Re Artù. I cavaleri della tavola rotonda – 2 di 3

Percival, di Indra Krecere

3.

La ricerca del Santo Graal[1]

            Il primo riferimento alla leggenda del Graal è contenuta nell’opera “Percival” di Chretièn de Troyes.

            Percival era uno dei cavalieri della Tavola Rotonda, destinato ad un grande destino; egli è forte e coraggioso, ma molto ingenuo in quanto è vissuto a lungo presso la madre, che per anni lo ha tenuto lontano dal mondo cercando di proteggerlo dagli orrori della vita.

Per questo motivo, l’eroe tendeva spesso a seguire i consigli che gli venivano resi, senza fare uso di prudenza e buon senso.

            Durante le sue peregrinazioni come cavaliere errante, egli giunse in un castello in cui venne accolto come ospite e dove assistette ad una insolita rappresentazione:

Da una camera apparve un valletto, che impugnava a metà una lancia splendente di biancore. Una goccia di sangue usciva dalla punta del ferro della lancia e colava fino alla mano del valletto, questa goccia vermiglia.

[…] Vennero allora due altri valletti, due bellissimi uomini, che tenevano in mano due candelabri d’oro fino lavorato […] Un ‘Graal’ teneva una damigella tra le mani e seguiva i valletti: bella, gentile e nobilmente adornata.

E quand’essa fu entrata, da tutto il Graal che essa teneva s’irradiò per tutta la sala un chiarore sì grande che le candele impallidirono come le stelle o la luna quando si leva il sole. Dopo questa damigella ne veniva un’altra che portava un piatto d’argento.

Il Graal che veniva avanti era fatto dell’oro più puro; vi erano inserite pietre preziose delle più ricche e delle più varie che esistano per mare e per terra; nessuna gemma potrebbe paragonarsi a quelle del Graal[2]”.

            Dal racconto di Chretièn apprendiamo che il padrone del castello è il “Re Pescatore”[3]; egli è infermo a causa di una ferita che lo ha reso inabile alla guerra e alla caccia[4] (per questo motivo, la pesca è per lui l’unico sistema per procurarsi il cibo).

Secondo uno schema caro a tutta la mitologia del Medioevo, che ha probabilmente origini più antiche, l’impotenza del re si trasmette a tutto il suo regno, che è diventato una “Terra Desolata” (Wasteland).

            L’incantesimo può essere spezzato unicamente dal più nobile e dal più puro dei cavalieri, qualora questi abbia il coraggio di formulare la fatidica domanda: “In onore di chi si fa il servizio del Graal?”.

            Nell’opera di Chretièn lo sprovveduto Percival, a causa della sua timidezza, non ha il coraggio di proferire parola, ragion per cui il mistero del Graal è destinato a rimanere tale; né siamo in grado di sapere come andrà a finire, atteso che il Percival di Chretièn è rimasto incompiuto.

            Gli autori di epoca successiva, tuttavia, ci vengono in aiuto nel decifrare questo “mistero”; secondo il poeta tedesco Wolfram von Eschenbach, infatti, si tratterebbe di un lapsit exillas (rectius: lapis exillis), ovvero di una pietra caduta dal cielo;

uno smeraldo caduto dalla fronte del-l’arcangelo Lucifero durante la sua ribellione a Dio e portato sulla terra dagli angeli neutrali.

            Robert de Boron, invece, identifica il Graal con il calice utilizzato da Gesù di Nazareth durante l’Ultima Cena, con il quale Giuseppe d’Arimatea aveva raccolto il sangue del Messia crocifisso[5]. La lancia viene identificata con l’arma con cui Longino colpì il costato di Gesù di Nazareth, per verificarne il decesso.

            In questa maniera viene “sancita” la cristianizzazione del mito del Graal, che però ha evidenti ascendenze risalenti a culture anteriori, legate a rituali connessi al ciclo della morte e della rinascita;

taluni rintracciano le origini della leggenda in alcuni archetipi della cultura classica (Adone, Osiride), mentre altri ritengono che l’origine del mito sia celtica, rinvenendo la sua genesi nel Calderone del Dagda (uno dei Túatha Dé Danann) delle leggende irlandesi ovvero nel paiolo magico in grado di far rivivere i morti, citato nel Mabinogion.

            Secondo quanto ci tramandano gli autori del Medioevo, il Graal apparve un giorno di fronte a tutti i cavalieri della Tavola Rotonda: la sensazione di beatudine che promanò dalla semplice contemplazione di quell’oggetto sacro spinse tutti ad abbandonare ogni occupazione per andare alla ricerca di quell’oggetto.

