Intervista al… personaggio! – Valerie Sweets

Valerie Sweets

“Salve… è lei Valerie Sweets?” La mora seduta al bancone del Rusty Bar restò con la mano a mezz’aria, reggendo un bicchiere con dentro due dita di quello che probabilmente era whiskey, vista anche la bottiglia mezza vuota appoggiata davanti a lei. Lentamente girò il capo, squadrandomi dalla testa ai piedi, quindi alzò il sopracciglio destro.

“No, sono la regina d’Inghilterra.” Rispose, biascicando leggermente, prima di bere in una sola sorsata il whisky rimasto nel bicchiere, sbattendolo poi con violenza sul bancone. Quella risposta così secca mi lasciò interdetto, non sapendo come replicare; ci pensò lei a proseguire al posto mio. “Sono le due e un quarto del mattino, nel locale non c’è nessuno oltre me e Carl il barista.” Detto ciò si rivolse alla persona interessata, un uomo di mezz’età, stempiato, con un paio di vistosi baffoni e un ventre rotondo e sporgente. “Avanti Carl, saluta il nostro amico giornalista.” Il barista, dietro il bancone ad una discreta distanza, stava leggendo un giornale disinteressandosi di ciò che stava accadendo.

“Quello è il tuo amico giornalista. Diventerà anche il mio amico giornalista quando prenderà qualcosa da bere.”

“Sempre molto amichevole. Comunque, tornando a noi, visto che ti ho detto io di venire qui a quest’ora, è abbastanza ovvio che io sia Valerie Sweets, non credi?”

“Sì, certo… la mia era solo cortesia…” Risposi un po’ imbarazzato mentre prendevo posto accanto a lei sedendomi su uno sgabello. Valerie accennò un sorriso.

“Cortesia, già… davvero una bella cosa…” Sentite quelle parole mantenni ancora il silenzio, non sapendo come rispondere, anche se effettivamente non credo che lei si aspettasse una risposta. Una volta in posizione aprii la mia borsa a tracolla prendendo il blocco appunti e il registratore, appoggiandoli sul bancone; nel frattempo lei aveva riempito nuovamente il bicchiere versando altro whiskey dalla bottiglia.

“Per prima cosa volevo ringraziarla per avermi concesso questa intervista, è davvero…” Provai a dire, sempre per cortesia, ma lei mi interruppe di colpo.

“Bevi.” Disse spingendo il bicchiere davanti a me e fermandosi a fissarmi: un paio di ciuffi dei suoi capelli le stavano cadendo davanti al volto e davanti ai suoi occhi coperti da una discreta dose di trucco scuro. Io mi bloccai, abbassando lo sguardo e fissando il liquido ramato all’interno del bicchiere: l’odore stava colpendo le mie narici anche a quella distanza.

“No, mi dispiace, io non bevo…” Lei continuò a fissarmi senza muovere un muscolo.

“Ho detto bevi.”

“Io non credo che sia una buona idea, io…”

“La vuoi questa intervista o no?”

“Sì, ma…”

“Allora bevi.” Concluse indicando il bicchiere, quindi prese la bottiglia per il collo. “Sto aspettando.” Sembrava proprio inamovibile, lo vedevo dal suo sguardo. Ma volevo quell’intervista… Presi un profondo sospiro, quindi con un movimento secco strinsi il bicchiere e bevvi il suo contenuto tutto d’un sorso, mentre lei faceva lo stesso bevendo direttamente dalla bottiglia.

“Bravo, così si fa.” Disse mentre io faticavo a trattenere le lacrime ed ero scosso da alcuni fremiti.

“Ora possiamo iniziare?” Dissi faticando persino a parlare.

“Se non muori entro qualche secondo, direi di sì.” Rispose lei accennando un sorriso mentre riprendeva il bicchiere.

“No, credo che sopravviverò. Grazie per l’interessamento.”

“In realtà non è che m’interessi più di tanto…” Rispose lei senza neanche guardarmi; sentite quelle parole mi fermai ad osservarla con disappunto.

“Prego?”

