Le terme di Roma

Modello di terme romane (fonte: www.thinglink.com)

Tra i monumenti di Roma un ruolo di primo piano è rivestito certamente dalle terme, istituzione nata in Grecia, ma che a Roma trovò uno sviluppo straordinario e insieme originale, venendo anzi a rappresentare uno dei simboli più alti di questa civiltà.

“I bagni, i vini, Venere corrompono i nostri corpi, ma sono la vita”: così recita un epitaffio di età imperiale, a significare l’importanza che il bagno aveva nella vita dei Romani dell’epoca.

Non era però stato sempre così. A proposito dei Romani del “buon tempo antico” Seneca ci informa: “Si lavavano tutti i giorni le braccia e le gambe per la necessaria pulizia dopo il lavoro; ma solo ogni nove giorni facevano un bagno completo”. Il bagno privato della villa di Scipione Africano a Liternum, presso Capua, era “nudo, stretto, oscuro, illuminato non da finestre ma da feritoie, dove al nostro tempo appena un servo avrebbe osato lavarsi”, secondo la descrizione dello stesso Seneca che, da filosofo moralista quale era, ammirava tanta austerità e sobrietà in antitesi all’ostentazione e alla luxuria a lui contemporanea.

Infatti nei primi secoli della Repubblica, quando i Romani non erano ancora stati conquistati dal raffinato mondo ellenistico, il bagno era un ambiente piuttosto scomodo, spesso buio, situato presso la cucina in modo da avere l’acqua calda a portata di mano, che talora era torbida.

Per ovviare a questi disagi, intorno al II secolo a.C. imprenditori oculati cominciarono a costruire bagni pubblici; a volte questi balnea o thermae venivano donati munificamente al popolo da ricchi cittadini, più tardi da imperatori, e in questo caso appartenevano allo Stato, ma erano dati in appalto, dietro pagamento di una somma determinata, a un impresario che aveva il diritto di esigere la modesta tassa di ingresso (balneaticum), di solito un quadrante.

Accadeva spesso che qualche cittadino o magistrato particolarmente abbiente, e poi l’imperatore, con un atto di liberalità si assumesse l’onere di corrispondere all’appaltatore la tassa di ingresso: in tal caso l’entrata alle terme era totalmente gratuita.

Nel I secolo a.C. solo le classi più elevate avevano nelle proprie dimore un piccolo reparto di due o di tre stanze, sempre in prossimità della cucina, dotate di vasche, bacili e impianti di riscaldamento dell’acqua, di cui abbiamo esempi a Pompei. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che ai privati veniva data in concessione l’acqua denominata caduca, vale a dire quella che tracimava dalle vasche e dalle fontane, dietro corresponsione di una tassa, vectigal, che non tutti potevano permettersi.

Inizialmente gli ambienti destinati al bagno erano riscaldati per mezzo di bracieri. Nel I secolo a.C. fu inventato invece il sistema ad aria calda che così funzionava: un forno, chiamato hypocausis, aveva il duplice scopo di scaldare l’acqua e di irradiare attraverso un condotto l’aria calda in intercapedini lasciate vuote sotto il pavimento e dietro le pareti. L’imboccatura di questo forno si apriva in un ambiente (praefurnium) dove uno schiavo sorvegliava e riforniva di carbone a legna l’hypocausis.

Con il tempo, disporre in casa di ambienti adibiti a bagno divenne una sorta di status symbol per una borghesia arricchita di cui un esempio singolare è rappresentato dal volgare parvenu Trimalchione descritto da Petronio nel Satyricon.

Nelle sontuose dimore urbane o nelle opulente ville suburbane, dotate di spazio e acqua in quantità, i bagni erano curati in modo particolare e vi erano spesso annesse piscine e palestre per esercizi ginnici. Nella Domus Aurea di Nerone, poi, c’erano bagni in cui scorrevano acque marine e minerali, come ci informa Svetonio, delle quali erano conosciute le virtù terapeutiche. Nella Villa di Adriano a Tivoli c’erano vari edifici termali: oltre al piccolo complesso, individuato nel “Teatro Marittimo”, costituito da apodyterium (spogliatoio), frigidarium (sala per il bagno freddo), caldarium (sala per il bagno caldo) e latrina (servizi igienici), sono identificabili tre edifici termali: le terme con eliocamino (ossia cos stanza forse adibita a bagno di sole o di sudore); le Grandi Terme; le Piccole Terme. Tuttavia, avanzi di bagno sono stati rinvenuti anche nelle ville rustiche e nelle fattorie coloniche, ove si addensava un gran numero di lavoratori.

