La mazza e il tuono

La mazza e il tuono, racconto di Paolo Ninzatti

6 novembre. Anno del Signore 1517

 

Il Muso Duro, il guerriero aquila, non credeva alle profezie. Chiacchere da preti, o disfattisti. Huitzilopoctli, il dio Colibrì, proteggeva il popolo eletto, i Mexica, figli di Aztlan.

Aveva studiato storia nelle scuole calmecac e sapeva che solo gli imperi giunti nella fase della decadenza cadevano nella polvere, come Olmechi, Toltechi, Maya, rammollitisi negli agi e nella corruzione dopo lunghi periodi di grandezza. Prima o poi sarebbe anche accaduto ai Mexica.

Ma non, come affermavano gli aruspici, entro quattro anni. Non sarebbe stato né logico, né giusto. I Mexica erano in piena fase di espansione e conquista, Tenochtitlan era imprendibile, costruita nel mezzo delle acque del lago Texcoco. Solo quando gli imperi si chiudevano in difesa, allora sì che la loro caduta sarebbe stata prossima.

Ma lui e gli altri guerrieri aquila, avanguardie e messi a Meridione, erano la dimostrazione vivente dell’espansione mexica. Bastavano gli elmi a forma di testa d’aquila a far paura ai popoli inferiori che entro breve sarebbero caduti sotto il dominio della Triplice Alleanza. Un’offerta da non rifiutare.

Chi si fosse opposto avrebbe assaggiato l’affilata lama di ossidiana della mazza d’ordinanza di ogni guerriero aquila. Duecento anni addietro, il suo popolo era giunto dalla mitica Aztlan in quelle terre. I popoli locali li avevano disprezzati e derisi in quanto rozzi. Ma, duri e combattivi, avevano servito quei decadenti rammolliti e piano piano li avevano sottomessi, con la forza delle armi.

E ora Tenochtlitlan era la città più potente della Triplice Alleanza. Da vassalli a dominatori, copiandone la cultura e diventando ancora più raffinati dei vicini.

No, un popolo così forte non sarebbe caduto nella polvere! Meno che meno a causa degli inviati del Serpente Piumato che sarebbero giunti da Oriente. Semidei dalla pelle bianca sbarcati da canoe grandi come montagne sulle coste del Grande Lago. Favole per preti superstiziosi.

Il villaggio si stagliò all’orizzonte. Muso Duro accarezzò la lama della mazza. Ufficiamente erano lì solo come ambasciatori, ma l’ufficiale dei guerrieri non era molto ligio alla diplomazia.

Meglio fare vedere chi comandava, fin dall’inizio. Pugno forte e un paio di sacrifici al Colibrì, a Tonatiu, il Dio del Sole, e anche al Serpente Piumato, alla faccia delle leggende delle sue pallide incarnazioni. Le razze superiori erano quelle dalla pelle scura. Gente pallida e malaticcia erano esseri inferiori. Altro che semidei.

Non appena i suoi guerrieri marciarono per le strade del villaggio, il capo di quella comunità di bifolchi gli si inchinò davanti. In un nahuatl da becero ignorante disse qualcosa come “Serpente Piumato”. Ma certo, le profezie erano arrivate fino a quelle regioni lontane. E loro erano stati scambiati per inviati del dio. Stolti.

Troppo facile per uno che voleva menare le mani e marchiare col sangue l’egemonia mexica prossima ventura. Un conquista senza combattimento era per donnicciole. La sfida fu non appena mandò i suoi guerrieri ad arrestare tre giovani da sacrificare: un gruppo di uomini si oppose.

Erano armati di arnesi per coltivare la terra, ma avevano negli occhi la convinzione di avere gli dei dalla loro. Bene, si disse, visualizzando gole tagliate e ossidiana intrisa di sangue.

«Voi siete inviati dal gemello malefico del Serpente!» disse un uomo, risoluto.

«Non siamo inviati da alcun serpente» rispose Muso Duro. «L’Impero Mexica non ha bisogno di rettili cammuffati da uccelli per dominare. Bastano le nostre armi. Buttate i vostri giocattoli oppure ne assaggerete le lame.»

«Gli inviati del vero serpente sono già arrivati tra noi, dal cielo e in pace anche se il capo non vuole crederci perché si aspetta che arrivino a piedi e in armi. La loro medicina ha curato la cattiva magia dei vostri confratelli bianchi arrivati tra i Maya.»

«Stai vaneggiando, bifolco. Gli uomini bianchi non esistono.»

«Loro esistere, guerriero. Anche donne.»

