I “Nostoi” – Oltre la leggenda – 5di6

PARTE IV

Oltre la leggenda[1]

1.

La città di Troia e il mondo ellenico

 

La maggior parte delle leggende narrate sinora ruotano attorno alla guerra di Troia, che culminò nel sacco della città da parte degli Achei.

Per secoli, l’autenticità e la storicità del conflitto è stata oggetto di discussione; la maggior parte degli Elleni vissuti in età storica (dal VII sec. a.C. in poi) non dubitava che gli avvenimenti narrati fossero autentici, anche se non mancava chi (Tucidide) ritenesse che l’importanza degli eventi fosse stata ingigantita a scopi poetici.

In epoca moderna, invece, gli studiosi – che avevano a disposizione solamente i poemi di Omero senza l’ausilio di altre prove documentali o archeologiche – per lungo tempo concordarono sul fatto che la guerra di Troia non fosse mai accaduta, essendo unicamente il frutto di una mente ingegnosa: un’eccezionale opera di pura fantasia, ma senza alcun fondamento storico.

In questo contesto si inserisce la figura di un archeologo dilettante, il tedesco Heinrich Schliemann (1822-1890): abile e spregiudicato commerciante, egli riuscì ad accumulare una fortuna che gli permise, a soli quarant’anni, di dedicarsi alla passione della sua vita: la ricerca storica.

Heinrich Schliemann

Nel 1870, Schliemann si recò nella Troade e concentrò i suoi studi nella collina di Hissarlik, che – a suo giudizio – corrispondeva al luogo descritto da Omero come il sito della città di Troia.

L’intuizione si rivelò giusta; gli scavi da lui diretti portarono alla luce i resti di una città antichissima, i cui insediamenti si erano stratificati nel tempo, uno sopra l’altro; era infatti molto diffusa, in epoca antica, l’abitudine di ricostruire un centro urbano dopo un evento catastrofico (un cataclisma o un conflitto) edificando sopra i resti della vecchia città, che fungeva così da fondamenta per le costru-zioni successive.

Schliemann portò alla luce ben nove strati della città che identificò con Troia; essendo a corto di una preparazione scientifica (era pur sempre un dilettante), egli ritenne che la città descritta da Omero coincidesse con lo strato più basso e quindi più antico; per questo motivo, egli fece scavare in maniera poco metodica, danneggiando gli strati intermedi, fino a quando non scoprì quello che venne poi chiamato il “tesoro di Priamo”.

Nel 1876, seguendo lo stesso metodo, Schliemann portò alla luce nel Peloponneso nord-orientale altri reperti; a Micene, egli ritrovo una serie di tombe reali dislocate all’interno di un doppio recinto di lastre di pietra, ricche di corredi funerari e opere di oreficeria. Schliemann si convinse di aver scoperto la tomba di Agamennone e di aver rinvenuto (in quello che venne chiamato il “tesoro di Atreo”) anche la maschera di Agamennone.

La c.d. “maschera di Agamennone”

In realtà, l’entusiasmo tradì la lucidità delle analisi del dilettante studioso, che giunse spesso a conclusioni errate; ricerche successive accertarono che le tombe scoperte a Micene precedevano di alcuni decenni l’epopea degli Atridi, mentre il “tesoro di Priamo” si riferiva ad un re vissuto molti secoli prima della guerra di Troia cantata da Omero.

L’intuizione del geniale archeologo tedesco era, comunque, giusta e gli studi successivi confermarono che la città scoperta nella collina di Hissarlik era la Troia di Omero e che il tesoro rinvenuto nel Peloponneso apparteneva ai re di Micene.

Negli anni successivi, venne appurato che i primi insediamenti nel sito risalivano addirittura all’età neolitica e proseguivano sino all’epoca romana; i reperti del secondo insediamento (quello, per intenderci, del c.d. “tesoro di Priamo”) si riferiscono ad una civiltà anatolica che prosperò nel periodo che va dal 2600 a.C. al 2250 a.C.

La città di Troia corrispondente al sesto strato (“Troia VI”: 1800-1300 a.C.) coincide con il periodo di massimo splendore della città e ci rimanda al mondo descritto da Omero[2]; essa era munita di bastioni e la sua zona abitata occupava circa venti chilometri quadrati.

La città venne distrutta da un terremoto, attestato dall’archeologia. Questa catastrofe naturale potrebbe essere stata all’origine della leggenda del cavallo di Troia (la statua costituiva forse un’offerta a Poseidon, che era anche il dio dei terremoti); più probabilmente, la Troia VI corrispondeva alla città che, dopo una catastrofe naturale, era stata messa a ferro a fuoco, creando così il mito di Laomedonte, del mostro marino scatenato dal dio del mare e della conquista da parte di Eracle.