“E dai che stavo scherzando… cercavo di rompere il ghiaccio.” Quindi prese una sigaretta presa dal pacchetto accanto alla bottiglia. “Non ti dispiace se fumo, vero?” Disse poi mettendosela fra le labbra.

“Beh, a dire il vero io non fumo e…” Mentre dicevo queste parole lei aveva già acceso la sigaretta dando le prima boccate. “Fa niente.” Conclusi scuotendo la testa. “Accendo il registratore.” Dissi premendo il tasto REC, quindi presi la penna pronto a prendere appunti sul mio taccuino. “Partiamo con le domande semplici: quanti anni ha?”

“Trentacinque…” Rispose per poi bloccarsi alzando la mano destra. “No, trentasei. Almeno credo…” Il fatto che avesse fatto fatica a dirmi persino la sua età mi lasciava parecchio perplesso sulle sue condizioni.

“E da quanti anni è nella polizia?” Lei alzò lo sguardo, dondolando leggermente mentre pensava alla risposta.

“Questa è una domanda difficile… Ho iniziato a diciotto anni, fai tu il conto che al momento mi riesce complicato.” Di male in peggio: la fissai di sbieco mentre lei beveva ancora una sorsata di whiskey dal bicchiere.

“Se smettesse di bere forse le riuscirebbe meno difficile rispondere alle mie domande…” Sentite quelle parole lei si bloccò, quindi ruotò la testa fissandomi con uno sguardo che mi fece rabbrividire.

“Faccio finta di non aver sentito.” Disse sibilando, facendo intendere chiaramente che non avrebbe smesso di bere per nulla al mondo; decisi quindi di lasciar perdere e proseguire con la prossima domanda.

“Mi parli del suo ruolo nella polizia.”

“Sono tenente della squadra speciale anticrimine del distretto di polizia di Cold Hill.”

“Da quanto tempo ricopre questa carica?”

“Un’altra domanda difficile… diciamo sei anni, però con una pausa di tre.” Quella risposta mi stupì, non capendo cosa intendesse per pausa.

“Una pausa di tre anni?”

“Già, diciamo che per un certo periodo sono stata un po’ impegnata a fare altro, invece che ricoprire il mio ruolo di tenente. Come si dice, cause di forza maggiore…” Conclusa la frase accennò ad un sorriso socchiudendo gli occhi.

Valerie Sweets

“E può specificare qualcosa su questa pausa?”

“Al momento preferirei evitare.”

“Sono brutti ricordi?” Chiesi, nella speranza di scovare se quella persona seduta al mio fianco avesse anche delle emozioni, oltre ad una passione sfrenata per il bere.

“Brutti ricordi… che posso dire… anche. Non ho solo brutti ricordi di quel periodo ma… ma preferirei non parlarne.” Avendo ricevuto una seconda risposta negativa lasciai perdere, forse ci sarei tornato sopra più tardi.

“Devo ammettere che esteticamente non sembra una tenente di una squadra speciale anticrimine. È vero che ora è fuori servizio, ma mi hanno detto che anche quando lavora non è tanto diversa da come è ora…”

“Ed è così. Per la gioia del mio capitano…” Rispose lei sfoggiando un largo sorriso. “Non mi piace vestirmi come un pinguino come fanno gli altri ufficiali del mio distretto. Preferisco indumenti comodi e anche un po’ alternativi.” Disse ovviamente riferita al giubbotto di pelle e agli anfibi che indossava. “E poi tempo fa ero anche più estrema, ormai sono quasi normale. Quasi.”

“Lo stesso vale per il trucco?”

“Già, il capitano mi stressa anche per quello, ma ormai ha capito che non riuscirà a cambiarmi. E poi mi serve a coprire un po’ le occhiaie che mi porto dietro dopo anni di notti quasi insonni.”

“Quindi i suoi superiori si sono arresi?”

“Diciamo che è un piccolo prezzo che devono pagare per avermi con loro. Comunque il piatto della bilancia pende di molto dalla mia parte: chi se ne frega se mi trucco un po’ e indosso vestiti poco consoni ad un tenente di polizia, riesco a risolvere più casi di tutti i miei colleghi messi insieme e la metà dei criminali che sono prigione ce li ho sbattuti io…”

“Davvero? Così tanti?” Posi quella domanda con un tono che diceva chiaramente che quelle affermazioni mi sembravano un po’ esagerate.

