelte umane, in  quello in cui viveva i sentitivi stavano acquisendo molto più potere che negli altri. Il tutto grazie a  un progresso che aveva creato macchine capaci di trasportare velocemente permettendo i contatti tra diverse culture.

Oltre a tutto, grazie al Proteus, era stato possibile viaggiare e impossessarti di altri talismani, la cui forza, unita, stava dando più potere ai sensitivi. Agli ultimi talismani si era anche aggiunto il potere del Palladio. I Messaggeri erano molto più attivi in quel destino che in altri.

Purtroppo il prezzo da pagare era che la forze opposte lo erano anche e i Demoni erano altrettanto attivi quanto i loro gemelli lucenti. E le conseguenze erano state evidenti. Se lui non avesse usato le invenzioni di Leonardo da Vinci conquistando l’Italia, Alfonso d’Este non sarebbe morto.

In compenso, Lucrezia non sarebbe sopravvissuta al parto mortale e non avrebbe ingaggiato né Satanico, né Fatima, né quest’ultima sarebbe divenuta tanto potente nel soggiogare con l’ipnosi. I talismani erano un’arma a doppio taglio.

Ferruccio si svegliò. Il peso delle responsabilità era grande; un piccolo sbaglio strategico e l’Ombra avrebbe vinto. Non doveva accadere.

CONTINUA…

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di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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