Una curiosa casetta

“Eh, sì accidenti! Gran brutta faccenda la timidezza” pensava quel giorno. Veramente quello era un pensiero che faceva spesso, ma quel giorno e in quel momento in modo particolare. E la causa era stata una stupenda creatura che per un attimo era entrata nel suo mondo visivo ed aveva portato con sé un’infinità di sensazioni, di desideri e quindi perlopiù di problemi.

La solita maledetta situazione che capita a milioni di tipi repressi in tutto il mondo” cercava di consolarsi. Era rimasto sconvolto e turbato da quel corpo sinuoso, da quel seno florido al punto giusto, come piaceva a lui, senza eccessi, e perché no anche da quel viso che aveva appena intravisto e che gli aveva fatto pensare a Ornella Muti.

“ Forse è un po’ piccola di statura, per me che sono abbastanza alto” pensava “ma si sa là ci si arriva sempre.” Ma la visione era stata troppo breve, e la brunetta era presto sparita, inghiottita, dall’angolo di un palazzo. Solo gli era rimasta impressa quella minigonna rossa, veramente corta.

Con un sospiro, già cominciava a non pensarci più, quand’ecco l’assurdo lo investì con la forza di un ciclone.

Scusi permette che l’accompagni?- E il leggero tocco di una mano sul suo braccio lo fece voltare di scatto. Poco mancò che gli venisse un colpo e ce ne sarebbe stato un buon motivo, dal momento che il tizio che così l’aveva apostrofato in realtà era una tizia. Anzi, per la precisione, chi gli stava di fronte, con un sorriso ammazzacristiani, era proprio la creatura di poco prima, quella del turbamento, per intenderci, con quella minigonna mozzafiato.

-Allora disturba la mia presenza?- Infierì lei.

-No, no…s’immagini…io…anzi…- Riuscì solo a balbettare con l’espressione di chi ha visto un alieno.

-Benissimo, allora possiamo andare, se permette mi presento- porgendogli la mano –Mi chiamo Beatrice e lei…e tu?-

-Io…Giovanni…anzi Gino…per gli amici- E già si vergognava di quel nome tanto stupido, che aveva sempre detestato e che continuava a creargli un sacco di fastidi, di complessi. Il suo, invece, che nome! Le si addiceva a pennello: rievocava immagini paradisiache, non tanto dantesche quanto di tipo erotico, di quell’erotismo hard da fumetti che gli piaceva tanto.

Camminavano vicini, lei parlava, faceva domande, s’informava sulla sua vita, sul suo lavoro ecc; ma lui era come inebetito, a malapena rispondeva immerso com’era tra visioni lussuriose e sensazioni d’incredulità, di “ma non può essere vero, sto sognando”.

-Ma che bella camicia!- disse improvvisamente lei, notando quella che indossava e di cui lui andava molto fiero. Si trattava di una camicia stile Elvis Presley, con le punte lunghe del colletto, che si portava ampia sopra i pantaloni, e di un giallo intenso con i bottoni neri: regalo di uno zio d’America. “bene!” era contento che lei l’avesse notata, sembrava una ragazza in gamba.

Ad un tratto lei si fermò e voltandosi verso di lui, con fare malizioso:

-Ma tu stavi andando da qualche parte, o passeggiavi, così- Chiese appena preoccupata.

-No, io …veramente…non importa…cioè   non ho impegni…- Biascicò lui.

-Benissimo, allora andiamo a casa mia- disse risoluta –vedrai ti piacerà!-

A lui, già perso in fantasie molto personali, quell’ultima espressione contribuì ad aumentare sensibilmente il livello hard della sua immaginazione. Intanto lei lo aveva preso con familiarità sottobraccio e si era avviata con passo più spedito.

