Amazzoni e robot – Seconda parte – Nona puntata

 

Era stato troppo bello per essere vero. Poter rivoluzionare la Galassia cosí in quattro e quattr’otto. Ora Mandy era troppo spaventata e stupita per poter essere razionale. Pensò per un attimo che lei forse era la prima donna della Galassia cacciata da altre donne. Quelle amazzoni, ne era sicura, fino ad allora avevano combattuto soltanto contro robot. Nonostante la paura ancestrale che le metteva adrenalina nel corpo e carburante alle gambe, prima della sua vita temette per quella di Argo. Troppo tardi diede al robot l’ordine che forse avrebbe potuto salvarlo. L’automa obbedí al suo programma inserito. Alla vista delle donne reagí come qualsiasi robot della Galassia avrebbe fatto.

Puntò il suo cannoncino a energia contro le amazzoni e dal suo altoparlante urlò:

«Ferme o sparo!»

«No!» urlò Mandy «scappa nel bosco, seguimi.»

Troppo tardi. I programmi dei robot non ammettevano contrordini. Avrebbe sicuramente obbedito a lei dopo il conseguimento di tutto il programma. Ma prima doveva seguire tutte la prassi.

Sparò in aria e urlò: «La prossima volta mirerò ad altezza di donna.»

Ma non vi fu una prossima volta. La scalmanata ufficiale con un ghigno sadico sulla bella bocca puntò il suo fucile a energia. Seguì un’esplosione e un attimo dopo di Argo restavano soltanto rottami fumanti nell’erba.

Mandy restò in piedi esterrefatta e in preda allo stesso dolore che si prova quando una persona cara muore.

Si poteva amare un robot o considerarlo un amico? Ora lei capiva quanto fosse affezionata a quel mostro di metallo. Per la prima volta si sentì sola e schiaccata da una Galassia cattiva che le stava crollando addosso. Ora capiva quello che aveva provato Ippolita nell’episodio in cui la sua scudiera era stata trafitta dalle frecce delle scagnozza della regina Nera. Ma no. Si disse. Morto un robot se ne fa un altro.

Mandy localizzò la quello che restava della testa di Argo. E fu lesta a raccogliere il rottame dove era inserito il computer centrale, cioè il centro dati dove l’identità di Argo era inserita. Se fosse riuscita a sopravvivere forse avrebbe potuto ricostruire un altro Argo con la stessa “personalità” del primo.

Nel mondo normale, generalmente si moriva solo di vecchiaia. Ma talvolta capitavano incidenti. In quel caso anziché la solita clonazione mista si prendeva un campione della deceduta prematuramente e ne si faceva una copia esatta. E anziché i soliti nove mesi nelle incubatrici artificiali si usavano i processori rapidi. In quel modo, in pochi giorni, la copia perfetta della deceduta era ricreata nell’età di prima della morte. Le amiche o la famiglia non avevano il tempo di piangere la cara estinta, ed ecco che una doppiona tornava a casa dopo un paio di giorni.

Un raggio le passò sopra la testa riportandola alla realtà. Avrebbe resuscitato Argo più tardi. Ora si trattava di salvare la propria pelle. Non era sicura che quelle forsennate avessero l’intenzione di farne una copia dopo averla incenerita. Sentí l’ufficialessa che sembrava avere il comando delle amazzoni urlare un ordine: «Non sparate cretine, la voglio viva.»

L’ufficialessa aveva alzato la canna del fucile dell’amazzone che le aveva sparato. Per questo l’ aveva mancata. Riuscì a guardare il volto dell’amazzone col grado più alto ricordandone la voce.

La riconobbe. Era Mildred Harris, anche lei detenuta a PURGATORIO 3.

Non perse tempo ad almanaccare come mai quella si trovasse lì al comando di amazzoni. Al momento doveva fuggire.

“Venite a prendermi se siete capaci” pensó Mandy e corse veloce verso il bosco. Le amazzoni le furono dietro. Ora le sembrava di vivere in uno dei giochi interattivi di realtà virtuale abbinati alle storie delle amazzoni.

Ringrazió di aver passato giornate a giocare. Ora stava vivendo in una delle storie proibite. La cosa la affascinò. Stringendo i resti di Argo si buttò nel sottobosco. La caccia alla donna era iniziata.

 

Mil era come al solito seccata dei limiti dettati dalla sua parte umana a quella robottica. Era in procinto di catturare la fuggiasca. Ormai era questione di tempo. E invece aveva dovuto interrompere la sua direttiva primaria per adempiere a una funzione banale e perditempo come quella di orinare. Altrettanto banale e perditempo di quella di mangiare. Minuti preziosi sbattuti via. Oltre al fatto di doversi appartare dalle subalterne a causa di un rituale cretino come quello della pudicità e della vergogna. Ma la parte umana dettava legge: forza e debolezza al contempo.