“Forse non così tanti, però sicuramente più degli altri. Diciamo che so fare abbastanza bene il mio lavoro, è una delle poche cose di cui posso andarne fiera…”

“Nonostante il…” Dissi indicando la bottiglia e il bicchiere. Valerie parve infastidita da quella affermazione.

“Già, nonostante il…” Ripeté lei con voce distorta scimmiottandomi. “Possiamo passare alla prossima domanda?” Chiese infine.

“È sposata? O ha qualcuno a cui tiene particolarmente?” Lei girò lo sguardo fissandomi seria e arricciando le labbra, poi si indicò col dito.

“Guardami attentamente e pensa alla domanda che hai appena posto. Ho la faccia di una persona sposata?”

“Beh, secondo me è una donna attraente, tralasciando il problema dell’alcolismo.” Sentite quelle parole lei scoppiò a ridere.

“E così sono una donna attraente. Cazzo, devo farle più spesso queste interviste per aumentare la mia autostima.” Disse prima di fare un breve pausa. “Hai sentito, dice che sono attraente!” Aggiunse poi, rivolta alla bottiglia sul bancone. Io restai immobile, credendo, e sperando, di essermi sbagliato.

“Mi scusi ma… ha appena parlato con la bottiglia?” Chiesi sporgendomi in avanti.

“Certo, avevo bisogno di qualcuno che mi tenesse compagnia mentre ti aspettavo, e Carl il barista non è molto amichevole.” Il diretto interessato rispose con un grugnito senza togliere gli occhi dal giornale.

“E quindi ha fatto amicizia con quella bottiglia di whiskey?”

“Ti assicuro che è molto più simpatica di tante persone che ho conosciuto.” Sentita quella risposta sorrisi incredulo.

“Magnifico… E cosa dice la bottiglia?” Visto che ormai eravamo entrati nell’argomento ero curioso di vedere dove saremmo andati a parare.

“Secondo lei sei un coglione e dice che dovrei interrompere questa intervista.”

“Bene, questa è una cosa che racconterò volentieri la prossima volta con gli amici al bar: una bottiglia di whiskey pensa che sono un coglione.” Lei indicò la bottiglia e poi alzò le mani.

“L’ha detto lei, io non c’entro.”

“Facciamo finta di niente prima che la bottiglia mi insulti nuovamente, proseguiamo con le domande. Ha dei parenti o amici ai quali tiene particolarmente?” Sentita la domanda lei si scaldò leggermente sbuffando.

“Oh andiamo, ma che domande del cazzo sono? Cos’è la tua, una rivista di gossip? Prima mi chiedi se sono sposata, poi se ho dei parenti ai quali tengo… ma fammi delle domande come si deve una buona volta! Che razza di giornalista sei?” Quella reazione mi stupì, bloccandomi per alcuni secondi.

“Ad esempio, secondo lei, quale potrebbe essere una domanda come si deve?”

“Potresti chiedermi se ieri ho sparato nella faccia a qualcuno.” Rispose lei con disinvoltura senza neanche guardarmi, mentre spegneva la sigaretta nel posacenere.

“Ah… se ieri ha… ha sparato nella faccia a…”

“Esatto, se ieri ho sparato nella faccia a qualcuno. Avanti, me lo chieda.” Arrivati a quel punto temevo la risposta, ma non potevo fare altro che porre quella domanda.

“Ieri ha sparato nella faccia a qualcuno?”

“No.” Rispose lei secca continuando a fissarmi. La risposta mi stupì, perché visto che era stata lei a consigliarmi tale domanda, credevo che ci sarebbe stato un esito positivo, per quanto potesse essere strano sentirsi dire con tanta leggerezza di aver sparato in faccia a qualcuno.

“E quindi…”

“Quindi potresti chiedermi se l’altro ieri ho sparato nella faccia a qualcuno.” Rispose lei subito senza farmi finire la frase. Sentite quelle parole sospirai.