Lui si sentiva sempre più confuso, gli pareva di essere protagonista di una scena da film, di quelli tipo Commedia Italiana, dove il classico fusto latin lover che ha appena agganciato la pollastrella di turno, si appresta a condurre la danza, stordendola con un mare di parole fino a farle perdere la cognizione del tempo e della realtà, già pregustando i piaceri che potrà cogliere da quel bocconcino prelibato. Il guaio era che i ruoli sembravano invertiti ed era lui che si sentiva nella parte del bocconcino. “Del resto che vai cercando, una così te la puoi solo sognare” si diceva per auto confortarsi.

E decisamente non era un film, né un sogno perché quel contatto così vicino e profumato era concretamente carnale. Così, anche per tentare di rendere la situazione più controllabile si decise a parlare, a rivolgerle la classica domanda che si fa in questi frangenti, ogni volta che si è rimorchiati da una creatura da sogno.

-Senti, ma tu che cosa fai nella vita…voglio dire…lavori, studi….o ?-

-Beh, ti dirò, la cosa non è …molto semplice…- Per la prima volta sembrava un po’ titubante –Cioè, io in particolare non faccio niente…e faccio di tutto…ecco diciamo che sono totalmente autonoma, una libera pensatrice…– e con più decisione concluse -…e posso fare ciò che più mi piace.-

Mentre lui cercava di darsi una spiegazione a quelle parole, lei rallentò il passo fino quasi a fermarsi, si guardò intorno con esitazione, quasi cercasse qualcosa o qualcuno, poi annunciò:

-Ecco siamo quasi arrivati, ora vedrai che cosa ti ha preparato la tua Beatrice!-

“Cose da pazzi” pensò sinceramente stupito “Si comporta come se ci conoscessimo da una vita. Ma tu guarda, se mai dovessi raccontarlo chi potrebbe credermi?!” Sempre più confuso ma anche emozionato, si sentiva come Dante che segue il suo Virgilio, muto, in paziente attesa della nuova sorprendente scoperta, Gino seguì la sua guida che nel frattempo si era staccata e lo precedeva manifestando una certa animazione.

Si accorse che erano arrivati in una zona della città che non conosceva; imboccarono una stradina, forse privata, ai lati della quale si vedevano poche isolate villette, e si fermarono infine davanti ad una porta d’ingresso azzurra di una curiosa casetta. Di lato e sul retro s’intravedeva un giardinetto recintato con una staccionata di legno, anch’essa dipinta di azzurro, o di celeste? (aveva sempre avuto quel dubbio).

Appena dentro si rese conto che anche l’interno era particolare, fantastico, così, come prima impressione; e mentre si accingeva ad osservare con più attenzione, Beatrice gli si rivolse con uno di quei sorrisi micidiali:

-Io vado un attimo di là, scusami. Intanto tu accomodati, mettiti a tuo agio, io torno subito eh caro Gino-. E così dicendo gli diede un buffetto sulla guancia per poi sparire dietro una grande tenda a riquadri biancoazzurri, che copriva una parete. Il giovane allora poté dedicarsi all’esplorazione di quanto gli stava intorno.

Si trovava in una grande stanza, non proprio quadrata, sembrava più un trapezio, anzi si trattava di un poligono con cinque pareti, cioè un pentagono. Infatti, di fianco alla porta d’ingresso c’era la parete con la tenda oltre la quale era scomparsa la ragazza, subito appresso, obliqua, l’altra parete, piuttosto particolare.

Era in realtà un muro grezzo, con intonaco grigio, scrostato qua e là, al centro del quale campeggiava una grande fotografia in bianco e nero di un uomo e una donna, visti da dietro, che si baciavano. Molto bella ma enigmatica nella sua solitudine su quella parete spoglia.

Proseguendo nell’esplorazione, la parete successiva, quella di fronte alla porta d’ingresso appariva ancora più strana, perché sembrava addirittura che non ci fosse, meglio, non si vedeva in quanto lo sguardo si perdeva in mezzo ad una cortina di tende trasparenti, specie di velari multicolori, sovrapposti.

Erano colori pastello, tenui, sfumati che si fondevano mirabilmente in un gioco cromatico che dava una sensazione come di vuoto, di spazio, quasi di vertigine.

