Amazzoni e robot – Seconda parte – Terza puntata

CAPITOLO III

Costellazione del Cavallo. Spazio al largo del pianeta Barbara. Agosto 2114 D.E.

La sesta flotta imperiale era in pieno assetto di guerra. Le sue unità cibernetiche erano le più avanzate e moderne della Galassia. Centodieci navi da battaglia e cinquanta enormi trasporto truppe. Ma il roboammiraglio LP 48 non ne era affatto orgoglioso. Non che la flotta non fosse in grado di destare ammirazione, visto che le astronavi, oltre ad essere efficienti, erano anche estremamente belle e scintillanti e i robot soldati erano delle unità metalliche snelle dai movimenti guizzanti ed estremamente veloci. La loro potenza di fuoco estremamente micidiale. Quello che non esisteva era il coraggio. Il roboammiraglio non era orgoglioso della sua armata per il semplice fatto che l’ idea di “orgoglio” non era programmata nel suo computer, cosí come l’idea di “coraggio” non esisteva nei meandri elettronici delle truppe al suo comando. Non che al momento in cui fosse arrivato il momento di menare le mani metalliche quei soldati sarebbero scappati a gambe di nichel levate. Tutt’altro. I soldati avrebbero combattuto fino all’ ultima vite. Non sarebbero indietreggiati neppure per salvare le loro esistenze cibernetiche e i loro microchip. Non avevano niente da perdere. Morto un robot, se ne faceva un altro. L’istinto di conservazione, come del resto l’orgoglio, il coraggio o la paura, erano dei sentimenti. Privilegi della Donna, essere razionale in carne e ossa. I robot erano freddi, logici, razionali e ubbidienti a una direttiva primaria: fedeltà all’Impero. Non quel patriottismo tipico della Donna, amore per il proprio pianeta o sistema o Stato. No. Neppure spirito di corpo. Soltanto cieca fedeltà per un padrone. Mercenari, schiavi. Neppure spinti dall’odio verso un nemico. Gli avversari avevano lo stesso metallico colore e la stessa mentalità ciberbetica. Niente idee del tipo: Noi i buoni, loro i cattivi. Noi bianchi, loro neri. O la Dea è con noi. Niente di tutto questo. E questo era la forza di quel tipo di armata. O la sua debolezza. Desciplina di ferro. Nel senso quasi letterale della parola.

La Sesta flotta aveva avuto l’ordine di difendere il settore della costellazione del Cavallo. Cento e passa pianeti abitati da miliardi oltre a migliaia di asteroidi ricchi di miniere ed a pochi anni luce di distanza. Una concentrazione di ricchezze, uno dei centri più fiorenti dell’Impero.

E il roboammiraglio LP 48 sapeva che l’armata di latta di Klea, non appena si fosse decisa a condurre la guerra secondo le regole, avrebbe cercato di occupare proprio il Cavallo. Era la cosa più logica da fare. Quello che LP 48 non riusciva a ficcarsi nel computer era come mai da ben un anno dall’inizio della guerra le Armate del Superregno avevano sempre attaccato pianeti poveri primitivi senza il minimo peso strategico. O pianeti penitenziario. Il Superregno aveva sottratto all’Impero la spazzatura. E l’Imperatrice Alexandra non aveva certo sprecato le sue metalliche legioni per riconquistare quei mondi inutili. La logica di LP 48 era giunta alla conclusione, che le armate della Reginissima evitavano uno scontro con il fior fiore delle Forze Armate dell’Impero perché erano consapevoli della loro inferiorità. Si sarebbero prese una tale batosta che sarebbero state ributtate nel loro settore a calci nel sedere per l’Iperspazio. Ciononostante nel suo computer era inserito il programma: mai sottovalutare il nemico.

Era solo questione di tempo e le armate nemiche secondo la logica avrebbero tentato la conquista del Cavallo. E il tempo era dalla parte dei robot. L’impazienza non era nei loro programmi. Un anno, dieci centomila; era lo stesso.

Fu cosí che, allorché dall’Iperspazio sbucarono venti navi da guerra con lo stemma del Superregno con la chiara intenzione di sbarcare sul pianeta Barbara, non ci fu l’eccitazione della battaglia imminente, niente adrenalina o quisquiglie umane. Soltanto lo stesso freddo automatico accendersi dei sensori. La sensibilità di un tostapane; il temperamento di una caffettiera. Il senso dell’eroismo di un aspirapolvere automatico. Il sentimento di Patria di un ascensore.

E pochi minuti dopo iniziò la battaglia.

Il roboammiraglio LP 48 aveva mille occhi e mille orecchie. Vedeva e sentiva via i sensori delle migliaia dei suoi robot e delle sua navi da guerra. Pensava agiva e dava ordini e nello stesso tempo seguiva tutti le fasi della battaglia.

Ma quello che vide e sentí non aveva precedenti nelle sue memorie storiche di altre battaglie simili nel passato.

Le navette da sbarco nemiche avevano giá vomitato migliaia di unità robottiche. La strategia da usare era quella di sbarcare le proprie e ingaggiare battaglia. Robot contro robot.

Ma non appena LP 48 vide attraverso i suoi soldati le unità nemiche non credette ai suoi sensori. Mai visto niente di simile. Un modello nuovo. Me non era la forma che quasi mandò in tilt la sua logica. Fu il modo di combattere. La velocità e la prontezza di riflessi erano di qualche decimo di secondo più veloci delle pur avanzaissime unità al suo comando. Le giunture di quelle unità scorrevano meglio. E il risultato era che queste fecero scempio di qualche migliaio dei suoi robot e non appena i rinforzi attaccarono le truppe della Reginissima… indietreggiarono e si barricarono, come se … inaudito, volessero conservare se stesse a discapito della direttiva primaria. Poi un’ora o dieci dopo contrattaccarono, e con una strategia mai vista fatta di finte e ritirate sbaragliarono le sue unità di terra. Nel frattempo nello spazio i piloti delle astronavi da battaglia adottando la medesima tattica di finte ritirate e manovrando con una scioltezza inaudita e senza una logica precisa con bordate a raggi energetici disintegrarono una dopo l’altra la sua Armata. E pochi secondi prima che la nave ammiraglia venisse colpita da un missile e trasformata in in una cometa di metallo incandescente LP 48 aveva inserito nel suo computer il concetto di “sconfitta” con la stessa mancanza di sentimenti di un gioco nel quale allo schermo appare la scritta GAME OVER.

Poi fu la notte cibernetica.

E la bandiera de Superregno sventolò per tutti i pianeti del Cavallo.

CONTINUA

di Paolo Ninzatti

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