Jean Jacques Rousseau

Jean Jacques Rousseau

VENEZIA

A meno di metà dall’inizio del pranzo vedo avvicinarsi una gondola. “Parola mia, signore – mi disse il capitano, – in guardia, ecco il nemico!” Gli domando che intendesse; mi risponde celiando.

La gondola accosta, e ne vedo uscire una giovane splendida, molto graziosamente vestita e leggerissima, che in tre salti fu presso di noi; e me la vidi seduta al fianco, prima che scorgessi il coperto che vi avevano preparato. Era graziosa quanto vivace, una brunetta di vent’anni al più: parlava solo italiano, e il suo solo accento sarebbe bastato a farmi girar la testa.

Parlando e mangiando mi guarda, mi fissa un attimo, poi, gridando: “Vergine santa, oh, il mio caro Brémond,  da quanto tempo non ti vedo”;-mi si butta tra le braccia, incolla la bocca sulla mia e mi stringe da soffocarmi.

Quei grandi occhi neri all’orientale mi rovesciavano in cuore strali infocati, e, per quanto la sorpresa lo contrastasse, il desiderio m’invase in un baleno, al punto che, nonostante i convitati, la bella dovette tosto contenermi, ché ero ebbro, o piuttosto furioso.

Quando mi vide ridotto come voleva, moderò le carezze ma non la vivacità; e quando si decise a rivelare la ragione, vera o falsa, di tanta impertinenza, spiegò che assomigliavo come una goccia d’acqua a Brémond, direttore delle dogane di Toscana;

ch’era stata pazza per quel Brémond e ne era pazza tuttora; che l’aveva lasciato perché era una stupida, mi pigliava al posto suo, e voleva amarmi poiché ciò le piaceva molto; occorreva, quindi, che l’amassi quanto le piacesse, e, se m’avesse piantato, avrei dovuto portar pazienza come aveva fatto il diletto Brémond.

Detto, fatto; s’impossessò di me come del proprio uomo, mi dava i guanti da tenere, il ventaglio, la cintura, la cuffia; mi ordinava di andare qua e là, e io obbedivo…

Dopo pranzo andammo a vedere le vetrerie di Murano. Ella acquistò varie cianfrusaglie, che ci lasciò pagare senza complimenti, mi seminò a destra e a sinistra delle mance ben più ingenti di quanto avevamo speso.

Dalla noncuranza con cui buttava il proprio denaro e ci lasciava buttare il nostro, si vedeva che non gliene importava nulla; e, quando lasciava pagare a noi, credo fosse più per vanità che per avarizia, cè le piaceva vedere l’importanza che davamo ai suoi favori.

La sera la riconducemmo a casa. Mentre chiacchieravamo scorsi due pistole sulla toeletta. “Ah, ah- osservai, pigliandone una – ecco una scatola per nèi di nuova fattura: si può sapere a che serve? So che avete ben altre armi che colpiscono meglio di questa”.

Dopo qualche scherzo sul medesimo tono ci disse, con un’ingenua fierezza che la rendeva ancor più graziosa: “Quando dimostro qualche bontà per gente che non mi piace, faccio pagar la noia che mi danno: è più che giusto; ma, sopportando quelle carezze, non intendo sopportare insulti, e non mancherò il primo che verrà meno ai suoi doveri verso di me”.

Jean Jacques Rousseau “Confessioni”, libro settimo, 1741-1747, trad. Felice Filippini

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