Gino a fatica distolse lo sguardo per continuare lo studio di quell’incredibile ambiente. La parete di lato, diritta e più lunga, a prima vista appariva abbastanza normale, anche se era dipinta a metà: una parte bianca, dove si apriva una finestra con le ante di legno, di colore azzurro, di quelle con un foro al centro a forma di cuore, e con tendine ovviamente azzurre.

“Proprio come le casette delle favole” pensò divertito “Una vera casa di fata, della mia fata turchina!” L’altra metà della parete era rossa. Osservando meglio, più da vicino, si vedeva tutto intorno alla finestra un lungo filo rosso, che si avvolgeva su se stesso in una infinità di giri più o meno larghi e si dipanava con ampie volute interrotte da angoli acuti, da cui pendeva flaccido e molle lungo il muro, formando incredibili disegni, per poi continuare verso il fondo della parte rossa.

In certi tratti il filo si mimetizzava avendo lo stesso colore del muro, per cui non era facile capire immediatamente che in realtà partiva proprio da quel lato. Infatti alla sua base c’era un buco, come quello dei topini nei film di Walt Disney, da cui appunto usciva il filo rosso, che poi proseguiva lunghissimo formando quei ghirigori fino alla finestra.

“Sembra il filo di Arianna” si trovò ad ipotizzare, mentre alzando lo sguardo si accorse che l’illuminazione notevole della stanza era data da una varietà di lampadari di fogge diverse, di diversi colori, sospesi il più in alto possibile vicino al soffitto; non tutti accesi, ma ognuno con il suo interruttore che pendeva a portata di mano.

Ebbe l’impressione di trovarsi in uno di quei negozi dove vendono appunto oggetti per l’illuminazione. “Certo che è originale sta ragazza” pensava con un misto di meraviglia e d’inquietudine. E già cominciava a chiedersi che fine avesse fatto l’inquilina di simile magione, quando la sua attenzione si soffermò sulla parete della porta d’ingresso, che aveva guardato di sfuggita e vide qualcosa che prima non aveva notato.

Il muro intorno alla cornice dello stipite presentava una quantità di piccoli fori, tanti bucherelli come se fosse stato oggetto di una scarica di mitraglia, e vicino ad ogni foro si leggeva a malapena un numerino. Al giovane venne in mente quel gioco enigmistico in cui bisogna unire i puntini per vedere cosa apparirà.

Stava per fare qualche supposizione quando si accorse che un po’ più in alto dello stipite della porta c’era una mensola azzurra e sopra vi stavano posati: un cappello nero da uomo, due bicchieri lunghi, di quelli per lo champagne, ma di un colore azzurro chiaro e una borsa di pelle scura, che sembrava pure da uomo.

A questo punto Gino aveva appena ripreso a fare congetture, quando la tenda a scacchi si scostò e finalmente apparve Lei, la fata turchina. Indossava un complicato abito a frange, di un viola tenue, con pendagli dorati, e una lunghissima cerniera sul davanti. Ma ciò che colpì immediatamente il giovane, che la guardava con espressione allocchita, fu la trasparenza del vestito e di conseguenza le meraviglie di quel corpo messe in mostra.

Beatrice, con un largo sorriso cominciò ad avvicinarsi a Gino, che inspiegabilmente, forse per un riflesso automatico, prese ad arretrare. Poteva essere un gioco ma il cuore gli batteva forte, si sentiva in un bagno di sudore e la fronte sembrava diventata un forno.

Era con le spalle al muro, o meglio alla parete fantasma e mentre lei continuava ad avvicinarsi, sorridendo sorniona, spingendolo praticamente verso il fondo, lui si sentiva le gambe molli e arretrava continuamente finché non si trovò in mezzo alla cortina, avvolto da ogni parte da quelle tende leggere.

D’un tratto urtò qualcosa di duro e mentre con le mani annaspava goffamente cercando un possibile appiglio, finì per cadere rovinosamente all’indietro. Ma non cadde sul pavimento, come aveva temuto, bensì su qualcosa di morbido, che poi realizzò trattarsi di una specie di letto.

