Le cinque invasioni – prima parte

LE CINQUE INVASIONI

TRADIZIONI CELTICHE TRATTE DALLE ANTICHE RUNE

Gli antichi sacerdoti della religione celtica, i Druidi, possedevano probabilmente delle dottrine segrete sull’origine del mondo e dell’uomo che essi, tuttavia, non vollero mai mettere per iscritto (presso i Celti, del resto, l’utilizzo della scrittura per la trasmissione del sapere era molto limitato e spesso circoscritto alla incisione di formule magiche ed esoteriche in alfabeto runico, su supporti spesso effimeri come il legno).

Per tale motivo, nelle più antiche storie sul principio di tutte le cose che questi popoli ci hanno tramandato, il narratore non comincia dal mondo, ma dal proprio paese di origine. La versione più interessante di questo genere letterario ci viene tramandata dalla letteratura irlandese.

1.

IL CICLO MITOLOGICO[1]

Nell’antico manoscritto del “Lebor Gabála Érenn” (il “Libro delle conquiste d’Irlanda”), compilato dai monaci irlandesi tra il secolo XI e il secolo XII, si narra che un giorno il monaco Finnen ricevette la visita di un guerriero molto vecchio, il quale disse di chiamarsi Túan, figlio di Starn e discendente dell’antichissima stirpe di Parthólon.

Il monaco capì che al guerriero era stata evidentemente donata una vita lunghissima, per cui fece celebrare la messa e recitare i salmi, quindi chiese a Túan di narrargli le storie dell’antichità. Il guerriero esordì:

Vi furono cinque invasioni,

nessuna prima del Diluvio.

E, dopo il Diluvio, nessuno giunse

se non dopo trecento e dodici anni.

Fu allora che Parthólon figlio di Sera

si stabilì in Ériu. [2]

Si apre così il Ciclo delle Invasioni, una delle leggende più antiche e famose della letteratura celtica.

Túan fu testimone di tutta la storia dell’antica Irlanda, poiché egli accompagnò la prima colonizzazione dell’isola al seguito di Parthólon, poi si incarnò in un cervo, in un cinghiale ed in un falco, prima di trasformarsi in un salmone di mare;[3] catturato dalla rete di un pescatore, venne portato alla moglie di Carell, un sovrano locale.

La moglie del re mangiò il salmone tutto intero e scoprì, subito dopo, di portare un figlio nel grembo, cui venne dato il nome di Túan, figlio di Carell. Il bambino, sin dall’inizio, riusciva a parlare come un adulto e ricordava tutto quanto assimilato nelle vite precedenti: sviluppò doti profetiche e, in vecchiaia, aderì al nuovo credo cristiano che San Patrizio aveva portato nell’isola.

Eriu dopo il diluvio

Secondo la leggenda, Parthólon e il suo seguito furono i primi a colonizzare l’isola di Ériu; fuggivano dalla loro terra natale, la Mygdonia (la Piccola Grecia), perché il loro capo si era macchiato di un terribile crimine, avendo ucciso il padre e la madre.

Parthólon figlio di Sera giunse così, esiliato, portando con sé ventiquattro uomini con le rispettive compagne e i servitori; in breve tempo la comunità crebbe e prosperò, arrivando a contare oltre cinquemila abitanti.

Dieci anni dopo la conquista dell’isola, i primi abitanti dell’Irlanda dovettero fronteggiare la stirpe dei Fomori, esseri giganteschi e deformi con una sola gamba ed un solo braccio, guidati da Cíchol il Senzapiede. Parthólon combatté contro questi demoni e li ricacciò nei mari del Nord, da dove essi saltuariamente calavano per delle scorrerie.

Il popolo di Parthólon si estinse a causa di una terribile pestilenza che flagellò gli abitanti di Ériu trecento anni dopo la battaglia combattuta contro i Fomori; uno solo si salvò e fu proprio Túan, figlio di Starn, il quale visse da solo per trent’anni vagando di roccia in roccia, di fortezza in fortezza, cercando riparo dai lupi.

Dopo l’improvvisa estinzione delle genti di Parthólon, a causa dell’epidemia, venne a conquistare Ériu la stirpe di Nemed, proveniente dai Greci di Scizia. Essi dissodarono le pianure, formando quattro laghi, e costruirono fortezze.

Anche Nemed dovette combattere ripetutamente contro i terribili Fomori dell’oltremare, che vennero sconfitti a più riprese, sia pure a costo di molte perdite. Anche questa volta, tuttavia, l’isola di Ériu venne funestata da una pestilenza, che uccise lo stesso Nemed e tremila abitanti del suo popolo.

I Fomori approfittarono allora della situazione di momentanea debolezza dei loro avversari per imporre agli irlandesi una odiosa tirannia. A quell’epoca, i due capi di quel popolo demoniaco erano Morc e Conann: essi costruirono nell’isola di Tor Inis[4] la loro roccaforte, detta da allora Torre di Conann, e imposero ai Nemediani pesanti tributi: due terzi del grano, del latte e dei figli dovevano essere consegnati ogni anno ai Fomori.

Le genti di Nemed, esasperate da quella tassa che li aveva condotti alla miseria più nera, si riunirono in assemblea e decisero di ribellarsi. Essi approdarono sull’isola di Tory e ne espugnarono la fortezza, che venne data alle fiamme; lo stesso Conann dei Fomori perì nel corso della battaglia.