“L’altro ieri ha sparato nella faccia a qualcuno?”

“No.” Chiusi gli occhi e accennai un sorriso, mordendomi il labbro inferiore.

“Dove vuole andare a parare? Se è uno scherzo sappia che…”

“E chi scherza? Io addirittura ti sto aiutando a fare il tuo lavoro! Sei tu il giornalista e io ti devo consigliare che domande farmi!”

“Sì ma…”

“Perché invece non mi chiedi direttamente quando è stata l’ultima volta che ho sparato in faccia a qualcuno? Forse facciamo prima, non credi?” Sospirai profondamente.

“Quando è stata l’ultima volta che ha sparato in faccia a qualcuno?” Lei alzò lo sguardo fermandosi a pensare.

“Direi quattro… no, cinque giorni fa.” Detto ciò riportò lo sguardo su di me, aspettando una mia risposta. Effettivamente tutto questo gioco delle domande mi aveva innervosito, ma anche distolto dal vero senso della domanda, e sentire la sua risposta me lo sbatté nuovamente davanti: quella donna aveva appena detto di aver sparato nella faccia a qualcuno cinque giorni prima.

“Ed era… era un cattivo?” Valerie rise di gusto sentendo quella domanda.

“Oh sì, molto cattivo. Altrimenti perché avrei dovuto sparargli nella faccia?”

“E cosa aveva fatto per meritarsi una pallottola in testa?”

“No, attenzione, ho detto che gli ho sparato nella faccia, non in testa.” Mi soffermai alcuni secondi ad analizzare quella risposta.

“E fa differenza?”

“Se spari in testa a qualcuno vuol dire che hai mirato in questa zona…” Disse indicandosi la fronte con l’indice, muovendo il dito in orizzontale. “Invece se dici di aver sparato nella faccia a qualcuno vuol dire che hai mirato a questa zona.” Concluse muovendo il dito in cerchio tra gli occhi, il naso e la bocca.

“E quella zona non fa comunque parte della testa?” Lei socchiuse gli occhi fissandomi per qualche secondo con un chiaro disappunto.

“Bisogna differenziare le due cose in qualche modo.” Sorrisi ancora sentendo quella risposta, alzando le mani.

“Ok, non mi sembra il caso di discutere su una cosa simile…” Mentre dicevo ciò aggiunsi ai miei appunti la differenza tra sparare nella faccia o nella testa a qualcuno, sottolineando le parole vista l’importanza che aveva per lei. “Comunque le avevo chiesto perché quel tizio si è meritato un pallottola in faccia.”

“Stava concludendo un rito per cercare di aprire un portale che conduce ad un’altra dimensione, in modo che alcuni demoni possano passare nella nostra e conquistarla.” Diede questa risposta tutta d’un fiato e con fin troppa leggerezza, lasciandomi abbastanza stupito.

“Un’altra dimensione e… demoni?” Riuscii a dire ripassando quelle parole nella mia mente.

“Come dici?” Disse Valerie rivolta alla bottiglia. “Oh… sì, credo tu abbia ragione.” Detto ciò si rivolse nuovamente a me. “Ma tu mi hai anche creduta?” Quindi rise battendosi una mano sul ginocchio. “Ma che credulone che sei! Ti ho preso in giro!” Disse indicandomi. Sentite quelle parole accennai un sorriso sforzato.

“Quindi non c’è nessuna altra dimensione, e nessun demone che vuole passare dalla nostra parte?”

“Ma certo che no, hai visto troppi film horror.” Concluse secca accompagnando il tutto con un cenno della mano, distogliendo lo sguardo da me e cercando di far morire l’argomento; durante quella pausa però la vidi chiaramente far un cenno di intesa alla bottiglia.

“E allora a chi ha sparato nella faccia?” La domanda la colse di sorpresa, facendola sobbalzare come se stesse pensando ad altro.

“Eh?”

“Mi ha detto che cinque giorni fa ha sparato a qualcuno, ma non mi ha ancora detto il perché, visto che non stava aprendo un portale per un’altra dimensione. Oppure era falso anche quello?”

