Cultura e poesia dei Siciliani

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Cultura e poesia dei Siciliani

La corte dell’imperatore Federico II a Palermo, in un dipinto di Arthur von Ramberg

Attorno al 1230 si sviluppò la Scuola poetica siciliana. Si tratta della produzione poetica dei letterati che per tanti anni operarono alla corte di Federico II di Svevia, imperatore e re di Sicilia. Fu la prima forma poetica unitaria per stile a esprimersi in una lingua colta derivata dalla lingua volgare.

La corte di Federico II contribuì alla formazione di un clima unitario di alta cultura laica. Poiché la corte era mobile (si spostava nella Sicilia e in tutto il Meridione), fece germogliare l’esperienza dei Poeti Siciliani su un terreno florido di universalismo culturale e autonomia politica del regno.

La Magna Curia di Federico II riuniva i più grandi giuristi, filosofi e scienziati dell’epoca. Lo stesso imperatore aveva molteplici interessi: colto, poliglotta, con interessi geografici e naturalistici, autore di poesie e di trattati di falconeria.

A lui si deve l’apertura dell’Università di Napoli e della Scuola di Medicina di Salerno, e a questo grande personaggio va il merito di aver fatto incontrare le culture araba, bizantina e latina.

Federico II in una battuta di caccia con il falcone

I protagonisti della Scuola Siciliana erano personaggi di corte, funzionari dell’amministrazione regia, rappresentanti dell’imperatore; di questa élite fanno parte i dotti siciliani e i poeti dell’Italia meridionale. I loro diretti continuatori saranno i poeti toscani che assicureranno la tradizione alterandone i connotati linguistici e arricchendo le raccolte poetiche con una prospettiva storica.

La Scuola dei Siciliani è stata definita Scuola Poetica da Dante, che dedicò alle opere di tali artisti le sue attenzioni. Secondo il Sommo Poeta, infatti, Federico II e dopo di lui suo figlio Manfredi offrirono un alto esempio di nobiltà d’animo e di umanità, e crearono un clima spirituale favorevole a un alto magistero d’arte, creando un polo d’attrazione per i poeti seguenti.

Prima del suo trapianto in Toscana, la lingua “aulica” e “curiale” di questi poeti era di base locale (probabilmente messinese) ma niente affatto municipale e idiomatica; veniva usata da tutti i poeti della Magna Curia di qua e di là dello stretto di Messina, indipendentemente dalla loro anagrafe siciliana.

Nell’ambiente della corte si creò così una nuova società letteraria in quanto lo stile scelto era elevato, la forma elaborata a imitazione della lirica fiorita nel XII secolo nel sud della Francia (Occitania o Provenza).
La lingua usata era alta, ricercata, costruita su una base siciliana arricchita di calchi dal latino e dall’occitano letterario.

Occitania

La nuova figura di poeta è un laico che compone in volgare e allo stesso tempo opera in una sede istituzionale e pubblica. Come membro della Magna Curia siciliana ricopre il posto di maggior responsabilità a fianco di Federico II, diventa pertanto poeta curiale.

La letteratura, per questo gruppo di funzionari, magistrati e notai, veniva coltivata come evasione dalla realtà quotidiana, secondo le convenzioni e l’etichetta dell’amor cortese di eredità provenzale.

Nel sud della Francia, alla fine del XI secolo, era fiorito infatti il movimento trobadorico. La poesia dei trovatori era caratterizzata dall’uso di una lingua volgare nata da diverse parlate della Francia meridionale, Dalla grande qualità lirica, dall’accuratezza metrica e dal prevalere del tema amoroso. Questi poeti erravano di corte in corte e furono accolti in tutta l’area iberica e nell’Italia del nord.

Rappresentazione dell’amor fin trobadorico

Nella tradizione occitana la poesia era destinata a essere recitata in pubblico con accompagnamento musicale, diversamente, la poesia siciliana era destinata alla lettura individuale, senza musica.

Il poeta siciliano è un colto dilettante di poesia e si contrappone al trovatore professionista, spesso scaduto a giullare.

I nostri poeti sono per lo più funzionari e burocrati, con qualche eccezione per i personaggi nobili (Rinaldo d’Aquino, Iacopo Mostacci e Percivalle Doria). Le personalità più rilevanti sono alti funzionari della cancelleria imperiale, dal protonotaro Pier Della Vigna al notaro Iacopo da Lentini, al giudice Guido Delle Colonne.

Il clima in cui operano i Siciliani è quello di una società cortigiana in cui rispetto all’orbita feudale dei Provenzali vi è meno libertà di espressione. Il tema politico e guerresco risulta infatti assente e gli argomenti trattati sono meno legati all’esperienza; l’amore narrato rimane distaccato dalla realtà, senza una determinazione concreta della dama oggetto dell’attenzione.

La poetica siciliana è fondata sulla concezione cortigiana dell’amor fino trobadorico, che paragona l’amore a un rapporto feudale, fondato su un privilegio, legato a un leale omaggio e a un’elencazione dei pregi della persona amata.

Una tenzone fra due trovatori

Le tenzoni erano dibattiti accademici usati tra i Provenzali per presentare e analizzare dei concetti; le tenzoni che avevano come oggetto l’amore presero la forma del sonetto. Alcune delle tenzoni d’amore più famose sono quelle tra l’abate di Tivoli e Iacopo da Lentini, o quelle tra Iacopo Mostacci, Pier Della Vigna e Iacopo da Lentini.

La poetica d’amore siciliana si snoda attorno a due filoni principali: la concezione feudale del rapporto amoroso e la ricerca intorno alla natura e alla fenomenologia d’amore, ma va riconosciuto che nella Magna Curia esistevano varie scuole, sezioni e vere e proprie famiglie poetiche.

Fin dalle origini della poesia siciliana si manifestano relazioni tra il metro e i contenuti dei generi letterari: la canzone curiale ha una tematica lirica, la canzonetta presenta sviluppi narrativi e drammatici, nel sonetto prevale invece un tono discorsivo e dottrinale.

A questi metri vengono a corrispondere livelli stilistici differenziati, si assiste a una sempre più forte specificazione stilistica sia verso l’alto che verso il basso.

La canzonetta dialogica è una forma poetica interessante per il suo orientamento verso le movenze del parlato e la stilizzazione caricaturale dei personaggi. Si tratta di riproduzioni di contesti reali quali appelli, congedi, proteste, invettive di amanti e donne spasimanti o resistenti, disperate per l’abbandono, malmaritate o vogliose di marito. In queste forme liriche, all’elogio della dama subentravano le battute del dialogo, dai tratti a volte popolareschi o comici, altre volte aulici.

La scuola Siciliana

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