In un primo momento i bagni pubblici erano spesso installati ai piani terreni delle case ad appartamenti. Un passo di Seneca ci offre una efficace descrizione dell’atmosfera vivace e delle variegate attività che si svolgevano in uno di questi impianti minori:

“Abito proprio sopra un edificio termale; immaginati un vocio, un gridare in tutti i toni che ti fa desiderare d’esser sordo. Sento il mugolio di coloro che si esercitano con i manubri; emettono sibili e respirano rumorosamente. Se qualcuno se ne sta buono a farsi fare il massaggio, sento il picchio della mano sulla spalla, e un suono diverso a seconda che il colpo è dato con la mano piatta o incavata. Quando viene poi uno di quelli che non può giocare a palla se non grida e incomincia a contare i colpi ad alta voce, è finita. C’è anche l’attaccabrighe, il ladro colto sul fatto, il chiacchierone che, quando parla, sta a sentire il suono della sua voce; e quelli che fanno il tuffo nella vasca per nuotare, mentre l’acqua schizza rumorosamente da tutte le parti. Ma per lo meno questi emettono una voce naturale. Pensa al depilatore che ogni poco fa un verso in falsetto per offrire i suoi servizi: e non sta zitto che quando strappa i peli a qualcuno; ma allora strilla chi gli sta sotto. Senza contare le urla dei venditori di bibite, di salsicce, di pasticcini, e degli inservienti delle bettole che vanno in giro offrendo la loro merce, ciascuno con una speciale modulazione della voce” (Epistulae 56)

Terme di Agrippa, ricostruzione

Al tempo di Agrippa (seconda metà del I secolo a.C.) si contavano ben centosettanta bagni pubblici in Roma e lo stesso personaggio decretò la gratuità dell’ingresso alle terme assumendone i relativi oneri, come ci informano Cassio Dione e Plinio il Vecchio. Agrippa fece altresì costruire tra il 25 e il 19 a.C. il primo vero complesso termale, che da lui prese il nome, donandolo al popolo con accesso gratuito perpetuo, come apprendiamo dallo stesso Cassio Dione. Costruito in Campo Marzio a Nord di Largo Argentina, alle spalle del Pantheon, l’edificio presentava un impianto simile a quello delle più antiche terme pompeiane, con gli ambienti irregolarmente disposti intorno a una scala centrale circolare.

La planimetria delle Terme di Agrippa ci è nota da un frammento della Forma Urbis marmorea severiana e da disegni di epoca rinascimentale. In Via dell’Arco della Ciambella sono conservati i resti di una metà della sala centrale.

Resti delle Terme di Agrippa, zona Pantheon

Nel 62 d.C Nerone, riprendendo la tradizione inaugurata da Agrippa, donò al popolo un complesso termale sfarzoso, costruito anch’esso in Campo Marzio nei pressi del Pantheon e molto ammirato dai contemporanei, come attesta un epigramma di Marziale: “Cosa c’è di peggio di Nerone? Cosa c’è di meglio delle Terme di Nerone?”.

In queste terme, radicalmente ristrutturate da Alessandro Severo nel 227 s.C., si assiste a una notevole innovazione della pianta, tramandataci da alcuni disegni rinascimentali. Esse costituiscono infatti il primo esempio di grandi terme pubbliche (quantunque ancor prive di recinto con esedra che troveremo nei grandi complessi del II secolo) in cui il disegno architettonico si armonizza perfettamente alla funzionalità degli impianti, con una disposizione assiale e centrale degli ambienti principali (caldarium, tepidarium e frigidarium) e la reduplicazione simmetrica e speculare degli ambienti minori ai lati dei maggiori.

Due colonne resti delle Terme di Nerone, zona Pantheon

Seguendo l’esempio di Nerone, altri imperatori commissionarono la costruzione di grandi edifici termali – tanto amati e frequentati – stanziando altresì somme ingenti per la loro gestione.

Di modeste dimensioni appaiono invece le terme che Tito fece costruire nell’80 d.C. nella zona della Domus Aurea: probabilmente  esse riutilizzarono le strutture pertinenti al bagno privato della residenza neroniana, in rispondenza alla politica adottata dai Flavi di restituzione al pubblico degli edifici neroniani. Oltre alla planimetria del Palladio, di queste terme rimangono scarsi resti prospicenti al Colosseo.