Intanto Beatrice, che l’aveva incalzato d’appresso, era scoppiata in una fragorosa risata, la sua bella bocca mostrava una fila di denti bianchissimi, che lui si trovò, stupidamente, a paragonare a quelli di un personaggio dei cartoons che lo aveva sempre suggestionato.

Poi sempre più frastornato, abbattuto su quel letto, vide la ragazza sporgersi verso di lui, sempre più vicino, finché gli fu impossibile non fissare il suo sguardo acceso su quelle due macchioline scure tondeggianti, comunemente chiamate capezzoli. Infine lei gli si gettò addosso, schiacciandolo per un momento con il suo lieve peso, poi sempre ridendo si lasciò cadere di lato, con le braccia larghe, una delle quali posata sul ventre di lui.

Il quale, da parte sua si sentiva oltre che confuso anche incazzato per non riuscire a padroneggiare in qualche modo la situazione; anzi si rendeva conto di essere sempre di più nella parte del bocconcino. Tentando di reagire si levò sui gomiti per gettare uno sguardo intorno: si trovavano in un’altra stanza, oltre la cortina, che risultava quasi completamente occupata da quel letto, vasto e molto basso, ricoperto da un tessuto di colore viola acceso.

Forse lo stesso colore della sua faccia in quel momento, perché oltre a sentirsi a disagio, ora percepiva che stava montando una notevole più che giustificata eccitazione. La mano della ragazza era sempre su di lui, anzi era scesa un pochino e guardandolo di sottecchi, voltando appena la testa, domandò con voce bassa:

-Ma caro, mi sembri uno che abbia visto un fantasma, sei tutto tremante, imbarazzato, ti faccio così paura?– e avvicinando repentinamente il viso al suo concluse: -Non ti voglio mangiare, sai…-

Al che Gino riuscì solo a farfugliare qualche parola patetica di scusa:

-No…io…figurati…non ho paura, è che…tutto così improvviso. Insomma non è che capiti tutti i giorni…-

-Embè, prima o poi può capitare– lo interruppe lei con aria infastidita –oggi è successo a te …mi sei subito piaciuto…- Si scostò da lui ritirando la mano, e si rivoltò a pancia in giù, poi spostandosi con l’aiuto delle braccia si spinse verso la parete di fondo, completamente nera, allungò una mano per prendere qualcosa da una specie di nicchia.

Si riavvicinò al giovane, sempre muovendosi in quel modo sinuoso, e gli mostrò ciò che aveva in mano. Era un libro, rilegato in cuoio con alcune parole scritte in oro.

Lui, in verità, era intento a rimirare quel corpo stupendo che con tutti quei movimenti andava scoprendosi qua e là; in modo particolare era attratto, quasi stregato, dalle curve flessuose delle natiche, per cui non si accorse subito che lei stava parlandogli.

…e allora ti piace o no?- stava domandando, seduta accoccolata davanti a lui con il libro in mano.

-Sì…come…cosa? Scusa mi ero distratto…- si affrettò a dire con un mezzo

sorriso.

Ti stavo chiedendo se ti piace la poesia- disse lei calcando le parole.

-Sì certo, moltissimo- Gino amava sinceramente la poesia.

-Bene, allora non devi pensare ad altro, ora è il momento della lettura- concluse Beatrice, appoggiandosi di spalle a lui, con il libro aperto tra le mani, disponendosi comodamente a leggere.

-Senti…- e si mise a decantare con voce bassa, suadente:

E se un raggio d’amore/ si poserà sui tuoi capelli/ non scacciarlo mai/e non sottrarti alla sua lama/lascia che ti ferisca/profondamente/perché il sangue vermiglio/che poi ne sgorgherà/non è solo tuo/ma sarà anche un poco suo….

