VirtualGenius

Della mia infanzia ricordo le domeniche d’estate passate a giocare in cortile: campana, nascondino, palla avvelenata. Era il tempo dei preziosi sandali blu, quelli con due buchi grandi e due piccoli, del latte caldo con pane inzuppato tutte le sere e poi via, sotto le coperte!
Era il tempo dei mitici Soldini al cioccolato e dello spot con il martello della Plasmon, era il tempo della felicità e spensieratezza ma, soprattutto, era il tempo delle prime sale giochi.

Io e mio fratello Antonio la raggiungevamo sempre a piedi quella dietro l’angolo, quella con l’insegna viola che la sera diventava luminosa, regalando nuovi colori a quelle strade vuote e buie di cui a volte avevo paura. “Fifone, Grissino fifone” mi chiamava sempre e questo mi faceva infuriare, e non solo perché ero ancora molto piccolo e non avevo il permesso di partecipare ai giochi dei più grandi, ma anche perché lo odiavo.

Sì, odiavo mio fratello perché a tredici anni suonati usciva già coi soldi in tasca e poteva sempre scegliere la merenda che più gli piaceva, rifilandomi spesso uno di quei lecca lecca appiccicosi che  conservava nei jeans per giorni e che per il gran caldo si scioglievano miseramente tra le dita, assumendo strane forme così diverse da quella originale, e poi perché mi impediva di giocare a VirtualGenius.

VirtualGenius era l’attrazione principale della sala giochi, i più grandi facevano a gara per passare ore a riempire quella macchinetta di gettoni nella speranza di completare tutti i livelli di gioco.
Un’assurda e infinita corsa a ostacoli contro mostri e insetti giganti di ogni genere fino ad arrivare all’ultima porta, per scoprire finalmente chi o cosa si celasse dietro la misteriosa ombra incappucciata chiamata Slem.

Bastava strapparle la maschera e la sua identità svelata avrebbe reso vincitore il giocatore di turno, ma non era poi così facile come sembrava. Nessuno infatti era mai riuscito a raggiungere l’ultimo livello di gioco e spesso, relegato in un angolo lontano a occuparmi di passatempi più semplici insieme ai miei amici di allora sentivo imprecare mio fratello, che di gettare la spugna proprio non ne voleva sapere.

VirtualGenius era quasi una leggenda ormai, un’ossessione e se chiudo gli occhi mi sembra ancora di vederlo, le sopracciglia aggrottate in un’espressione furente e le mani strette a pugno mentre fissa immobile l’inquietante Slem, che facendo capolino dallo schermo, lo invita con tono sepolcrale a inserire una moneta per iniziare finalmente il gioco. Un cappuccio vuoto, un’immagine distorta e indefinita che attende solo di essere scoperta. Una notte, quella notte impressa ormai nella mia memoria come una specie di vivida istantanea, vidi mio fratello sgattaiolare furtivamente dal suo letto per vestirsi velocemente e uscire dalla finestra, credendo di non essere notato. Sapevo esattamente dove fosse diretto così lo seguii senza pensarci troppo, ma lui non ci mise molto ad accorgersi della mia presenza.

Che cavolo ci fai qui, Grissino?” sibilò stringendomi il braccio esile fino a farmi male mentre mi dimenavo piagnucolando.

Se la mamma scopre che vai alla sala giochi a quest’ora della notte ti punirà” dissi in tono lamentoso, e in risposta ottenni una risatina di scherno. I suoi occhi, di un caldo color nocciola mi fissarono con livore.

Non scoprirà proprio un bel niente se tu non farai la spia, perciò se ti azzardi ad aprire quel tuo stupido becco parlante giuro che te ne pentirai amaramente per il resto della vita!”
Tremai alla sua esplicita minaccia, ma ormai c’ero dentro fino al collo e l’unica cosa che potevo fare era seguirlo. Mi trascinai mestamente dietro di lui, sentendolo bofonchiare parole incomprensibili mentre di tanto in tanto mi allungava dei calci ben assestati, serrando le labbra nell’inutile tentativo di trattenere le lacrime.

Avevo sempre saputo di essere una palla al piede per mio fratello ma era solo questione di tempo, prima o poi avrei trovato il modo di fargliela pagare per come mi trattava. Le mie ginocchia erano tanto deboli da non riuscire quasi a reggermi in piedi poiché il sonno notturno cominciava a farsi sentire, ma non potei fare a meno di rabbrividire quando vidi Antonio rompere il vetro con l’aiuto di una pietra e forzare così la serratura dell’ampia porta del locale, esultando a denti stretti quando riuscì nell’intento.
Mi guardai indietro nella strada buia e silenziosa che col cuore in gola avevo appena attraversato, sperando che nessuno si fosse accorto di ciò che stavamo facendo.

Allora, ti decidi a entrare o cosa?” mi bisbigliò mio fratello e io sussultai, facendogli timidamente notare che forse qualcuno avrebbe potuto sentirci.