Fece in modo di finire il più presto possibile, dopodiché sarebbe ritornata austera ed autoritaria a dare l’ordine finale di circondare il bosco. E allora, questione di poche ore la fuggiasca sarebbe stata in sua mano e la promozione a generale pure. Un secondo dopo i suoi sogni di gloria vennero infranti da qualcosa che la aggredí da di dietro.

Sentí infilarsi a forza della stoffa appallottolata in bocca e si sentí tirata indietro. La parte robottica del cervello che a un attacco a distanza soleva reagire istintivamente rimase inattiva: i robot non erano programmati a un attacco corpo a corpo. L’unica parte del cervello che reagí fu quella umana. La prima reazione fu quella di gridare ma quel tappo in bocca glielo impedí. Tentò di sputarlo, ma si accorse che un altro straccio le veniva arrotolato intorno alla testa e annodato dietro la nuca. Si accorse che le sue reazioni andavano al rallentatore mentre la sua avversaria (ormai aveva capito che si trattava di una donna e non di un robot) continuava ad avere il sopravvento.

Si sentí trascinare via qualche secondo dopo di aver cercato la salvezza nel tentare di afferrare il fucile ad energia, ora ormai lontano dalla sua portata. Vide le proprie gambe scalciare inutilmente al vento oltretutto impacciate dai pantaloni e dalle mutandine calate a mezza gamba. La parte umana di Mil non era abituata alla lotta, tipico delle donne delle classi alte buone soltanto a circondarsi di guardie del corpo robottiche (e questo valeva anche per le cibernofobe). Per questo che ora ogni suo tentativo di liberarsi si rivelò inutile.

Avrebbe potuto afferrare la pistola a raggi, ma l’istinto la portò invece a tentare di togliersi il bavaglio con entrambe le mani. Il risultato fu soltanto quello di ritrovarsi i polsi legati in un sol colpo da un nodo scorsoio. Poi vide una mano e un braccio nudi che arrotolavano un legaccio attorno al suo corpo. Soltanto allorché le braccia furono completamente immobilizzate le venne in mente che avrebbe potuto benissimo sfoderare la pistola e sparare dietro le spalle. Poi fu il buio. Anche gli occhi le vennero bendati. Si sentí trascinare sull’erba che le inumidiva le natiche nude.

Mil, il colonnello Mil, il terrore dei robot, dal grilletto facile e che guidava all’assalto decine di amazzoni era ora spaventatissima in balia di una nemica sconosciuta. Sapeva che le libidinose violente solevano catturare e immobilizzare in quel modo le proprie vittime per sottometterle alle loro voglie. E quando nel buio artificiale della benda sentí le mani della propria catturatrice toccarla, temette il peggio. Lancío un lamento soffocato, ma poi si tranquillizzó allorché sentí l’altra tirarle su biancheria e calzoni e, invero gentilmente ricomporla e allacciarle la cintura. Poi le vennero legate le caviglie, venne costretta in piedi e sollevata sulle spalle della rapitrice e trasportata via.

Fu solo allora che la parte cibernetica si svegliò. Qualcuna l’aveva fatta prigioniera, il che significava che lei era impedita a proseguire la direttiva primaria e servire Klea, distruggendo robot e guidando le truppe del Superregno alla vittoria. E nella sua mente cominciarono a combattere due desideri contrastanti. Uno era quello di provare il tutto per tutto per essere liberata. Per questo cominciò a scalciare, a dimenarsi e a lamentarsi nella speranza di essere udita.

Dall’altro angolo vegliava il timore che le sue prodi amazzoni la vedessero in quello stato alquanto imbarazzante, più simile a una vitella catturata da un robot vaccaro che ad un colonnello delle Amazzoni. La cosa puzzava di degradamento. E l’umiliazione si fece ancora piú grande allorché la sua rapitrice cominció a parlarle.

«Stai buona tu, da brava bambina. Tanto siamo lontane dalle tue amiche. Adesso ti porteró in un posto dove nessuno ti troverá.»

“Brava bambina” a un colonnello delle Amazzoni. Quella donna doveva essere sicura di sé ed estremamente forte. Camminarono per circa mezzora. Poi Mil si accorse che faceva caldo. Dovevano essere entrati in quelche edificio.

Si sentí mettere a sedere su una comoda sedia. La benda agli occhi le venne tolta e Mil vide finalmente il volto della sua rapitrice. Vestiva soltanto un giubbotto e un perizoma. Viso, gambe e braccia nude erano dipinte con colori mimetici. Non portava armi. Incredibile. Era stata fatta prigioniera da una donna disarmata. Si vide già davanti ad un ufficiale che le toglieva i gradi. Colonnello delle amazzoni, armata di fucile e pistola a energia quasi in presenza di cinquanta soldatesse armate, catturata da una donna di mezza grandezza disarmata e seminuda. Sarebbe ritornata caporale. La fine di una brillante carriera.

Poi riconobbe la donna dipinta.

CONTINUA

di Paolo Ninzatti

Dicembre 12, 2023

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