Quei versi e quella voce stavano avendo una certa influenza sul ragazzo, sempre molto teso, ed avevano cominciato a placarlo. Si lasciò andare all’indietro su quel viola che lo circondava da ogni lato e che ora sembrava più tenue, riposante, e chiudendo gli occhi si concentrò su quella voce così calda e sulle parole

.…e se questo avviene/pensa che sei solo un uomo/che sta vivendo una realtà irreale/quella stessa che lei vuole donarti/accettala senza domande

Tacque, un grande silenzio si fece nella stanza, finché non lo ruppe Gino: -Sei una ragazza formidabile Beatrice!- disse convinto abbracciandola stretta, con una grande emozione. –Sono tuoi quei versi vero?- chiese per conferma.

Si, sono contenta che ti siano piaciuti- rispose sommessa, poi di scatto si alzò e scivolò via dal letto, con una improvvisa animazione gridando:

Ed ora dobbiamo brindare al nostro incontro- scomparve oltre la cortina multicolore, ma tornò quasi subito recando in mano due bicchieri tipo flûte, azzurri.

“Forse gli stessi che ho visto su quel ripiano” si chiese Gino, mentre Beatrice stava prendendo da un piccolo frigorifero, mimetizzato dietro un quadro, una bottiglia di spumante. Tornò quindi vicino a lui e sedendo con aria festosa sul bordo del lettone, riempì i due bicchieri porgendone uno al suo ospite, invitandolo ad un brindisi incrociando le braccia e bevendo di fianco con il viso voltato.

Purtroppo nel fare questo gesto Gino piegò troppo il bicchiere, che sembrava di plastica, versando così parte del contenuto, ma senza farsi accorgere da lei bevve il restante gridando. –Urrà! Viva noi!-

Lei rispose al grido gettando via il suo bicchiere e dicendogli, indicando la bottiglia ai piedi del letto:

-Quando vuoi…puoi berne fin che vuoi-

Quindi si accostò rapidamente, gli si accoccolò davanti guardandolo fisso negli occhi, e alzandosi un poco sui talloni fece scorrere fino in fondo la cerniera del vestito, poi con molta naturalezza se lo sfilò dalla testa, rimanendo completamente nuda davanti al lampo dei suoi occhi.

Gino deglutì, poi la fissò a sua volta, con risolutezza, e senza abbassare lo sguardo aspettò, con il cuore in gola, che lei iniziasse a sbottonargli la camicia che sentiva appiccicata alla pelle per il sudore. Si era all’inizio dell’estate e per fortuna si cominciava a vestire leggero, sotto non indossava altro e lei prese ad accarezzargli il petto, mormorando: -Ora basta con i sentimentalismi, pensiamo al piacere. –

La sua mano sottile e delicata gli stava facendo salire il sangue e non solo quello, ad una pressione inusitata. Gino, anche se si rendeva conto di essere completamente in balia di quella donna, ora si lasciava andare, più calmo e rassegnato si predisponeva a godere quanto più possibile da quella situazione, senza porsi troppe domande. Lei ci sapeva fare eccome!

In silenzio si era messa a sfiorare la pelle del maschio con le labbra, dando piccoli baci, che gli provocavano dei deliziosi brividi; poi si soffermava sui capezzoli striminziti, succhiandoli con avidità fino a farli arrossare congestionati. Pian piano poi con una mano aveva iniziato una carezza discendente verso l’inguine e dopo avergli slacciato la cintura e sbottonato la patta dei calzoni, si stava ormai avvicinando all’oggetto del desiderio.

Improvvisamente Gino ha un sussulto, e non solo di piacere, che lo fa alzare di scatto mettendosi a sedere, perché strabuzzando gli occhi all’indietro vede uno strano oggetto, che non aveva notato, appeso ad una specie di gancio, come quelli in uso nei mattatoi. E’ un ombrello da uomo, nero e inquietante.

Nella concitazione di poco prima questa seconda stanza, un po’ più piccola dell’altra, gli era sembrata abbastanza normale: a parte il lettone a pavimento, la parete fantasma di comunicazione e quella tutta nera, le altre due laterali erano regolarmente bianche con oggetti usuali quali specchi e quadri, dietro uno dei quali si mimetizzava il piccolo frigidaire.