Nel 110 d.C., però, Roma venne dotata di un nuovo, imponente complesso termale, fatto erigere da Traiano sui resti della Domus Aurea, distrutta dall’incendio del 104 d.C., a nord-est delle Terme di Tito. Quantunque ne siano sopravvissuti pochi resti monumentali sparsi nel parco del Colle Oppio, l’edificio può essere ricostruito sulla scorta dei frammenti della pianta marmorea severiana. La costruzione, progettata da Apollodoro di Damasco (l’architetto del Foro di Traiano), può essere considerata il primo esempio davvero completo di “grandi terme”: misurava – comprendendo il recinto – circa 330 x 315 metri, mentre il solo corpo centrale aveva le dimensioni di 190 x 212 metri. Il recinto costituisce un’innovazione successivamente adottata anche nelle Terme di Caracalla e in quelle di Diocleziano.

Terme di Diocleziano, ricostruzione (fonte: www.capitolivm.it)

L’edificio venne orientato nord-est sud-ovest allo scopo di consentire la migliore esposizione possibile ai raggi solari e ai venti, soprattutto del caldarium, come poi avverrà per altre grandi terme. Si può affermare che nelle Terme di Traiano venne canonizzato lo schema-tipo delle terme imperiali.

Nelle Terme di Traiano, oltre agli ambienti destinati ai bagni c’erano palestre, giardini, viali e portici di passeggio, biblioteche, sale di convegno e ristori dove intrattenersi piacevolmente. Il complesso era anche un museo di capolavori d’arte: vi erano esposte celebri sculture, quali il famoso gruppo del Laocoonte, rinvenuto nel 1506 e conservato presso i Musei Vaticani.

Con Caracalla vennero edificate, tra il 212 e il 217 d.C., terme ancora più sontuose e monumentali nell’area situata sulle pendici orientali del piccolo Aventino, compresa nel la XII Regione Augustea.

Nel corpo centrale, accessibile da quattro ingressi si allienavano assialmente il caldarium circolare, il piccolo tepidarium con le sue vasche laterali, l’enorme frigidarium coperto da tre volte a crociera e, infine, la natatio, ossia un’ampia sala scoperta occupata da una grande piscina ad alimentazione continua. Ai due lati di questi ambienti erano disposti, in modo speculare e simmetrico, gli spazi adibiti a spogliatoi, le palestre all’aperto, circondate su tre lati da portici, dalle quali si accedeva ad ambienti-museo ornati di mosaici e sculture, e i laconica, ambienti riscaldati ad alta temperatura in cui si facevano i bagni di sudore.

L’edificio era circondato da un recinto rettangolare con esedre laterali, che misurava 337 x 328 metri, misure che verranno superate solo dalle Terme di Diocleziano. Lo spazio compreso tra recinto e corpo centrale era sistemato a giardino. Sul lato di fondo del recinto medesimo una sorta di esedra a gradinate dalla forma schiacciata nascondeva una duplice fila di ambienti che costituivano le cisterne, le quali avevano una capacità di ottantamila litri. Ai lati di essa due sale absidate dovevano ospitare le biblioteche.

Nei sotterranei del complesso si estendeva un articolato sistema di servizi, comprensivi di cunicoli, fogne in cui scorreva l’acqua di scarico, depositi di legname e praefurnia; in uno di questi ambienti sotterranei fu installato un mitreo.

Le Terme di Caracalla ci hanno restituito, in varie epoche, notevoli opere artistiche, tra cui i mosaici con atleti, le tre colossali statue della collezione Farnese, ossia il Toro, la Flora e l’Ercole scolpito da Glycon, il Torso del Belvedere.

Le Terme di Caracalla sono quelle conservatesi nelle condizioni migliori rispetto agli altri complessi, tanto da consentire una lettura abbastanza agevole dei loro spazi e delle funzioni cui gli stessi erano adibiti.

Terme di Caracalla, ricostruzione

Il più imponente complesso termale di cui Roma fu dotata – destinato al servizio dei quartieri intensivi dell’estremità del Quirinale, Viminale  ed Esquilino – fu edificato tra il 298 e il 306 da Diocleziano. L’edificio misurava – compreso il recinto – ben 380 x 370 metri; la sua pianta si avvicina molto a quella delle Terme di Traiano e ripete, comunque, lo schema ormai canonico della pianta assiale divisibile in due metà perfettamente uguali, come possiamo rilevare dai cospicui avanzi conservatisi. Il frigidarium e una parte della natatio delle Terme di Diocleziano sono attualmente inglobati nella struttura della chiesa di S. Maria degli Angeli.