L’essere pallido che aveva pronunciato la frase uscì da dietro il crocchio. Vestiva strani abiti. Seno e forme palesavano che si trattasse di una femmina, orribilmente pallida con capelli color del chokolat.

Non era sola. Un’altra dai capelli neri, ma gli occhi color foresta e lo stesso pallore malaticcio, si affiancò alla prima.

Il bifolco voleva far credere che gli inviati del Serpente Piumato fossero femmine che neppure parlavano correttamente il nahuatl. No, non era gente del genere che avrebbe fatto cadere l’Impero Mexica. Erano armate. Quella dalla chioma marrone sfoderò un lungo coltello argenteo, mentre la compagna brandiva una strana lancia corta a forma di croce.

«Me sfidare te duello, uomo aquila!» proferì la femmina.

Muso Duro accettò. La lunghezza del coltello dell’avversaria, doppia della sua mazza, avrebbe compensato la propria superiorità in quanto maschio. Un mexica doveva vincere con onore.

Muso Duro attaccò subito, intenzionato a spezzare la lunga arma, troppo sottile per essere robusta. Non voleva uccidere la donna, soltanto umiliarla. Un guerriero non ammazzava femmine.

Colpì. L’ossidiana della propria mazza si frantumò in mille pezzi. Si tirò indietro, evitando il fendente dell’avversaria. Non sapeva ora se gettarsi allo sbaraglio e morire da vero guerriero, oppure fuggire. Scelse la via del coraggio e si buttò.

La femmina gli fece lo sgambetto e lui cadde. L’avversaria gli puntò l’arma alla gola. Gli altri guerrieri infransero la regole del duello, attaccando in massa, mazze in mano. La donna dagli occhi verdi fece altrettanto e si intromise brandendo la strana arma.

Un attimo dopo, un tuono e un lampo si scaturì da essa. La foga dei guerrieri aquila venne frenata. Un altro tuono e, per magia, la mazza di un guerriero si spezzò. E ancora un tuono, e un’altra arma si frantumò. Le convinzioni di Muso Duro andarono anch’esse in pezzi. Quelle erano semidee, senza dubbio.

Non seppe se fu per salvare la propria vita, quella degli altri guerrieri o quella eterna nell’aldilà: Muso Duro si inchinò davanti alle pallide femmine.

La dea dalla chioma bruna gli raccontò tantissime cose e lui, in cambio e con orgoglio, descrisse l’Impero Mexica e la sua grandezza. Lei gli parlò del Regno degli Dei da cui ella veniva, la cui capitale era anch’essa una città costruita sull’acqua e solcata da canali, dal nome più facile da pronunciare che non Tenochtitlan: Venezia.

La dea predicò che il Serpente non voleva sacrifici umani. E lui, ormai convertito, le credette. Ma, sapeva, avrebbe dovuto tenersi per sé tali rivelazioni. Qualche prete avrebbe potuto accusarlo di blasfemia e lui avrebbe preferito finire i propri giorni in un campo di battaglia anziché su un altare sacrificale.

La dea, che si chiamava Atena, promise che un giorno, lei, e l’altra dea con l’arma che tuonava, Artemide, sarebbero arrivate a Tenochtitlan, ad apprendere meglio la cultura mexica. Cosa che lo rese orgoglioso, anche se, aggiunse la dea, nessun popolo era superiore o inferiore a un altro.

Così aveva predicato il Serpente Piumato. Tutti gli uomini e tutti gli dei erano uguali, ciascuno nel proprio mondo.

10 novembre. Anno del Signore 1517

Lasciarono il villaggio che volevano conquistare, da conquistati. Ma la sconfitta non fu una perdita. Muso Duro si sentì arricchito. La vanagloria l’aveva portato a dubitare delle profezie. Ora, credeva a una variazione di esse.

Gli inviati del Serpente non erano venuti a distruggere, bensì a salvare. E la tanto temuta e vaticinata Fine dell’Unico Mondo era soltanto quella di un’era a cui sarebbe seguito un inizio con nuove premesse: niente più sacrifici umani, e altro.

E mentre camminava, udì un rumore come un battito d’ali di un uccello gigantesco che veniva dall’alto. Guardò in cielo e vide qualcosa che volava, dalla forma oblunga, diretta a Settentrione. Il Serpente? Subito dopo, una caligine si scaturì dal volatore, che lo trasformò in nuvola bianca. Le leggende affermavano che il Dio Serpente assumeva spesso tale forma. La candida nube sparì all’orizzonte.

I tempi stavano cambiando.

di Paolo Ninzatti

Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.

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