L’assalto della Torre di Conann, grande evento,

contro Conann il grande figlio di Febar:

gli uomini di Ériu vi andarono,

tre nobili principi con loro.

I Fomori, tuttavia, tornarono alla riscossa con truppe fresche guidate da Morc, che sterminò la stirpe di Nemed: solo trenta superstiti sopravvissero alla strage e tornarono mesti nella loro terra di origine.

L’isola di Ériu rimase deserta per trecento anni prima di essere nuovamente colonizzata dal popolo dei Fir Bolg, discendenti di Semeon della stirpe di Nemed, che era sopravvissuto al massacro della Torre di Conann.

La stirpe dei Fir Bolg aveva vissuto per secoli in terra di Grecia, dove era stata sottoposta ad un pesante tributo; esasperati da una tale condizione servile, essi avevano deciso di costruire canoe e vascelli con la pelle e i sacchi che utilizzavano per trasportare la terra: per questo erano noti come Uomini del Sacco (Bolg).

In generale, la genealogia irlandese tende a non dare grande importanza a questo popolo, cui venivano attribuite caratteristiche di servilismo.

I Fir Bolg continuarono ad abitare l’Irlanda anche a seguito delle invasioni successive, ma furono sempre relegati in posizioni di inferiorità. Anche in periodi storici, in Irlanda affermare che una persona aveva sangue Fir Bolg significava attribuirgli una estrazione plebea.

Túatha Dé Danann

L’Irlanda venne quindi colonizzata dal popolo di Danu, discendenti da Beothach della stirpe di Nemed; questi, dopo la guerra con i Fomori, si erano stabiliti nelle isole settentrionali del mondo, dove avevano appreso la scienza druidica, la magia e l’arte: la tradizione li conosce con il nome di Túatha  Dé Danann (“le genti del dio la cui madre è Danu”).

Dopo aver completato la loro erudizione, i Túatha  Dé Danann dimorarono tra gli Ateniesi e i Filistei; in seguito, decisero di prendere il mare e, alla guida del principe Núada, giunsero nell’isola di Ériu avvolti da una nube magica.

Secondo un’altra tradizione, i discendenti di Beothach giunsero nell’isola provenendo dalle isole del profondo nord  e portando con sé quattro oggetti dai poteri soprannaturali.

I quattro tesori che i Túatha Dé Danann avevano donato all’Irlanda erano: la Pietra del Destino, la Lancia di Lug, la Spada di Núada e il Calderone del Dagda Mor.

La pietra venne collocata sulla collina di Tara ed utilizzata nei secoli a venire per riconoscere, tra i vari pretendenti al trono, la persona degna di essere acclamata come re supremo d’Irlanda (Árd Ríg): la pietra, infatti, emetteva un grido al cospetto del legittimo sovrano.

La Lancia di Lúg dal lungo braccio era un’arma invincibile, che venne in seguito incorporata nella tradizione cristiana e identificata con la lancia che ferì il costato di Gesù di Nazareth.

La Spada di Núada era anch’essa un’arma leggendaria, il cui potere venne tramandato di generazione in generazione; essa divenne nota nella tradizione gaelica come Caladbolg e menzionata da Goffredo di Monmouth con il nome di Caliburn. Solo in seguito, tuttavia, fu universalmente conosciuta come Excalibur, la spada di Re Artù.

Il Calderone del Dagda (uno dei Túatha  Dé Danann) viene menzionato anche nelle leggende gallesi, che spesso fanno riferimento ai poteri di un oggetto magico in grado di far rivivere i morti gettati dentro quel paiolo fatato.

Inizialmente parte integrante di un rituale legato al ciclo della morte e della rinascita (e, quindi, della reincarnazione[5]), il calderone venne in seguito assimilato nel patrimonio di leggende che fanno da contorno al Cristianesimo medievale e divenne noto come il Sacro Graal, il calice dell’Ultima Cena dove Giuseppe d’Arimatea riuscì a raccogliere il sangue di Gesù.

Non si può non citare, ora, il primo riferimento al Graal della letteratura romanza (scritto tra il 1160 e il 1190), destinato ad alimentare un ciclo di racconti ed avventure che ancora oggi appassiona milioni di lettori:

Il Graal

CONTINUA…

[1]    ROLLESTON, I miti celtici, Milano, Longanesi, 1994; GREEN, Miti celtici, Milano, Mondadori, 1994. AGRATI-MAGINI, Saghe e racconti dell’antica Irlanda, Milano, Mondadori, 1983.
[2]    Antico nome dell’Irlanda.
[3]   La teoria della metempsicosi, ossia della trasmigrazione dell’anima da un corpo ad un’altra, è tipico della mitologia celtica. La stessa sorte di Tuan veniva attribuita anche al gallese Taliesin, bardo e profeta dell’antica Britannia.
[4]    Si tratta dell’odierna isola di Tory, al largo delle coste del Donegal. Questa regione si trova nella parte nord-occidentale dell’Irlanda e affaccia sull’Oceano Atlantico; ha dato i natali al grande poeta e scrittore Yeats.
[5]    Pur in assenza di fonti scritte, come si è detto in precedenza, appare evidente che i Celti credessero nella metempsicosi. Pare che il simbolo della spirale, utilizzato spesso nell’iconografia, simboleggiasse appunto l’eterno ciclo della nascita, della morte e della successiva reincarnazione.
Novembre 7, 2017

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