Che c’è, te la fai sotto Grissino fifone? Nessuno si accorgerà che siamo qui perché a quest’ora dormono tutti, e anche se fosse non mi importa un bel niente. Dannazione, oggi mi mancavano solo due livelli e avrei finalmente smascherato quel cappuccio parlante, se solo non mi avessero interrotto sul più bello… ma stavolta Slem ha i giorni contati!”
Mentre parlava riuscivo
solo a pensare a come quell’assurda follia ci avrebbe sicuramente messo nei guai di lì a poco, magari facendoci finire in prigione, ma l’improvvisa, inconfondibile melodia elettronica che presto si diffuse nell’aria e che segnava l’inizio del gioco riuscì a breve a catturare la mia attenzione, costringendomi ad avvicinarmi di più allo schermo per controllare i progressi di mio fratello.
Deglutii e serrai subito le palpebre all’inquietante, prima apparizione di Slem che al solito ci dava il benvenuto, invitandoci a iniziare il gioco.

Puoi scommetterci, bastardo!” esclamò Antonio, e mi accorsi che i suoi occhi brillavano di una luce nuova. Si sentiva già la vittoria in tasca, e mentre pensavo al fatto che avrebbe potuto giocare all’eroe anche domattina, alla consueta apertura del locale anziché commettere quel reato in piena notte, come un ladro, mi ritrovai a considerare che i primi livelli erano sempre i più semplici da superare.
Le mani di mio fratello sembravano quasi danzare sui tasti colorati, tanto erano veloci, ma le prime difficoltà non tardarono ad arrivare. La musica si fece sempre più incalzante, lo schermo sempre più luminoso e ipnotico e lui, più concentrato che mai aveva già raggiunto il luogo di non ritorno. Quello a cui nessuno, fino a quel momento, era mai riuscito ad arrivare. “ Complimenti, hai raggiunto l’ultimo livello!” Cantilenò la solita voce sepolcrale, mettendomi ancora una volta i brividi.

A quel punto mi sollevai in punta di piedi, seguendo attentamente con lo sguardo il minuscolo omino stilizzato che, più veloce di una saetta, superò tutti gli ostacoli presenti sul suo cammino prima di fermarsi all’ultimo, il più difficile. Quello che da tempo aspettavamo.

Sì, ci siamo finalmente!” esultò mio fratello, preparandosi a conoscere il vero volto di Slem. Le sue dita continuarono ad armeggiare su quei tasti consumati dal tempo e dalle ore di gioco, in fretta, sempre più in fretta mentre spessi rivoli di sudore scivolavano sulla sua fronte aggrottata…il respiro si affannava…l’ansia cresceva ogni minuto che passava…

Quel luogo sconosciuto e da sempre inaccessibile lo esaltava, possedendolo completamente. Il suo viso era una maschera impenetrabile su un corpo teso verso l’inevitabile certezza…

È questa l’ultima immagine che conservo di mio fratello poiché, da quella volta, nessuno lo vide più. Nessuno sa che fine abbia fatto, o cosa sia realmente accaduto in quella sala giochi. Solo io conosco la verità.

Sono trascorsi dieci anni da allora, e anche se raccontassi ciò a cui ho assistito nessuno mi crederebbe. Nessuno mi prenderebbe sul serio. E poi, per quale motivo dovrei farlo? Era l’occasione che aspettavo da tempo, vendicarmi finalmente di lui. Non c’è più traccia di mio fratello, non in questo mondo almeno.

L’aria frizzantina della sera solletica le mie braccia scoperte, facendomi rabbrividire mentre mi ritrovo a schiacciare il naso contro una vetrina ormai opaca e sporca che mi rimanda la triste immagine di ciò che è stato, e che mi fa ancora sorridere. La vetrina della nostra sala giochi, conforto e simpatia di noi che siamo stati ragazzi.
Un piccolo mondo ora desolato e abbandonato a se stesso, ma ancora intriso di tutti i nostri sogni. O i nostri incubi peggiori. In un angolo, ormai corroso e logorato dal tempo, come un vecchio rottame accatastato sugli altri lo scorgo e, per un attimo, nonostante tutto, mi si stringe il cuore.

VirtualGenius. Trappola mortale, tomba senza via d’uscita. Il ricordo di quella notte mi pulsa ancora dentro, vivido e terribile come il primo giorno. So che dovrei ricacciarlo indietro. In fondo, è meglio così.

Solo io so cosa è successo.

La luce abbagliante che cola dallo schermo e avvolge il suo corpo, sempre più distante. Sempre più impalpabile…

Solo io so cosa è successo.

Il suo urlo straziante che mi ferisce le orecchie mentre mi costringo a guardare. Mentre provo debolmente ad afferrarlo, accorgendomi troppo tardi che le mie mani stringono solo l’aria…

Solo io so cosa è successo.

E poi i suoi occhi, finalmente visibili sotto l’ampio cappuccio su quel freddo schermo, attraverso la luce. Occhi che mi fissano tenebrosi, senza vedermi. Occhi di un caldo color nocciola, che riconoscerei tra mille…

Solo io so cosa è successo.

Le sue labbra, arcuate in un ghigno malefico mentre una diabolica risata echeggia per tutta la stanza. La solita voce sepolcrale ha ora qualcosa di familiare.

“Benvenuto a VirtualGenius, sfortunato giocatore. Inserisci una moneta.”

Solo io so cosa è successo…

Solo io conosco il vero volto di Slem

Angelhalfdemon

magia

Ilenia Di Carlo

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