Scene da un matrimonio

Scene da un matrimonio

Dopo sette anni di fidanzamento era arrivato il giorno tanto atteso e desiderato. Il giorno in cui avrebbero pronunziato quella piccola sillaba che ancora li divideva dalla tanto agognata libertà.

Felice amava la sua Carmelina, dopo sette anni aveva ancora nel cuore la scintilla iniziale della vecchia passione. Carmela era una brava ragazza e una obbediente figlia, il suo amore per Felice le aveva procurato molti dispiaceri per accontentare la madre e la suocera.

Sette anni era durato il fidanzamento, fra incomprensioni, prediche, rotture e riappacificazioni. Scaramucce di ogni genere per poter procrastinare l’evento.

Le due madri erano coscienti che una volta sposati i due giovani sarebbero usciti per sempre dalla loro sfera d’influenza. Alla fine si erano dovute arrendere e il grande giorno era arrivato.

 Felice era lì impalato e impacciato nel suo abito a coda scelto e voluto dalla madre, Carmela non stava meglio di lui, la madre e la zia la stavano infagottando in un voluminoso abito pieno di pizzi e di veli, la sua figura prosperosa era sommersa da metri di veli.

Il corteo degli invitati si mise in marcia strombazzando per tutto il percorso fino al ristorante prenotato il cui nome era tutto un programma  “MARECHIARO”.

La macchina, una decappottabile aperta in stile americano era l’ultima della fila e prendeva il vento scompigliando l’acconciatura della sposa e i numerosi veli che fluttuavano come nuvole. La pioggia dei giorni precedenti aveva ridotto lo strascico ad un ammasso informe di stoffa dal colore indefinito che andava dal grigio al nero.

Arrivati sul posto ci fu una corsa degli invitati ad accaparrarsi i migliori posti, nonostante fossero stati già predisposti da chi aveva organizzato l’evento. Per espressa volontà della madre dello sposo era stato chiamato un trio di posteggiatori per allietare la festa.

Tre vecchietti che insieme arrivavano a due secoli, non erano dei veri professionisti e la loro musica lasciava a desiderare, ma conoscevano l’intero repertorio delle canzoni napoletane, molto apprezzata dalla madre di Felice.

L’invito per un matrimonio prevede l’obbligo di fare un regalo agli sposi, ed è logico poi ripagarsi delle spese al pranzo di nozze. Un ricevimento che si rispetti non può non avere la musica per rallegrare gli ospiti, questa era l’opinione degli anziani e delle madri.

Gli sposi in questo non hanno nessuna voce in capitolo, visto che pagano i genitori devono sottostare ai loro gusti. In breve l’ambiente si era già surriscaldato,

 era già saturo di rumori, di odori provenienti dalle cucine e non sempre graditi.

In mattinata gli sposi avevano affrontato con sufficiente energia la cerimonia religiosa con l’immancabile crisi di pianto delle madri e l’imbarazzo contenuto dei padri. Il momento di commozione aveva rigato di rimmel il viso della sposa e bagnato di sudore la camicia dello sposo.

 Dopo l’estenuante maratona fotografica, e il carosello infernale, ora finalmente gli sposi avevano un attimo di rilassamento e potevano offrirsi agli sguardi di approvazione dei parenti che li guardavano  con sguardi languidi fra un oliva e gli ultimi gnocchi rimasti nel piatto.

La festa continuava, gli antipasti e i primi erano stati consumati, nell’attesa della seconda parte del banchetto ci fu la tradizionale foto con i parenti. Gli sposi erano fermi davanti una finestra con il panorama dietro e a turno le famiglie venivano ad immortalare il momento.

Ai tavoli impazzava l’euforia,compari in manica di camicia, le giacche e cravatte scomparse nelle capaci borse delle mogli, comarelle senza cappellino e con il trucco a mosaico, nugoli di mocciosi unti di salsa e gli immancabili amici casinisti che partiti per fare i brindisi agli sposi finivano immancabilmente per rovesciare il contenuto dei bicchieri proprio sul tavolo e sul vestito del commendatore amico di famiglia.

Carmela era esausta, era sposata e a quanto poteva vedere la festa andava avanti, ma che fatica, quei maledetti tacchi a spillo che la madre gli aveva imposto la stavano torturando, erano già le otto di sera e lei li portava dalla mattina, lanciava delle occhiate di aiuto verso il suo Felice, ma anche lui non stava meglio, tutti i loro movimenti erano osservati, analizzati e criticati.

Prevedendo una situazione simile, i due ragazzi avevano  previsto una fuga subito dopo il cambio d’abito, non sarebbero più rientrati.

D’improvviso ci fu il buio in sala, dal fondo del salone, lo staff dei camerieri avanzava spingendo una monumentale torta  a tre piani seguiti dalle note dei tre ansimanti suonatori.

Per un attimo, ma solo per un attimo, ci fu un po’ di silenzio, poi successe il finimondo, scrosci di applausi, risate,  i  botti delle bottiglie di spumante che si aprivano, i brindisi e gli auguri, poi come d’incanto tutto finì.

Gli uomini cominciarono a ricomporsi, ci fu l’affannosa ricerca delle cravatte scomparse e per magia riapparvero le giacche.

Le donne iniziarono una specie di staffetta veloce fra le toilette e i tavoli, a piccoli gruppi sparivano per riapparire subito dopo con il trucco restaurato alla meglio, un filo di rimmel e un po’ di rossetto ed erano pronte a radunare ognuna la loro truppa.

I  bambini di ogni ordine di grandezza furono richiamati, ripuliti e allineati vicino ai tavoli, si sa che gli sposi sono più generosi verso di loro, quando distribuiscono i confetti.

I tre vecchietti in attesa del  galoppo finale cercavano di attingere  qualche briciolo di energia dal fondo di alcune bottiglie di vino bianco ordinato espressamente per loro, invece dello spumante.

Terminati i preparativi tutti erano pronti a ricevere la coppia felice dopo il cambio di abito, qualcuno aveva già cacciato l’auto dal parcheggio e messo in moto, ricevuta la bomboniera non c’era motivo di prolungare la loro permanenza.

La formalità dei confetti impediva una fuga verso casa, ma il tempo passava e della coppia nessuna traccia. Nell’attesa già si facevano i primi commenti, la sposa “un vero amore” lo sposo si era difeso, ma aveva voluto esagerare con quell’abito a coda, fuori luogo, un pinguino quasi ridicolo.

La gente aspettava mugugnando e le due suocere per una volta unite nella paura di brutte figure si mossero per indagare sul ritardo, gli amici più fedeli andarono a rianimare i musici con la speranza che la musica  servisse ad accelerare le operazioni.

Le prime note stavano aleggiando per l’aria, quando il ragazzo del parcheggio si avvicinò alla porta del ristorante e con voce canzonatoria esclamò:

“Scusate ma se state aspettando gli sposi, state perdendo tempo quelli se ne sono andati più di mezz’ora fa, e ora me ne vado pure io…..buonasera!”

di Lorenzo Barbieri

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