“No, no, quello è vero, ho sparato davvero in faccia a quel tizio… perché…”

“Perché…” La incalzai io.

“Perché era uno stupratore! L’ho colto sul fatto e lo stavo arrestando, ma ha opposto resistenza attaccandomi con un coltello e durante la colluttazione sono stata costretta a sparargli.”

“Nella faccia?”

“Beh, quando lotti con qualcuno che ha un coltello non fai molta attenzione a dove spari. Oh ma chi se ne frega? Lui era uno stupratore, stava minacciando la mia vita e mi sono difesa. Caso chiuso.” Era chiarissimo che era una balla, ma sentivo che sarebbe stato difficile farle dire la verità, stava tenendo nascosto qualcosa che non voleva rivelarmi, anche se la risposta di prima riferita ad un’altra dimensione e ai demoni mi lasciò pensieroso. Ragionai sulla domanda successiva: mentre facevo ciò la vidi versare altro whiskey nel bicchiere, quindi ne bevve un piccolo sorso.

“Lei beve sempre così tanto o è solo per stasera a causa mia?” Chiesi indicando bicchiere e bottiglia. Lei rise prima di rispondere.

“Oh no caro, non è causa tua. Molto tenero a pensare una cosa del genere. No, decisamente no, bevo per altri motivi.”

“E posso sapere quali sono?”

“Ed eccoci alla solita domanda… la gente mi chiede perché bevo… e la risposta è sempre la solita: per dimenticare, come fanno tutti quelli che bevono.”

“Dimenticare… e cosa, se posso chiedere? Ha a che fare con la pausa che ha citato prima?”

“Anche, ma non solo. Tutto quella che sono costretta ad affrontare col mio lavoro nella polizia, la violenza, la depravazione e la criminalità che permeano questa città. E tutto ciò mi aveva portato a sbronzarmi prima di quell’altra cosa. Figuriamoci ora…” Quell’ultima parte stuzzicò la mia curiosità.

“Altra cosa?” Lei volse lo sguardo verso di me, fissandomi con un velo di tristezza, in una maniera che finora non aveva mai fatto, visto che aveva sempre mantenuto un atteggiamento duro e anche strafottente.

“Già caro amico, quell’altra cosa. Perché ci sono cose che vanno oltre ai criminali, ai ladri, agli stupratori e agli assassini. Ci potresti credere? Beh, sappi che c’è qualcosa di ben peggiore. E indovina un po’ chi deve intervenire? Io, la fottuta supereroina di turno. Però se vogliono che ricopra quel ruolo devono accontentarsi e prendersi una supereroina alcolizzata.” Concluse finendo il whiskey nel bicchiere.

“Ma i supereroi non esistono…” Dissi per cercare di stuzzicarla.

“Hai dannatamente ragione. I supereroi non esistono.” Confermò con un sospiro. “Oppure sì? Ho conosciuto una persona una volta, che mi ha detto che per essere dei supereroi non è necessario avere un nome altisonante e uno stupido costume colorato. Ci ho messo un po’ a capirlo, ma ora sono convinta che abbia ragione.” Concluse lei accennando un mezzo sorriso triste, fissando un punto indefinito del bancone, anche se ero sicuro che nella sua mente c’era altro in quel momento. Segnai quella frase sottolineandola più volte: di tutta l’intervista fatta fino a quel momento era sicuramente una delle parti migliori.

“E quindi lei si ritiene una supereroina?”

“Non sono di certo io a doverlo dire. Lascio che siano gli altri a dirlo, se proprio devono.”

“E su questo posso essere d’accordo.” Sentita quella frase Valerie sorrise chiudendo gli occhi e sospirando.

“In effetti non sembro troppo una supereroina, vero?” Chiese con tono scherzoso.

“Effettivamente no, però è risaputo, l’abito non fa il monaco. Perché non mi racconta qualcosa che può farmi cambiare idea? Se qualcuno pensa che lei sia una supereroina, avrà fatto qualcosa per meritarsi tale titolo, giusto?”