Il complesso costituiva una vera città nella città essendo in grado di accogliere più di tremila persone, che potevano simultaneamente fruire dei servizi offerti dall’impianto. Nel 315 d.C. furono costruite sulle pendici meridionali del Quirinale, nell’area ove oggi si trova Villa Aldobrandini, le Terme di Costantino, piccolo ed elegante edificio destinato agli strati sociali più abbienti della popolazione della VI Regione Augustea, che preferivano evitare le troppo frequentate Terme di Diocleziano. Dai resti scoperti in occasione dell’aperture di Via Nazionale provengono numerose sculture, come una statua colossale di Costantino e le personificazioni dei fiumi Nilo e Tevere, ora in Campidoglio.

Contemporaneamente vennero restaurate le terme facenti parte di un complesso edilizio di tarda età severiana presso Santa Croce in Gerusalemme, che furono denominate Eleniane, in onore della madre di Costantino. Ricordiamo infine le Terme Deciane, costruite sull’Aventino presso i Balnea Surae (terme di Sura di età traianea), dall’imperatore Decio (249 – 251 d.C.): di esse ci restano scarsi avanzi e varie opere d’arte come l’Ercole Fanciullo, nonché la planimetria disegnata dal Palladio.

Le Terme Surane e quelle Deciane erano complessi raffinati e di non eccessive dimensioni al servizio di un quartiere aristocratico, a differenza delle assai più estese Terme di Caracalla, destinate ai più popolari quartieri della XII Regione Augustea. Secondo i Cataloghi Regionari Roma alla metà del IV secolo d.C. comprendeva da 856 a 951 balnea e 11 grandi stabilimenti termali per una popolazione che contava circa un milione  e mezzo di abitanti.

In età imperiale quasi tutte le più importanti città provinciali vennero dotate di terme simili a quelle di Roma; si può anzi affermare che  la presenza di tali edifici in ambito provinciale costituisce indizio tangibile e peculiare di romanizzazione. In Africa, ove furono edificati i complessi più lussuosi, ricordiamo quelle di Leptis Magna, di Cirene, di Timgad e di Lambesi; nelle province settentrionali le grandi terme di Treviri nella Galia Belgica e le piccole Terme di Bath in Britannia; in Asia Minore le Terme di Faustina a Mileto e le Terme di Antonino Pio a Efeso. Alcune differenze nell’impianto di questi edifici sono addebitabili alla diversità del clima: in Africa sono più frequenti le piscine all’aperto e le palestre, mentre mancano i laconica e i tepidaria sono privi di riscaldamento; in Gallia c’è una prevalenza di bagni caldi e tutti gli ambienti sono coperti e riscaldati; in Britannia, a Bath (l’antica Aquae Sulis), la vasca del caldarium è rivestita di lastre di piombo per trattenere il calore.

Il bagno presso i Romani divenne una sorta di rituale scandito in linea di massima da quattro passaggi: soggiorno in ambiente surriscaldato allo scopo di provocare un’abbondante sudorazione; bagno in acqua calda; bagno in acqua fredda, massaggi. Inoltre si affermò ben presto la consuetudine di esercitare il corpo nella lotta, nel gioco della palla e in altre attività ginniche.  Le terme mettevano dunque a disposizione del medico una svariata gamma di mezzi igienico-salutari, utili, oltre che a combattere e prevenire molte patologie, a mantenere sano e agile il corpo, in armonia con la massima di Marziale: “non est vivere, sed valere vita”, la vita non consiste nel vivere, ma nello star bene. E Plinio il Vecchio sosteneva che la medicina del tempo fece ricorso alle acque come a una sorta di rifugio perché nessun elemento è più miracoloso.

Inoltre le grandi terme, radunando in un unico complesso ambienti per bagni caldi e freddi, piscine e palestre, giardini, musei e biblioteche, oltre a offrire un sussidio igienico-terapeutico impareggiabile, costituivano veri e propri centri di vita sociale, culturale e ricreativa. Il Romano vi si recava per distendere i nervi e ritemprare il corpo dopo una giornata di lavoro (l’ora di apertura dei bagni era normalmente il mezzogiorno), potendo tradurre in pratica quell’ideale della mens sana in corpore sano, vagheggiato da Giovenale. Tutti potevano accedere alle terme, ricchi e poveri, uomini e donne senza distinzione alcuna, né sociale né di altro genere. Le terme vennero a costituire nel mondo romano un’abitudine quotidiana e generalizzata, una delle occupazioni più importanti e dilettevoli della giornata, il momento dell’otium dopo il negotium.

Fonte: “Gli acquedotti” di Clotilde D’Amato

 

 

Luglio 2, 2020

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