L’origine del mondo secondo i Greci – 1di3

 

LA TEOGONIA DI ESIODO[1]

L’ORIGINE DEL MONDO SECONDO I GRECI

Non si può non tornare indietro nel tempo mitologico senza ripercorrere la creazione del mondo così come la concepirono gli antichi Greci, regalando ai posteri una delle versioni più affascinanti e poetiche del mondo antico.

Andare a rileggere la ‘Teogonia’ di Esiodo consente anche di familiarizzare con molti dei nomi che popolano il mondo classico e che da secoli fanno compagnia a chiunque ami viaggiare con la fantasia nel favoloso mondo concepito dai nostri progenitori.

[1]    Citazioni tratte da ESIODO, Teogonia, Milano, Rizzoli, 1984. Si veda anche MORPURGO, Le favole antiche, Torino, Petrini, 1953; KERENYI, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano, Mondadori, 1989.

Busto di Esiodo

1.

LE DIVINITÀ PRIMIGENIE

 

“In principio era il Caos”. Così avrebbe esordito qualsiasi precettore dell’antica Grecia per raccontare ai propri discepoli l’origine dell’universo.

Si narra, tuttavia, che a fronte di questo incipit, uno studente particolarmente sfacciato esclamasse indignato: “E che cosa c’era prima del Caos?”. Il maestro non fu in grado di spiegarlo e consigliò al ragazzo di chiederlo ai filosofi.[1]

Da quel giorno, quel discepolo tanto curioso ma poco rispettoso dell’autorità si dedicò unicamente allo studio della filosofia e decise, con il tempo, di fondare egli stesso una scuola di pensiero che divenne nota in tutto il mondo antico e la cui fama è giunta sino ai giorni nostri:

quel giovane si chiamava Epicuro ed è un nome familiare a molti studenti contemporanei; per quello che interessa al vostro narratore, è sufficiente sapere che egli decise di scomparire per sempre dalla nostra storia e che noi dovremo accontentarci della spiegazione del vecchio precettore.

Uniforme era l’aspetto della natura; e lo chiamarono Chaos”;[2] così ci riferisce il poeta Ovidio; non esisteva il cielo, la terra o il sole, ma un abisso primitivo informe e indeterminato in cui tutti gli elementi erano mischiati tra di loro. Esiodo non si preoccupa neppure di definirlo, limitandosi a dire che “per primo fu Caos”, il vuoto spalancato dove nacquero tutte le cose[3].

Dal Caos venne generata la Madre Terra dall’ampio seno, che gli antichi conobbero anche con il nome di Gea (o Gaia), per sempre sede sicura per tutti i mortali e gli immortali.

Subito dopo nacque il Tartaro “nebbioso”, l’orrendo buio sotterraneo, privo di ogni luce, che si annida nei recessi della Terra.

Dal Caos sorsero anche l’Erebo (il Buio, privo di luce, della profondità abissale) e la Notte, nei confronti dei quali tutti gli altri dei provavano un sacro timore; dalla loro unione nacquero l’Etere e il Giorno, ma anche divinità più sinistre come Thanatos, la terribile dea della morte, il Sonno, la Fame, l’Oblio, il Lamento, il Sarcasmo, la Discordia e la Nemesi, la terribile vendetta degli dei.

Si tratta, in realtà, nella maggior parte dei casi, di entità che personificano gli aspetti più oscuri e odiosi della vita, che gli uomini evitano con cura di menzionare a meno di non essere costretti.

Figlie di Notte e di Erebo erano anche le Moire, terribili creature dal potere arcano cui neppure gli dei potevano sottrarsi; ogni giorno esse filano, misurano e tagliano i fili del destino di ciascuno degli esseri viventi, decidendone le sorti: Cloto fila lo stame della vita; Lachesi lo svolge sul fuso; mentre Atropo, con le cesoie, lo recide inesorabilmente.

Gli Dei primigeni

Il loro potere è talmente antico che persino Zeus, il futuro sovrano del cielo, non ha il potere di mutare le loro decisioni, ma deve limitarsi a prendere la sua bilancia d’oro, per misurare su quale creatura il giorno stia per tramontare per sempre.

Nacque infine il più potente tra tutti gli dei: Eros, “tra tutti i Celesti il più bello”, che scioglie le membra e soggioga lo spirito di tutti gli dei e di tutti gli uomini, personificazione dell’Amore;

quando Esiodo parla dell’eros, non dobbiamo tuttavia pensare al putto alato armato di arco e frecce che viene spesso raffigurato nei quadri e nelle incisioni antiche e moderne, ma ad un principio ancestrale, alla energia creatrice da cui trasse vita l’intero universo.

Possiamo tuttavia permetterci di trascurare queste divinità così lontane da noi, tanto che persino in un poema didascalico come la Teogonia vengono dedicati loro solo pochi versi.

