I Sette contro Tebe – 3 di 3

La dinastia dei Labdacidi

Laio tornò dall’esilio ed ascese al trono di Tebe; egli prese in moglie Giocasta, figlia di Meneceo (un altro rampollo della nobiltà locale)[1].

Un oracolo aveva avvertito Laio di non generare figli, perché se avesse mai avuto un erede questi avrebbe causato la morte del padre; non si esclude che, in questo modo, la divinità intendesse punire il re di Tebe per avere rapito, in gioventù, Crisippo, un giovinetto di cui si era invaghito.

Fatto sta che Laio decise, in un momento di ubriachezza, di unirsi alla moglie, che per volontà divina rimase incinta.

Terrorizzato per via dei presagi dell’oracolo, Laio diede ordine di abbandonare il neonato sul monte Citerone dopo avergli legato le caviglie, orribilmente trafitte con uno spillone.

Il bambino venne così esposto sui monti, destinato a morte certa; tuttavia, il caso volle (ma fu veramente il caso?) che a trovarlo fossero i mandriani di Polibo, il re di Corinto, i quali lo portarono al cospetto della famiglia reale.

Il sovrano, ancora privo di una discendenza, d’accordo con sua moglie Peribea decise di adottarlo; il fanciullo venne chiamato Edipo, che nell’antica lingua degli Elleni significa “quello dai piedi gonfi”.

Il giovane Edipo, pur se afflitto sempre dalla disgrazia dei suoi piedi deformi, crebbe forte e vigoroso e superava in prestanza tutti i suoi coetanei: un triste giorno, tuttavia, egli venne a lite con un rampollo della nobiltà di Corinto che, per invidia, lo apostrofò chiamandolo bastardo.

Il ragazzo ne chiese ragione a Polibo e Peribea, i quali gli fornirono risposte estremamente evasive.

Divorato dal demone del dubbio, Edipo si recò a Delfi, per interrogare la Pizia sulle sue origini; la sacerdotessa del dio Apollo diede una risposta che terrorizzò il figlio adottivo dei re di Corinto: l’oracolo impose al questuante di non tornare mai più nella sua terra patria, altrimenti avrebbe ucciso suo padre e si sarebbe unito in amore con sua madre.

Edipo – ritenendo che i suoi veri genitori fossero Polibo e Peribea – decise di non tornare a Corinto ma di percorrere la penisola ellenica in direzione opposta; arrivato nella regione della Focide con il suo carro, giunse ad un crocevia e si fermò perché un altro carro gli sbarrava la strada;

l’altro viaggiatore e il suo araldo, in modo piuttosto arrogante, gli fecero cenno di cedere la strada per far passare, ma l’orgoglioso Edipo non obbedì e rimase fermo.

L’araldo, infuriato, si avvicinò a Edipo e gli uccise uno dei cavalli; l’uomo dai piedi deformi, preso da un feroce attacco di rabbia, scese dal suo carro e venne alle mani con i due viandanti; nello scontro, i due sconosciuti ebbero la peggio e vennero uccisi.

Ignorava, l’infelice Edipo, di avere appena ucciso suo padre Laio e il suo servo Polifonte.

La notizia della morte del sovrano gettò lo sconforto a Tebe; a quel punto, assunse la reggenza Creonte, fratello di Giocasta e figlio di Meneceo.

In questo periodo, la città venne sconvolta da un ancor più grave flagello: la Sfinge; figlia di Echidna e di Tifeo, l’orribile creatura aveva un volto di donna con il corpo di un leone e le ali di uccello. Le Muse le avevano insegnato un enigma che il mostro, stando seduta sul monte Ficio, poneva a tutti i viandanti.

Il quesito che la Sfinge poneva ai malcapitati abitanti della Beozia è talmente famoso che non può non essere citato: “Qual è l’animale che al mattino cammina a quattro zampe, a mezzogiorno con due e la sera con tre?”. Gli sventurati che non riuscivano a risolvere l’enigma venivano divorati dalla figlia di Tifeo.

Poiché i Tebani avevano ascoltato un oracolo, secondo il quale si sarebbero liberati della Sfinge solo quando avessero risolto il suo enigma, Creonte fece diffondere un bando: chiunque fosse riuscito a trovare la risposta al terribile quesito, avrebbe ottenuto il regno di Tebe e la vedova di Laio in sposa.

Per puro caso, a passare da quelle parti e ad incontrare la Sfinge fu proprio Edipo, che riuscì a trovare la soluzione; il famigerato animale altri non era che “l’uomo”, che da piccolo si muove a quattro zampe, da grande è in posizione eretta e si appoggia ad un bastone in vecchiaia.

