Patrick Bridone – Palermo

PALERMO

Ieri si sono svolte tre corse di sei cavalli ciascuna, come la prima volta. Tutti hanno detto di essersi molto divertiti; io non posso dirvi altrettanto. Un uomo è stato travolto e –credo- ucciso, mentre uno dei cavalieri è caduto da cavallo.

La conversazione della nobiltà si è tenuta questa volta nella casa del Giudice della monarchia, ufficiale che riveste una carica di fiducia e di grande distinzione. Ottima la colazione, allietata da un pregevole concerto.

Alle undici, insieme a tutta la compagnia e seguito da un corteggio favoloso, il viceré si è recato a visitare la piazza e il duomo. Benché la città fosse illuminata dappertutto, i domestici di sua eccellenza e della nobiltà incedevano con grosse torce di cera.

Appena il viceré giunse sulla piazza le quattro orchestre cominciarono ad eseguire sinfonie e continuarono a suonare per tutto il tempo che egli vi restò.

Una folla immensa di spettatori si accalcava intorno alla cattedrale, e senza la presenza del viceré neanche avremmo potuto metterci piede; ma i suoi accompagnatori ci fecero largo, ed entrati improvvisamente nella chiesa attraverso il grande portale, ci si offrì uno spettacolo favoloso.

Il tempio risplendeva di luce vivissima che, riflessa da diecimila lamelle variamente colorate e disposte, produceva a parer mio un effetto assai superiore alle descrizioni dei palazzi fatati da me lette. Non credo che l’industria dell’uomo possa inventare cosa più meravigliosa e magnifica.

Vi ho già detto che le mura, le volte, le colonne e i pilastri erano interamente coperti di specchi, ornati a loro volta di carta d’oro e di argento e di fiori artificiali disposti con molto gusto ed eleganza; in tal modo non si riusciva a scorgere neanche un pollice di pietra o di gesso.

Immaginate una delle nostre grandi cattedrali addobbata a questo modo e illuminata da ventimila candele e comincerete a farvi una debole idea di questa visione. Devo riconoscere che essa ha superato ogni mia aspettativa, benché fossi preparato a vedere qualcosa di veramente sorprendente.

Quando ci fummo ripresi dal nostro primo stupore che –senza rendercene conto- dimostrammo assai visibilmente, osservai che tutta la nobiltà era rivolta verso di noi incantata e felice per la nostra ammirazione.

Questo spettacolo è troppo abbagliante per sostenerne a lungo la vista, e presto ci fu impossibile sopportare il calore causato dall’immensa quantità di candele; giunsi a contarne sino a cinquecento, ma la testa cominciò a girarmi e fui costretto a smettere.

Mi hanno assicurato che nella chiesa non vi erano meno di ventimila ceri; i quattordici altari allineati a ogni fianco della navata erano decorati con incredibile opulenza.

Quando si pensa a queste splendide decorazioni che abbelliscono tutta intera una chiesa, è difficile collegarvi un’idea di grandezza e di maestà, e fu questo che mi venne di pensare quando sentii parlarne per la prima volta. Devo tuttavia assicurarvi che l’elegante semplicità e l’unicità del disegno conferiscono all’insieme un carattere d’inattesa dignità.

È questo l’aspetto della festa più apprezzato dai palermitani, che considerano il resto cosa da poco rispetto a cotesta illuminazione; e in effetti devo convenire che essa appariva ai miei occhi come qualcosa di unico al mondo nella sua bellezza.

A. Mozzillo “Viaggiatori stranieri nel Sud”

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