A noi interessa invece sapere che Gea, la dea della Terra, generò da se stessa Urano cosparso di stelle, il dio del Cielo, e Ponto, il dio del Mare, ma stavolta “senza gioia d’amore”.

Evirazione di Urano – Dipinto del Vasari

La dea della Terra si accoppiò con i suoi figli: da Gea e Ponto nacque il saggio Nereo, divinità marina fonte di giustizia e di miti consigli, che fu il padre di tutte le ninfe del mare (note anche come Nereidi);

ma da quella unione così priva di affetto vennero generate anche terribili creature, come il sinistro Forco, il “vecchio del mare” e Ceto dal bel viso, il cui nome però significava “mostro marino” (tanto è vero che viene spesso descritta come una enorme balena);

dall’unione di questi ultimi proviene la razza di molti dei nemici che hanno perseguitato l’umanità nei secoli e che verranno combattuti e sconfitti dai protagonisti delle leggende eroiche della mitologia greca.

È doveroso citare tra i figli di Forco e Ceto le terribili Gorgoni (Steno, Euriale e Medusa), dal corpo ricoperto di scaglie come quelle dei rettili, con serpenti vivi al posto dei capelli; esse avevano il terribile potere di pietrificare chiunque avesse la sfortuna di incrociare il loro sguardo.

Per un’anomalia che solo i miti riescono a creare, Steno ed Euriale avevano il dono dell’immortalità, mentre la sola Medusa poteva essere uccisa; sarà uno degli eroi più amati dai Greci, il valoroso Perseo, ad uccidere la Gorgone tagliandole la testa: dal collo reciso nacque il famoso cavallo alato Pegaso, che ha ispirato artisti e poeti dei tempi antichi e moderni.

In groppa a quel magico destriero vennero compiute alcune tra le più grandi imprese narrate dai cantori di tutte le epoche.

Dalle sciagurate nozze tra le due divinità marine nacquero anche le Graie (Enio, Deino e Pefredo), il cui aspetto era forse meno spaventoso di quello delle sorelle Gorgoni ma che comunque dovevano costituire uno spettacolo quanto meno anomalo per chi osasse andare a far loro visita, ai confini del mondo: esse, infatti, nacquero già vecchie e con i capelli bianchi; avevano inoltre un solo occhio e un solo dente in comune, che si passavano tra di loro a turno…

La stirpe di Ponto

Figlia di Forco e Ceto era anche la terribile Echidna dal cuore violento, metà fanciulla dagli occhi splendenti e metà serpente; ella si unì al mostruoso Tifeo (o Tifone), figlio del Tartaro e di Gea e partorì creature dal cuore violento:

la Chimera, uno spaventoso animale a tre teste: una di leone, l’altra di capra e di serpente la terza, che venne combattuta dal prode Bellerofonte;

il Leone di Nemea, fiera orribile e selvaggia, e l’Idra di Lerna, un feroce drago dalle molte teste, entrambi sconfitti dal grande Eracle (Ercole);

il terribile cane a tre teste Cerbero, custode del regno dei morti: “fiera crudele e diversa, con tre gole carinamente latra sopra la gente che quivi è sommersa”[4];

la Sfinge, essere per metà leone e metà donna, che perseguitava i passanti ponendo loro degli indovinelli e divorando chi non era in grado di rispondere. [5]

[1]    DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi (Libro X, par. 1), Bari, Laterza, 2002, pag. 400.
[2]    Unus erat toto naturae vultus in orbe, quem dixere chaos” (OVIDIO, Metamorfosi, Libro I, vv. 6-7).
[3]     La creazione del mondo secondo Esiodo non è l’unica versione nota agli antichi Greci, anche se è sicuramente la più nota. Secondo Omero, “l’origine degli dei” e “l’origine di tutto” fu l’inesauribile potenza generatrice del dio Oceano, che si unì alla sua sposa Teti procreando tutti gli altri dei. Secondo la tradizione che faceva capo al mitico cantore Orfeo, invece, in origine esisteva la Notte che depose un uovo d’argento, da cui scaturirono tutte le forze primordiali dell’universo.
[4]    DANTE, Inferno, Canto VI, vv. 13-15.
[5]    Il quesito che la Sfinge poneva ai malcapitati abitanti della Beozia è talmente famoso che non può non essere citato: “Qual è l’animale che al mattino cammina a quattro zampe, a mezzogiorno con due e la sera con tre?” A risolvere l’enigma fu Edipo, destinato a diventare re di Tebe; quell’animale è l’uomo, che da piccolo si muove a quattro zampe, da grande è in posizione eretta e si appoggia ad un bastone in vecchiaia. La Sfinge, umiliata dall’ingegno di Edipo, si gettò da una rupe e morì.

 

 

di Daniele Bello

 

Agosto 22, 2017

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