La Sfinge, umiliata dall’ingegno di Edipo, si gettò da una rupe e morì[2].

Edipo giunse a Tebe, accolto da una folla festante: egli ottenne così il regno e, inconsapevolmente, si unì in matrimonio con la regina Giocasta, sua madre.

Dall’unione di Edipo e Giocasta nacquero due figli maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine: Antigone ed Ismene.

[1]    Le fonti sulle origini di Meneceo sono incerte; alcuni ritengono che egli discendesse dagli Sparti, mentre altri autori ne fanno il nipote in linea diretta del re Penteo.
[2]   Si potrebbe obiettare che il quesito non fosse poi così difficile. In effetti, la popolazione della Beozia era famosa in tutto il mondo ellenico per una profonda tradizione religiosa, non fosse altro per la presenza dell’oracolo di Delfi; appartene-vano infatti a questa regione i poeti ESIODO e PINDARO, caratterizzati da una forte pietas. Tuttavia, essi avevano una nomea (alimentata dai loro vicini e rivali Ateniesi) di persone poco intelligenti, tanto è vero che ancora oggi il termine “beota” è sinonimo di individuo piuttoso ingenuo e sciocco.

I discendenti di Edipo

Il regno di Edipo fu contraddistinto da un lungo periodo di pace e prosperità: i sinistri presagi della Pizia, tuttavia, erano destinati ancora una volta a sconvolgere le vite della casa reale di Tebe, già funestata da molte disgrazie[1].

Una terribile pestilenza, infatti, cominciò a devastare la capitale della Beozia; il nobile Creonte venne quindi inviato a consultare ancora una volta l’oracolo di Delfi per per conoscere le cause dell’epidemia.

Il fratello di Giocasta riferì che la Pizia aveva sentenziato che Tebe era contaminata, poiché l’omicida di Laio era rimasto ancora impunito.

Edipo, a questo punto, interrogò l’indovino Tiresia[2] affinchè gli svelasse l’identità dell’assassino, ma questi si rifiutò di rispondere provocando una esplosione d’ira del sovrano.

La regina Giocasta, a questo punto, cercò di calmare il sovrano rammentandogli quante volte gli oracoli si fossero dimostrati fallaci: allo stesso Laio era stato profetizzato che sarebbe stato ucciso da suo figlio; in verità, il vecchio re era morto per via di alcuni banditi incontrati sulla strada per Delfi.

Edipo venne sconvolto da queste rivelazioni, rammentando a sua volta di avere ucciso uno sconosciuto ad un crocevia, non molto lontano da Delfi.

Preoccupati dal turbamento del sovrano, servi e cortigiani gli consigliarono di non trarre conclusioni affrettate e raccogliere prima le testimonianze di chi aveva assistito all’assassinio di Laio.

Giunse nel frattempo un messo da Corinto, che annunciò la morte del re Polibo di Corinto, di cui Edipo era unico erede: il re di Tebe, pur rattristato dalla notizia, fu sollevato nell’apprendere che non era stato lui a causare la morte del padre, come aveva profetizzato il dio Apollo;

il messaggero, tuttavia, riferì candidamente che Edipo non era il vero figlio di Polibo, ma era stato adottato; un pastore della casa di Laio lo aveva raccolto dal monte Citerone e portato a Corinto.

Edipo, a questo punto, convocò il servo di Laio e cominciò ad interrogarlo; questi ammise di aver ricevuto l’ordine di esporre un bambino dalle caviglie forate ma, avendone pietà, aveva preferito consegnarlo ai servi del re Polibo.

Avendo compreso l’orribile verità (di essere cioè il figlio di Laio e di avere sposato la madre), Edipo impazzì per la vergogna; Giocasta, umiliata, si impiccò, mentre il re di Tebe si trafisse gli occhi con le fibbie del vestito della moglie.

Il monologo di Edipo, che brancola cieco nel palazzo reale di Tebe, è un capolavoro della letteratura universale:

Oh nozze, a me deste la vita

e fecondaste poi lo stesso seme

onde alla luce vennero insieme

padri, figli, fratelli, incestuosa stirpe,

e figlie e mogli e madri e quanti orrori

più sozzi mai fra i mortali si scorsero.

SOFOCLE, Edipo re, vv. 1403-1410 (traduz. A. Romagnoli)

 

Il figlio di Laio venne scacciato da Tebe, accompagnato dalle sue figlie femmine (Antigone ed Ismene), che non vollero abbandonare il padre, ormai cieco e ripudiato da tutti; nessun conforto gli venne invece dal cognato Creonte e dai suoi figli;

fu per questo motivo che Edipo lanciò una maledizione contro i suoi discendenti maschi, colpevoli di avergli negato il suo aiuto nella triste circostanza dell’esilio.