La città venne poi caparbiamente ricostruita e tornò all’antico splendore, per poi essere nuovamente saccheggiata da invasori esterni dopo un assedio (evento anche questo confermato dall’archeologia)[3].

Ricostruzione dell’aspetto della città di Troia nel periodo in cui è stata ambientata l’Iliade omerica.

Le conclusioni cui sono giunti gli archeologi sono state suffragare anche dall’analisi di antichi testi provenienti dall’Egitto e dal regno degli Hittiti, un popolo indoeuropeo che fondò un impero in Asia Minore e raggiunse il suo massimo splendore nel II millennio a.C., per poi sprofondare completamente nell’oblio dopo la sua distruzione.

Negli archivi dell’impero ittita si parla di un regno di Ahhiyawa (Acaia), che giace oltre il mare (identificabile con l’Egeo) e controlla Milliwanda, nome con cui è riconoscibile Mileto. Viene inoltre menzionata la cosiddetta confederazione di Assuwa, formata da 22 città, di cui fa parte anche Wilusa, la Ilio (o Troia) omerica[4]; l’identificazione di Wilusa con Troia fu a lungo controversa ma guadagnò credibilità quando venne scoperto un trattato risalente al 1280 a.C., nel quale il re della città è chiamato Alaksandu (Alessandro è uno dei nomi con il quale Omero chiama Paride).

È probabile dunque che la guerra contro Troia sarebbe stato un conflitto sorto fra il re di Ahhiyawa e la confederazione di Assuwa per il controllo di una rotta commerciale strategica (questa interpretazione è stata sostenuta anche perché l’intera guerra include lo sbarco in Misia e le campagne di Achille e di Aiace Telamonio in Tracia ed in Frigia, regioni che facevano parte della confederazione di Assuwa).

La maggioranza degli studiosi oggi concorda sul fatto che la guerra di Troia sia un fatto realmente accaduto; dubitano però sul fatto che gli scritti di Omero narrino fedelmente la vicenda.

Il fatto poi che la maggior parte degli eroi achei, tornati dalla guerra, abbiano affrontato enormi difficoltà prima di tornare in patria (alcuni fondarono colonie al di fuori della penisola ellenica) viene interpretato come un eco dei tumulti sorti alla fine di quell’epoca.

Nella seconda metà del XIII sec. a.C., infatti, tutta l’Europa fu interessata da grandi movimenti migratori, dovuti forse alla pressione di nomadi provenienti dal nord (è un dato accertato, infatti, che a quell’epoca dei bruschi cam-biamenti climatici spinsero intere popolazioni a spostarsi).

In questo periodo, a causa sia della spinta delle genti del nord che dei periodi di carestia che si verificarono, nonché a seguito dei terremoti e delle inondazioni che devastarono il Mediterraneo (ad es., in Sardegna e in Corsica) costringendo una parte delle popolazione autoctone a migrare, il Mediterraneo fu sconvolto dalle invasioni di una coalizione di predoni guerrieri noti come “Popoli del Mare”.

I Popoli del Mare[5] invasero la penisola ellenica, già indebolita da guerre intestine, e cancellarono la civiltà degli Achei (risparmiando solo Atene); quindi, proseguirono verso l’Asia Minore, saccheggiando forse per l’ennesima volta la città di Troia.

Il faraone Ramses III sconfigge i “Popoli del Mare”

In Asia Minore ai Popoli del Mare si aggiunsero anche una massa di profughi che avevano abbandonato le loro terre a causa delle precedenti invasioni e che le fonti chiamarono Danuna (Danai), Akawasa (Achei) e Tjeker (Teucri).

Essi devastarono l’Anatolia, distruggendo l’impero Ittita, la Siria e Cipro e vennero fermati solamente dal faraone d’Egitto Ramses III.

Dopo l’invasione del 1220, alcuni degli invasori tornano in patria carichi di bottino, mentre altri si stabilirono nelle terre conquistate:

i Peleset (i Filistei della Bibbia, per intenderci) si insediarono nel territorio che dal loro nome verrà chiamata Palestina; altre popolazioni di invasori si fusero con i Cananei dando origine alla civiltà dei Fenici; secondo la tradizione, i Teres e gli Shardana si fermarono in Lidia (dove fondarono la città di Sardi); in seguito, i Teres (Tirreni) sbarcarono in Italia, dando origine alla civiltà degli Etruschi, mentre gli Shardana colonizzarono la O fecero ritrono in) Sardegna [6].