            La quest[6] per il santo Graal è una delle imprese più importanti di tutto il ciclo arturiano: alcuni dei cavalieri persero la vita nella ricerca, mentre per i più la missione ebbe un esito comunque infruttuoso:

il Calice, infatti, era interdetto a quanti erano troppo sedotti dai piaceri terreni; per questo motivo, anche valorosi come Galvano e Lancillotto fallirono nel loro compito, in quanto a lungo coinvolti da passioni lussuriose[7].

            Secondo una prima versione del mito, a raggiungere il castello del Graal fu nuovamente Percival, il quale pose finalmente la fatidica domanda riuscendo a spezzare l’incantesimo che opprimeva il Re Pescatore (che si scoprì essere discendente di Giuseppe di Arimatea e parente di Percival stesso) e la sua Wasteland.

Il cavaliere venne nominato nuovo custode del Graal e trasmise un giorno questo importante incarico al figlio Lohengrin.

            Altre versioni più ortodosse della leggenda, invece, che non perdonavano evidentemente alla storia di Percival le sue origini troppo “pagane”, attribuivano il successo nella impresa del Graal a Galahad, figlio di Lancillotto, il più puro e il più casto di tutti i cavalieri.

Egli, sin dalla più tenera età, fu protagonista di eventi miracolosi e riuscì a prendere possesso del “Seggio periglioso”, destinato al migliore tra tutti i cavalieri.

            Dopo avere trascorso anni in meditazione e a seguito di un itinerario fatto di privazioni e di penitenze, Galahad giunse infine al Castello del Re Pescatore, al cospetto del Graal (la visione del Calice venne comunque consentita anche a Percival e Bors, in quanto casti ma non vergini).

La tentazione di Sir Percival, di Arthur Hacker

            Anche a distanza di secoli, scrittori e letterati si sono avventurati nella materia del Graal, non solo per studiarne la leggenda, le sue origini o le possibili interpretazioni, ma anche per fornire ipotesi alternative (non sempre su basi scientifiche) sulla reale natura e sulla reale ubicazione del Graal, tanto da suggerire a più di uno studioso l’ipotesi che gli oggetti sacri descritti nelle leggende arturiane fossero più di uno.

            A questi letterati dallo spessore alquanto tenue ci permettiamo di rispondere usando le parole di uno scrittore americano contemporaneo: “Voi siete i draconiani paladini del risultato finale che rifiutano di credere che la gioia stia nel viaggio e non nella destinazione (e poco vi importa quante volte abbiate avuto riprova del contrario)[8].

            La mitologia del Graal, infatti, per essere veramente compresa, non può e non deve essere esaminata solo tenendo presente il risultato finale, come certa pseudo-cultura dell’occidente contemporaneo vorrebbe imporci.

            La ricerca di un oggetto sacro, prezioso ed allo stesso tempo irraggiungibile, costituisce la metafora di un viaggio verso la perfezione, nella consapevolezza che un tale percorso è sempre un “tendere all’ulteriore” (streben) destinato a non avere mai una fine.

            Ed è in questa continua ricerca dell’inarrivabile, nella consapevolezza che l’obiettivo da raggiungere è quasi impossibile e nella coscienza che ciò contribuisce a renderci migliori, che si manifesta la metafora del vero cavaliere arturiano e – forse – dell’intero vivere umano.

[1]     Sulla leggenda del Graal, oltre alla bibliografia citata nella nota (94) si consiglia la lettura di: AGRATI-MAGINI (a cura di), La leggenda del Santo Graal, Milano, Mondadori, 1995.
[2]   CHRETIEN DE TROYES, Perceval il Gallese o il racconto del Graal, Milano, Garzanti-Vallardi, 1994, p. 31.
[3]     La tradizione lo chiama in modi diversi: Pelles, Pellehan, Parlan, Hebron (Bron) o Amfortas (quest’ultimo nome viene da enfertè, che vuol dire “il ferito”),
[4]     Secondo MALORY, il “Colpo Doloroso” venne inferto al Re Pescatore da Balin il Selvaggio, uno dei cavalieri della Tavola Rotonda, con la stessa lancia mostrata nella processione del Graal.
[5]     BORON, Il romanzo della storia del Graal o Giuseppe d’Ari-matea, in AGRATI-MAGINI, (a cura di), La leggenda del Santo Graal, Milano, Mondadori, 1995, pp. 203-286; Anonimo, Perlesvaus, in AGRATI-MAGINI, op. cit., pp. 355-733; WOLFRAM von ESCHENBACH, Parzival, Torino, Utet, 1992; MALORY, op. cit., pp. 495-599.
[6]     Termine tipico della letteratura mitologica e del fantasy, per indicare una ricerca.
[7]     Galvano era solito indulgere alla passione amorosa, mentre Lancillotto era noto per la sua storia adulterina con la regina Ginevra.
[8]     S. KING, La torre nera, Milano, Sperling & Kupfer, 2006, p. 777.

di Daniele Bello

Lascia un commento