Amaro fu il commento degli anziani di Tebe nel constatare la disgrazia di Edipo:

Or vedete, o Tebani, questo Edipo […]

in qual baratro è piombato di terribile sciagura.

Or mirando questo giorno luttuoso non far stima

che beato sia alcuno dei mortali,

se prima scevro d’ogni orrido male

non sia giunto al dì fatale.

SOFOCLE, Edipo re, vv. 1523-1530 (traduz. A. Romagnoli)

 

Edipo giunse quindi a Colono, in Attica, presso il recinto sacro delle Eumenidi; lì si fermò come supplice, con l’ospitalità di Teseo, e poco tempo dopo morì[3].

[1]    Il dramma di Edipo è oggetto della tragedia “Edipo re” di SOFOCLE, capolavoro indiscusso del teatro greco.
[2]   Figlio di Evere e della Ninfa Cariclo – discendente di uno degli Sparti – Tiresia era un famoso indovino, afflitto dalla cecità. Di come subì questa menomazione si raccontano storie diverse. Alcuni infatti sostengono che Tiresia fu accecato dagli dèi, quando rivelò i loro segreti; Ferecide dice che fu folgorato da Atena, per averne visto le nudità. Altri ancora sostengono che egli avrebbe perso la vista per aver preso le parti di Zeus in una disputa con Hera, cosa che gli costò l’ira della dea. Esiodo racconta anche che un giorno Tiresia vide sul monte Cillene due serpenti che si aggrovigliavano in amore: li ferì, e da uomo che era divenne donna, ma poi, avendo visto una seconda volta gli stessi serpenti aggrovigliati in amore, di nuovo ritornò uomo.
[3]   Gli ultimi anni di Edipo sono narrati in un’altra tragedia di SOFOCLE: “Edipo a Colono”.

 

I Sette contro Tebe[1]

Dopo l’esilio del padre Edipo, il diritto a succedergli sul trono spettava ai suoi discendenti Eteocle e Polinice, i quali si accordarono per regnare un anno ciascuno.

La brama di potere, tuttavia, portò ancora una volta alla rovina i reggitori di Tebe; trascorso il suo anno di regno, infatti, Eteocle si rifiutò cedere lo scettro al fratello.

Polinice, bandito da Tebe, giunse nell’Argolide portando con sé solamente la collana e il peplo che Cadmo aveva donato alla moglie Armonia come regalo di nozze.

A quell’epoca regnava nella regione Adrasto, figlio di Talao, che accolse Polinice a palazzo come ospite; quella stessa notte, tuttavia, il figlio di Edipo venne alle mani con un altro ospite della corte di Argo: Tideo, figlio di Oineo, esule da Calidone.

Destato da quell’improvviso strepito, Adrasto accorse e separò i due contendenti; a quel punto, egli si ricordò di un oracolo che gli aveva detto di “aggiogare le figlie ad un cinghiale e ad un leone”; gli emblemi dei due esuli portavano incisi, rispettivamente, la testa di un cinghiale e quella di un leone, ragion per cui il re dell’Argolide li scelse come generi.

Tideo si unì in matrimonio con una delle figlie di Adrasto, Deipile, mentre Polinice ebbe in sposa l’altra figlia Argia; ad entrambi i parenti acquisiti, Adrasto promise che li avrebbe reinsediati nella loro patria.

Il re dell’Argolide decise di intraprendere per prima una spedizione contro Tebe e radunò tutti i capi argivi; uno di essi, Anfiarao figlio di Oicleo, si mostrò molto riluttante a partecipare alla guerra e tentò di scoraggiare anche gli altri condottieri: egli era infatti un indovino e aveva in qualche modo presagito che sarebbe perito nell’assedio.

Per convincere Anfiarao a partecipare alla guerra, Polinice avvicinò Erifile, moglie dell’indovino, e le regalò la collana di Armonia, pregandola di persuadere suo marito ad unirsi alla spedizione.

Tempo addietro, infatti, Anfiarao aveva avuto una lite con Adrasto ed Erifile li aveva riconciliati; in quell’occasione, l’indovino aveva giurato, in caso di future divergenze, di rimettersi sempre alla moglie per ogni decisione. Erifile, corrotta dal dono di Polinice, convinse il marito a intraprendere la spedizione contro Tebe.