E gli Elleni? A seguito dell’ultima invasione di popoli provenienti dal nord (i Dori, di origine indoeuropea), le monarchie crollarono e i centri urbani vennero abbandonati.

Il potere si concentrò nelle mani delle aristocrazie rurali dei nuovi dominatori, spesso in lotta tra di loro; di quest’epoca buia (nota anche come “Medioevo ellenico”) non abbiamo a disposizione alcuna testimonianza, fatta eccezione per i reperti archeologici, poiché in quel periodo anche l’utilizzo della scrittura andò perduto.

La cultura e la civiltà greca tornarono poi alla ribalta dopo oltre quattrocento anni di barbarie con la rinascita delle arti figurative e l’invenzione della letteratura.

Nel VII-VI sec. a.C. fioriscono le ‘poleis’[7] greche e si diffonde il poema epico, ispirato al passato eroico degli Elleni: di questa produzione artistica, a noi contemporanei sono giunti solamente l’Iliade e l’Odissea, attribuiti al poeta Omero.

Omero

[1]    Gli studi che si occupano della materia costituiscono una bibliografia sterminata. Si citano qui i testi da cui si è preso maggiormente spunto: AA.VV., Storia e civiltà dei Greci – Origini e sviluppo della città (Il medioevo greco), Milano, Bompiani, 1989; HAUSER, Storia sociale dell’arte, Torino, Einaudi, 1983, pp. 81-93, 185-194; LATACZ, Omero, Bari, Laterza, 1989; GRIFFIN, Omero, Varese, Ed. Dall’Oglio, 1982; BRANDAU-SCHICKERT-JABLONKA, La misteriosa storia di Troia, Roma, Newton & Compton, 2004.
[2]     I fondatori della città erano, secondo Omero, i Dardani, popolo giunto dai Balcani (di origine quindi indoeuropea). Ad essi, probabilmente, si unì un gruppo di cretesi fuggiti dalla loro isola; a conferma di ciò, si osserva che nei pressi di Troia si trovava un monte chiamato Ida (nell’isola di Creta sorge una montagna, sacra a Zeus, con lo stesso nome).
[3]    Le evidenze archeologiche hanno permesso di ricostruire la storia della città, che qui riportiamo in modo sintetico (tratto da: http://it.wikipedia.org/wiki/Troia):
Troia I (3000 – 2600 a.C.): villaggio neolitico, con ritrovamenti di utensili in pietra e di abitazioni dalla struttura elementare;
Troia II (2600- 2250 a.C.): città con mura caratterizzate da porte enormi, presenza del megaron (palazzo reale) e case in mattoni crudi che recano segni di distruzione da incendio;
Troia III-IV-V (2000 – 1800 a.C.): tre villaggi distrutti ognu-no dopo poco tempo dalla fondazione;
Troia VI (1800 – 1300 a.C.): grande città a pianta ellittica, for-tificata da alte e spesse mura, costituite da enormi blocchi di pietra squadrati e levigati, con torri e porte. La distruzione della città avvenne intorno alla metà del XIII secolo a.C., forse a causa di un terremoto;
Troia VIIa (1300 – 1170 a.C. ): la città fu immediatamente ri-costruita. I segni di distruzione da incendio hanno indotto gli studiosi ad identificare questo strato come quello corrispondente alla Troia omerica;
Troia VIIb1 -VIIb2 -VIIb3 (XII – X secolo a.C.);
Troia VIII (VIII secolo a.C.): colonia greca priva di forti-ficazioni;
Troia IX (dall’età romana al IV secolo): costruzioni romane edificate sulla sommità spianata della collina.
[4]    Di questa confederazione sappiamo che, pur essendo uno Stato vassallo degli Hittiti, disertò dopo la battaglia di Kadesh combattuta tra gli Egiziani e gli stessi Hittiti (1274 a.C.).
[5]     La coalizione dei Popoli del Mare comprendeva, oltre agli Shardana, i Lukka (Lici), i Peleset (Filistei), i Libu (Libici), i Sekeles (Sicani) e i Teres, antenati dei Tirreni o Etruschi; la radice del nome deriva forse da “tyrsenoi” (“costruttori di torri”): sarebbero quindi discendenti del popolo che ha costrui-to i Nuraghi di Sardegna.
[6]    Queste interpretazioni sono tratte principalmente dalle tesi dello studioso Leonardo Melis, una sintesi delle quali è visibile sul sito: http://www.lamiasardegna.it/files/927.htm.
[7]    Polis (al plurale poleis) è il nome dato alla città-stato nell’antica Grecia.

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di Daniele Bello

 

 

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