Ma in una spiccava quell’ombrello appeso come un quarto di bue, e a Gino, memore degli altri oggetti maschili notati prima, tornò quel senso d’inquietudine e non poté trattenersi dal domandare:

– Beatrice, ma tu vivi con qualcuno, con un uomo forse?-

La ragazza che già lo stava guardando con aria interrogativa per quel suo repentino scatto che l’aveva costretta ad interrompere le operazioni, s’affrettò a replicare stizzita:

-Ma che dici?!….come ti viene in mente una cosa simile– e dopo un attimo di esitazione -Che cosa te lo fa pensare?-

-No, niente…- rispose lui cercando di non dare troppo peso alla cosa –è un’idea che mi è venuta così…non so nemmeno io perché –

-Ma su caro, che cosa vai a pensare…non ti piaccio forse?- Gli alitò sul viso con un leggero soffio, mentre avvicinava le labbra alle sue per un bacio dapprima timido, poi sempre più appassionato.

Sei meraviglioso…non sciupare questi momenti…lasciati amare…- andava sussurrando, staccando ogni tanto la bocca dalla sua, per solleticargli con la lingua un orecchio. Cosa che faceva letteralmente impazzire il ragazzo, che ormai al colmo dell’eccitazione aveva di nuovo scordato i suoi dubbi, e cominciava a rispondere alle carezze di lei, toccando a sua volta quel corpo bellissimo che gli si offriva senza limiti.

Sempre più stretti, avvinghiati, baciandosi furiosamente, quasi volessero succhiarsi l’anima a vicenda, erano infine avviati ad una sana scopata liberatoria, quand’ecco l’imponderabile s’abbatté sul povero disgraziato, con quel maledetto fastidio che altre volte l’aveva inguaiato.

Era purtroppo un difetto causato probabilmente da manganellate della polizia rimediate durante qualche manifestazione studentesca: in aggiunta all’erezione gli veniva impellente il bisogno di fare pipì, un vero gadget!

“Accidenti! Proprio ora!– pensò con rabbia e iniziò una serie di movimenti da contorsionista per cercare di liberarsi, senza farsene accorgere, dalla stretta di lei, che nel frattempo aveva ripreso a darsi da fare  ed era alle prese con il suo ombelico. Era riuscito a liberarsi in parte quando la ragazza, accortasi della manovra, si rizzò a guardarlo interrogativamente:

-Ma insomma, che ti prende?…Ti ha morso una tarantola?- sbottò un po’ scocciata. Approfittando dell’occasione Gino scivolò di lato raggiungendo lesto il bordo del letto e, saltando in piedi:

-Scusami un minuto solo…-disse in tutta fretta –sai,…un bisogno impellente…dov’è il bagno?-

Guardandolo come se vedesse uno scarafaggio alzò un braccio stancamente indicando nella parete di fianco un grande specchio

-Di là…è una porta-

Mentre lui si avvicinava notando una piccola maniglia mimetizzata nella cornice dello specchio, la sentì brontolare:

-Ma guarda…che razza di tipo… questo qui…-

Aperta la porta-specchio, entrò quasi correndo nel nuovo ambiente e finì per sbattere contro qualcosa di duro e di enorme. Imprecando guardò meglio, abituandosi alla luce scarsa che filtrava da una finestrella alta, e s’accorse con stupore che ciò che aveva investito era una stufa, enorme appunto.

Una di quelle in maiolica, bianca, con lo sportellone di ghisa, come usavano i nostri nonni e che ancora si può trovare in qualche baita di montagna. Pensando mentalmente: “Freddolosa la fanciulla!” proseguì con maggiore cautela verso l’unica porta che si vedeva in fondo, rigorosamente azzurra, o forse celeste.

Entrò quindi nel bagno, perché fortunatamente di questo si trattava. Lì almeno c’erano le cose giuste di quel posto, lavandino, water ecc. anche se le pareti erano tutt’altro che normali.