 

I Sette contro Tebe

Adrasto radunò un esercito con sette comandanti (uno per ciascuna delle porte di Tebe) e partì per la guerra. I comandanti erano: Adrasto, figlio di Talao; Anfiarao, figlio di Oicleo; Capaneo, figlio di Ipponoo; Ippomedonte, figlio di Aristomaco; Polinice, figlio di Edipo; Tideo, figlio di Oineo; Partenopeo, figlio di Melanione[2].

Giunti a Nemea, dove regnava Licurgo, i Sette cercarono dell’acqua; ad indicare loro la strada per una sorgente fu la nutrice del piccolo Ofelte, rampollo del re; il bambino, lasciato incustodito mentre la donna mostrava la fonte ai soldati, fu però ucciso da un serpente.

Gli uomini di Adrasto, ritornando dalla fonte, schiacciarono il rettile e seppellirono il bambino. In onore del piccolo defunto, i Sette istituirono i Giochi Nemei, destinati ad avere importanza anche in epoca storica.

Quando giunsero al monte Citerone, gli Argivi inviarono Tideo come ambasciatore da Eteocle, per invitarlo a lasciare il regno a Polinice, secondo gli accordi; ma questi rifiutò sdegnato.

Gli Argivi si armarono e si avvicinarono alle mura della città; ciascun comandante si pose davanti a una delle sette porte. Anche Eteocle armò i Cadmei e dispose altrettanti condottieri davanti alle porte.

I Tebani chiesero all’indovino Tiresia di rivelare loro come sconfiggere i nemici; questi predisse che gli assediati avrebbero conquistato la vittoria se Meneceo, figlio di Creonte, si fosse offerto in sacrificio al dio Ares; sentito il responso, il giovane si tagliò la gola davanti alle porte di Tebe.

Iniziata la battaglia, i Cadmei furono ricacciati indietro: Capaneo stava per scalare le mura di Tebe, ma ebbe l’ardire di pronunciare espressioni ingiuriose nei confronti degli dei, per cui Zeus lo incenerì senza pietà.

Il teatro di Padova, che riproduce le mura di Tebe

La battaglia andava ormai da molto tempo e i morti erano già numerosi, per cui entrambi gli eserciti decisero di affidare le sorti della guerra ad un duello tra Eteocle e Polinice; i due fratelli, però, si uccisero a vicenda lasciando irrisolto il problema dell’esito della contesa.

Di nuovo si riaccese un’aspra battaglia, nel corso della quale venne ucciso Partenopeo, uno dei sette condottieri venuti da Argo.

Melanippo, il più giovane dei condottieri tebani, sfidò Tideo e lo colpì mortalmente al ventre; mentre il figlio di Oineo giaceva ormai in fin di vita, la dea Atena – impressionata dal suo valore e dal suo coraggio – ottenne dal padre Zeus il privilegio di portargli un filtro, che l’avrebbe reso immortale.

Anfiarao odiava Tideo dato che, contro il suo parere, aveva convinto gli Argivi a far guerra contro Tebe; avendo presagito l’intervento divino, egli tagliò la testa di Melanippo e la lanciò al figlio di Oineo; questi la afferrò e divorò il cervello del nemico. Quando vide la scena, Atena ne fu inorridita e lasciò morire il suo protetto.

Di lì a poco i Tebani lanciarono l’ultima, decisa offensiva; gli assedianti fuggirono in rotta: non uno dei Sette riuscì a tornare vivo in patria, tranne Adrasto che fuggì in groppa al suo cavallo Arione.

Anfiarao scappò lungo il fiume Ismeno e stava per essere colpito alla schiena da una lancia, ma Zeus lanciò un fulmine e spaccò la terra; l’indovino venne inghiottito insieme al suo carro e al suo auriga.

Creonte prese nuovamente il potere a Tebe: come primo atto d’imperio, egli lasciò insepolti i cadaveri degli Argivi, proibendo a chiunque di sotterrarli (anche a Polinice, che sino all’ultimo aveva agito come nemico della città, vennero negati gli onori della sepoltura).

Adrasto giunse ad Atene, si rifugiò presso l’Altare della Pietà e, preso in mano il bastone dei supplici, implorò che i suoi morti venissero tumulati. Gli Ateniesi allora combatterono insieme a Teseo contro i Tebani e riuscirono ad ottenere i corpi degli Argivi affinchè i loro familiari potessero seppellirli.

Antigone, una delle figlie di Edipo, riuscì invece ad eseguire di nascosto il rituale della sepoltura sul fratello Polinice, ma venne scoperta dalle guardie di Creonte.