“Ti piacerebbe che ti raccontassi qualcosa di veramente tosto, vero? Mi dispiace, ma credo che resterai a bocca asciutta, ti ho detto anche troppo… ed è tutta colpa sua!” Concluse indicando la bottiglia. “Ah no, e allora di chi è la colpa? Sei tu che hai tutto quel buon whiskey…” Decisi di interromperla prima che iniziasse a litigare con la bottiglia porgendole un’altra domanda.

“Ma non vuole raccontarmi altro perché son cose che le causano dolore con i brutti ricordi o…”

“O semplicemente a volte è meglio non sapere.” Concluse mesta.

“Non sapere… cosa?” Valerie preferì non rispondere; mise una mano nella tasca dei jeans lasciando alcune banconote accartocciate accanto alla bottiglia ormai vuota, quindi scese dallo sgabello, appoggiando una mano al bancone dopo aver barcollato lievemente, trovando un equilibrio sufficiente qualche secondo dopo. Fatto ciò si mosse fermandosi in piedi accanto a me.

“Tanto tempo fa ho conosciuto un ragazzo. Ero giovane e lui mi piaceva molto, e non ho problemi ad ammettere che ce la siamo spassata assieme. Durante le prime volte che ci frequentavamo gli chiesi che lavoro faceva. Sai cosa mi ha risposto?” Era ovvio che non conoscessi la risposta, quindi scossi la testa. “Lui mi rispose che faceva il cacciatore di zombie.” Conclusa la frase sorrise e io la seguii, anche se non avevo ancora capito dove voleva arrivare, quindi la lasciai proseguire. “A quel punto io gli dissi di non prendermi in giro, perché gli zombie non esistono. E lui mi ha guardata dritta negli occhi, ha accennato un sorriso e mi ha risposto: questo vuol dire che sono molto bravo nel mio lavoro.” Mi soffermai ad analizzare questo piccolo aneddoto che mi aveva appena raccontato, giusto dopo l’ennesimo rifiuto di dirmi quello che realmente la spinge a bere, quindi era chiaro che le cose erano collegate.

“Ma… cosa vuol dire…”

“Prima che tu lo chieda, no, non era un cacciatore di zombie, soltanto un ragazzo simpatico che è riuscito a strapparmi un sorriso con quella battuta. Diciamo che però questa frase potrei usarla anch’io, anche se non con gli zombie.” Io continuai a fissarla, scuotendo leggermente la testa.

“Ancora non capisco…”

“Ci sono cose che è meglio non sapere e non vedere, altrimenti il mondo intero vivrebbe nel panico. E se domani accenderai la televisione e al telegiornale parleranno, che ne so, di una rapina in banca o di una prostituta sgozzata, per quanto possa essere assurdo, vorrà dire che sono brava a fare il mio lavoro.”

“Ma il suo lavoro è essere tenente di una squadra anticrimine, e se accadono cose come quelle da lei nominate, vuol dire che il suo lavoro non l’ha fatto molto bene.” Chiesi ingenuamente e Valerie sorrise.

“Ma io non sto parlando di quel lavoro. Ascolta il mio consiglio, continua a vivere nel mondo che conosci, perché oltre a questo, per quanto sia difficile da credere, c’è solo di peggio. Lascia che siano i supereroi a vivere, combattere e anche morire in quel mondo. Perché è questo che fanno i supereroi, no?” Concluse allargando le braccia sfoggiando un sorriso strano che non riuscii ad identificare. Senza aggiungere altro si mosse verso l’ingresso del locale e io restai a fissarla con uno sguardo da ebete. Valerie Sweets aprì la porta e si fermò sulla soglia, dedicandomi un’ultima occhiata e accennando un sorriso, quindi uscì dal locale sparendo dalla mia vista, lasciandomi con un milione di domande conficcate nel cervello. E qualcosa mi diceva che sotto quello spesso strato fatto di alcolismo e whiskey c’era molto altro, che purtroppo non ero riuscito a far uscire…

Manuel Marchetti, autore della trilogia urban fantasy “Valerie Sweets”Pagina Facebook

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