La Grande Muraglia Verde per salvare l’Africa

La Grande Muraglia Verde è un progetto guidato dall’Africa con un’ambizione epica: sviluppare un’enorme striscia di vegetazione che attraversa tutto il paese con l’obiettivo di fornire cibo e un futuro a milioni di persone che vivono in una regione in ginocchio a causa dei cambiamenti climatici. Una volta completata, si estenderà per 8mila km e sarà la più grande struttura vivente sulla Terra e una nuova Meraviglia del Mondo.

Essa nasce al confine meridionale del deserto del Sahara, nella regione del Sahel, uno dei luoghi più poveri del pianeta e una delle aree più a rischio per via degli effetti dei cambiamenti climatici, dei quali milioni di abitanti stanno già affrontando l’impatto devastante.

Dalla nascita dell’iniziativa nel 2007, la speranza di una nuova vita è diventata più concreta, grazie anche a una maggiore sicurezza alimentare, posti di lavoro e stabilità,

Si tratta di una pionieristica iniziativa guidata dall’Unione Africana che sta operando per creare un vasto sistema (o mosaico) di paesaggi produttivi verdi tra il Nord Africa, il Sahel e il Corno d’Africa; dalla nascita del progetto nel 2007, la speranza di una nuova vita è diventata più concreta, grazie anche a una maggiore sicurezza alimentare, posti di lavoro e stabilità.

Il progetto richiederà anni per essere portato a termine. La Grande Muraglia Verde sarà lunga 8.000 km, larga 15 km e coprirà 11 paesi.

La Great Green Wall for the Sahara and Sahel Initiative coinvolge oggi più di 20 paesi della regione sahelo-sahariana, tra cui Algeria, Burkina Faso, Benin, Ciad, Capo Verde, Gibuti, Egitto, Etiopia, Libia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan, Gambia, Tunisia.

Oltre 60 anni fa, Richard St. Barbe Baker, durante una spedizione propose di realizzare una “barriera verde” per contrastare l’avanzata del deserto. L’idea è stata poi riproposta nel 2002 al summit di N’Djamena (Ciad) in occasione della Giornata Mondiale per la Lotta alla Desertificazione e alla Siccità. È stata approvata dalla Conferenza dei capi di Stato e di Governo della Comunità degli stati del Sahel e del Sahara nel corso della loro settima sessione ordinaria tenutasi a Ouagadougou (Burkina Faso) nel 2005.

Più che la linea di alberi inizialmente immaginata, l’iniziativa punta a un mosaico di interventi volti anche allo sviluppo delle zone rurali rafforzando gli ecosistemi; tra gli altri saranno piantate delle acacie, alberi resistenti alla siccità, le cui radici conservano acqua nel suolo.

Il progetto richiederà anni per essere portato a termine. La Grande Muraglia Verde sarà lunga 8.000 km, larga 15 km e coprirà 11 paesi.

 Sebbene la muraglia sia attualmente completato solo per il 15% circa, ha già avuto un impatto molto importante sui paesi coinvolti.

In Nigeria sono stati ripristinati 5 milioni di ettari di terra degradata. In Senegal sono stati piantati alberi resistenti alla siccità su circa 12 milioni di ettari di terra. In Etiopia sono stati ripristinati ben 37 milioni di ettari di terreno.

“La Grande Muraglia Verde non è solo per il Sahel. È un simbolo globale per l’umanità che supera la sua più grande minaccia, il nostro ambiente mutevole. Ci dimostra che se possiamo lavorare con la natura, anche in posti impegnativi come il Sahel, possiamo superare le avversità e costruire un mondo migliore per le generazioni future” si legge sul sito ufficiale.

Non solo lotta ai cambiamenti climatici. L’iniziativa sta trasformando la vita di milioni di persone fornendo terreni fertili, uno dei beni naturali più preziosi dell’umanità, sicurezza alimentare, posti di lavoro verdi, dando reddito reale alle famiglie, ponendo un freno all’emigrazione ma soprattutto è un simbolo di pace nei paesi in cui i conflitti continuano a minacciare la popolazione.

“Stiamo aumentando la resilienza al cambiamento climatico in una regione in cui le temperature dovrebbero salire più velocemente rispetto a qualsiasi altra parte della Terra”.

La soluzione è sempre offerta da Madre Natura, basta solo ascoltarla.

Fonte: Greenme, articolo di Francesca Mancuso

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