Il vecchio despota condannò a morte senza alcuna pietà la nipote, colpevole di aver violato le leggi della sua città; invano, Antigone rivendicava l’esistenza di leggi non scritte, come quelle sulla pietas nei confronti dei propri cari defunti: la figlia di Edipo venne sepolta viva in una tomba[3].

La famiglia reale di Tebe venne funestata da una ulteriore tragedia: Emone, figlio di Creonte, essendo stato promesso ad Antigone preferì suicidarsi piuttosto che sopravvivere all’amata.

Creonte rimase così solo e abbandonato da tutti, chiuso nella sua odiosa e solitaria tirannide.

[1]   Anche queste vicende furono fonte di ispirazione per il teatro greco: “Le Fenicie” di EURIPIDE e i “Sette contro Tebe” di ESCHILO.
[2]    Alcuni autori non comprendono nell’elenco dei sette Tideo e Polinice e vi aggiungono invece Eteoclo e Mecisteo.
[3]    L’eroismo della figlia di Edipo ispirò a SOFOCLE un’altra tragedia: “Antigone”.

 

Gli Epigoni

Dieci anni dopo la guerra dei Sette contro Tebe i figli dei guerrieri caduti (denominati gli Epigoni) decisero di muovere nuovamente battaglia alla Cadmea per vendicare la morte dei loro padri.

Essi, prima di dare inizio alla spedizione consultarono l’oracolo di Delfi e il dio profetizzò che gli assedianti avrebbero vinto la guerra solo se si fossero messi sotto il comando di Alcmeone, figlio di Anfiarao.

Alcmeone, in verità, non aveva nessuna intenzione di mettersi a capo della spedizione; acconsentì solo su pressione della madre, poichè Tersandro, figlio di Polinice, donò a Erifile il peplo di Armonia e la donna convinse i suoi figli a combattere[1].

Gli Epigoni si misero quindi in marcia contro Tebe; secondo la tradizione, i condottieri alla guida dell’impresa furono: Alcmeone e Anfiloco, figli di Anfiarao; Egialeo, figlio di Adrasto (l’unico, in verità, a sopravvivere alla spedizione dei Sette tra gli Argivi); Diomede, figlio di Tideo; Promaco, figlio di Partenopeo; Stenelo, figlio di Capaneo; Tersandro, figlio di Polinice; Eurialo, figlio di Mecisteo.

Gli invasori dapprima saccheggiarono i villaggi del contado; poi, i Tebani avanzarono sotto il comando di Laodamante, figlio di Eteocle, che era succeduto a Creonte.

Edipo e la Sfinge

I Cadmei combatterono valorosamente (il loro sovrano uccise in duello Egialeo), ma quando Alcmeone uccise il re Laodamante i Tebani fuggirono verso le mura.

Tiresia consigliò di inviare agli Argivi un messaggero per trattare la resa e di fuggire: i Cadmei allora inviarono un araldo ai nemici, caricarono donne e bambini sui carri e si allontanarono dalla città (durante la fuga, Tiresia bevve dalla sorgente chiamata Tilfussa e ne morì); i Tebani viaggiarono a lungo, poi costruirono la città di Estiea e vi si stabilirono.

Gli Argivi, quando si accorsero della fuga dei Tebani, entrarono in città, raccolsero il bottino e rasero al suolo le mura. Una parte del bottino di guerra (compresa Manto, la figlia di Tiresia) venne mandata a Delfi come dono ad Apollo[2].

Tersandro divenne così il nuovo re di Tebe; tempo dopo, egli venne chiamato a dare il suo contributo nella guerra di Troia, alla quale partecipò trovandovi la morte.

Finisce così la triste e sanguinosa saga dei discendenti di Cadmo: uno dei racconti più turpi e raccapriccianti mai concepiti dalla memoria dell’uomo, ma anche una delle fonti di ispirazione più prolifiche ed appassionanti per artisti, poeti e drammaturgi da oltre tremila anni.

[1]     Dopo la spedizione, quando Alcmeone venne a sapere che Erifile si era di nuovo lasciata corrompere anche a suo danno, si indignò ancora di più nei confronti della madre e su consiglio dell’oracolo di Apollo la uccise. Da allora le Erinni del matricidio lo perseguitarono e Alcmeone, in preda alla follia, fuggì di regione in regione sino a quando non giunse alle sorgenti dell’Acheloo, dove il fiume lo purificò e gli diede in sposa sua figlia Calliroe. Alcmeone colonizzò la terra che l’Acheloo aveva formato con la sua corrente, e vi si stabilì.
[2]    Il sacco di Tebe da parte degli Epigoni è documentato anche dall’archeologia.

 

 

 

di Daniele Bello

 

Giugno 6, 2017

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