Invece del solito rivestimento in piastrelle, infatti, erano in mattoni a vista, colorati a file alternate in tinte diverse e sporgenti di qualche centimetro, di modo che tra una fila e l’altra si creava una profonda rientranza. Il tutto faceva pensare alla stanza di Arlecchino e finiva col dare il capogiro.

Riflettendo che ormai in quella casa non avrebbe dovuto stupirsi più di niente, Gino si accinse all’operazione di svuotamento.

Stando in piedi davanti al water, nella posizione che si utilizza in simili frangenti, ed essendo piuttosto alto, poteva comodamente esplorare la fascia sporgente dei mattoni alla portata della sua vista, e d’un tratto la sua attenzione fu attratta da una macchia bianca sopra a dei mattoni blu.

Non riusciva a capire bene di cosa si trattasse, anche perché era in fondo vicino all’angolo del muro. Esaurita l’incombenza, Gino si avvicinò a quel punto bianco e scoprì con meraviglia che si trattava di un pezzetto di carta, stracciata forse in gran fretta, da un foglio di calendario.

Giratolo, si rese conto che c’erano delle parole scritte con calligrafia incerta e discontinua, e alcune sembravano sbiadite dall’umidità. Sforzandosi, ed essendo un appassionato di enigmistica, alla fine riuscì a capire qualcosa:

AI U  O       UN  UE      VOI   SIA  E     E’   U        OS RO

AT  IRA        OM  INI     CI    FA    L   MORE        OI      LI          MA  ZA

SON      I    SCITO         AP   ARE        MA      ON              SCAMPO

GGITE          FIN              SIETE                  MPO.

Mano a mano che decifrava il senso di quelle parole sentiva salirgli sudori freddi per tutto il corpo. In definitiva il messaggio era piuttosto chiaro: si trattava di un avvertimento di uno sconosciuto, a quanto pare vittima di quella maliarda. Ecco, ora si spiegava il suo grande interesse per lui, il suo comportamento seduttivo.

“Hai capito la fata turchina!” si disse con un brivido il giovane, che era rapidamente uscito dall’atmosfera di grande eccitazione per entrare in quella di paranoia. “Ma se invece si trattasse di uno scherzo, magari una delle sue trovate?” si trovò a riflettere, cercando di scacciare l’idea fastidiosa che quella bella avventura non avesse il seguito sperato.

C’era però il fatto che lui era più alto di Beatrice, quindi lei non avrebbe mai potuto vedere quel pezzetto di carta infilato nella rientranza, anche se avrebbe potuto mettercelo salendo su qualche sgabello. “Già, e se invece è tutto vero?” cercava di razionalizzare, “chissà, magari usa qualche artificio per addormentare le sue….” Improvviso un lampo nel suo cervello: “Forse proprio quello spumante….per fortuna che io ne ho bevuto pochissimo…”

Ora propendeva nettamente per la veridicità di quel messaggio, per cui cominciò a pensare freneticamente che cosa gli convenisse fare. Un urlo da lontano gli interruppe il corso dei pensieri.

-allora…..sei…..morto?- La fata era impaziente, reclamava la sua vittima, “già, il bocconcino!”- pensò con un sorriso. Rassegnato, fece ritorno, cogitabondo, nella stanza. Beatrice stava sdraiata a pancia sotto, con le gambe in aria e guardava verso lo specchio dal quale lui riemerse, cautamente.

-E allora hai finito di giocare a nascondino?- Lo apostrofò, visibilmente adirata.

-Sì, sì- si affrettò a dire, restando in piedi, lontano per quanto possibile dal letto –ma sai non mi sento molto bene…forse è meglio che me ne vada…-concluse con aria da cane bastonato.

