Edmond e Jules de Goncourt – Verona

VERONA

Sono erbivendole brune, con i capelli arrotolati sulle tempie, in volute che somigliano a quelle con cui la Jonia ha fatto i capitelli delle sue colonne, e sono, alcune, venditrici bionde, i cui capelli crespi e festevoli mettono intorno al loro ovale come un’irradiazione piena di sole.

Molte di queste venditrici sono vecchie donne di campagna, che portano un cappello di paglia piccolo piccolo, di dove sfuggono, frammezzo a enormi pendenti d’oro attaccati alle orecchie, ciuffi liberi di capelli i quali battono con i loro ricci grigiastri i gialli profili scultorei, che si direbbero scolpiti nel bosso.

E in mezzo a questa verzura… si vedono dei quarti di bue sanguinanti, posti sui primi gradini di scale di palazzi in rovina; e trippaglia in vendita, sotto cui i cani, senza colore irsuti, lappano briciole di polmone; e mostre di picchiverdi: un cibo di cui qui si è ghiotti, uccelli gialli con le teste rosse.

A parte, si vedono mazzolini di fiori, montati su grandi steli, e cose d’ogni sorta e d’ogni colore, fra le quali cercano di passare asinelli carichi di fagotti, perduto nella boscaglia dei loro carichi.

Là, per tutta la mattina, passeggiano ed errano, a fianco di vecchi Italiani, dal naso rubicondo, facendo le loro spese in una sporta, nascosta sotto il mantello, le piccole borghesi di Verona, dall’andatura languida, la testa velata dentro un pizzo bianco, la fronte convessa, gli occhi ravvicinati al naso, la bocca dalle linee tormentate:

donne delicate, affascinanti di quella grazia sofferente dei Botticelli e dei Gozzoli, e che paiono, in questo nord dell’Italia, modelli, serbati viventi, dei quadri primitivi.

Edmond Huot de Goncourt e Jules de Goncourt “Note di Viaggio 1855 – 1856″, trad. Bianca Tamassia Mazzarotto

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