-Ma sentilo! Che bel tipo! Se ne vuole già andare…Ancora non ha combinato nulla, e già mi vuole lasciare!- Esplose la donna con sarcasmo. Poi sghignazzando e guardandolo torvo:

-Dai, su, vieni qui, che ti faccio vedere io come ti passano tutti i mali!- e così dicendo allungò una mano e afferratolo per una gamba del pantalone lo tirò a sé. Gino non riuscì ad opporre resistenza e finì di nuovo lungo disteso sul lettone. Certo, non dubitava delle sua capacità amatorie, di quello che la magnifica femmina gli avrebbe fatto provare, ma era del dopo che ormai si preoccupava.

Lei ancora una volta lo stava schiacciando con il suo corpo, ma lui non reagiva. Sicuramente se qualcuno avesse assistito a quella scena: lei scatenata, sopra di lui freddo come un baccalà, avrebbe solo potuto pensare che fosse un poco frocio. Questo pensiero gli attraversò per un attimo la mente facendolo reagire, almeno per una questione d’onore virile. Così abbracciò stretto il corpo fremente di lei, che intanto andava mormorando: –Certo che sei ancora bello vispo. –

Bastò questa frase per fargli scattare una molla, collegare il fatto dell’avvertimento, dello spumante, e fargli tornare la paura. Cercò di divincolarsi nuovamente dalla stretta della donna, che invece non aveva alcuna intenzione di mollarlo e anzi lo avvinghiava con maggiore forza, anche con le gambe, mentre cercava manipolando abilmente di risvegliargli l’eccitazione.

Allora, costretto a ricorrere alle maniere forti, l’afferrò per i capelli dando uno strattone violento. Beatrice urlò di dolore e lasciò la presa, così che lui riuscì a scattare in piedi e a scappare da quella trappola violacea.

-Ma che ti prende?- si lamentò lei -sei impazzito, per caso?-

-Eh no! Cara mia, non sono pazzo, io. – Si mise a gridare –Non so che numero avrei dovuto essere delle tue conquiste, ma è certo che stavolta ti è andata male e non ho nessuna intenzione di essere la prossima vittima sacrificale. Cara la mia Landru in gonnella!-concluse tutto d’un fiato.

Poi allungando la mano afferrò la sua bella camicia che spiccava su tutto quel viola. Fece poi per scattare verso la cortina di veli, ma lei, con uno stupefacente riflesso si mosse a sua volta e allungando il braccio, mentre lanciava grida furiose, riuscì ad afferrare un lembo della camicia, che tirata da ambo le parti, finì per lacerarsi restando per la maggior parte nella mano di lei.

Gino comunque non si fermò certo per recuperarla, volò letteralmente oltre la parete-cortina, attraversò a velocità olimpionica la grande stanza pentagonale, spalancò la porta e fuggì via. Con qualche rimpianto.

Rimpianto. che solo tempo dopo ebbe modo di cancellare definitivamente, perché, lungi dall’aver dimenticato quella strana avventura, si era chiesto più volte se veramente fosse scampato ad una tragedia o se invece avesse semplicemente sprecato in modo imperdonabile una così ghiotta occasione.

Finché un giorno gli capitò di leggere sul giornale questa notizia:

<<Arrestata giovane donna imputata dell’omicidio di 12 uomini. Sono ancora in corso le indagini per stabilirne le identità. Da quanto si apprende dagli organi inquirenti, la donna, certa Beatrice Finzi, si serviva della sua avvenenza per attirare uomini incontrati casualmente nella sua abitazione, dove dopo averli irretiti con le più raffinate arti erotiche, li narcotizzava con dello spumante, quindi li uccideva, generalmente strozzandoli. Non contenta, dimostrando un evidente stato d’insanità mentale, provvedeva a sezionare i corpi per poi bruciarli dentro una capace stufa, all’interno della quale infatti, sono stati trovati resti carbonizzati. Nella sua casetta, appartata in località Chiesa Rossa, sono stati rinvenuti vari oggetti maschili, tra cui una camicia strappata stile Elvis Presley gialla. Probabilmente tutto ciò che rimane della sua ultima vittima>>.

di Gianluigi Redaelli

Lascia un commento