Il Bosco di Avalon

Il Bosco diAvalon, racconto di Lorenzo Barbieri

Il Bosco di Avalon era famoso in tutto il mondo conosciuto di quel tempo. Non c’era re, cavaliere o dama che non fosse attratto dalle storie che si raccontavano su quel bosco, celato dalle nebbie eterne del lago che era ai piedi della foresta.

La figlia del re che era in dubbio sulla scelta del futuro marito, chiedeva sempre, come prova di coraggio e di amore, al pretendente di turno, quella di trascorrere tre notti di seguito da soli nel bosco. Chi riusciva a tornare indietro, sano di mente, per poter raccontare la sua esperienza e ciò che accadeva all’interno, sarebbe stato scelto come marito.

Queste prove finora non avevano dato nessun risultato. Pochi ardimentosi avevano accettato la sfida e, quei pochi non avevano avuto modo di poter raccontare niente, al ritorno erano tornati fuori mente, non ricordavano nulla di quanto accaduto.

La loro memoria era ferma al giorno prima l’ingresso nel bosco. Alcuni addirittura rientrarono ridotti a ebeti o in preda crisi di follia. Gli altri pretendenti, visto il risultato ottenuto dai temerari, si ritirarono; meglio rinunciare a una sposa che diventare folli per sempre.

Successe che, un giorno, uno dei domestici in servizio alla reggia ascoltò le parole della principessa mentre chiedeva ai pretendenti di sottoporsi alla prova. Lui era solo un servo, ma era cresciuto ai margini di foreste, il padre era un taglialegna e di alberi se ne intendeva.

Alto, robusto e dotato di coraggio, aveva accettato di lavorare alla reggia proprio per restare nell’orbita della principessa, della quale lui era segretamente innamorato, sapeva bene che era un amore senza speranza, troppa differenza fra lei e lui, umile servo.

Ascoltate che ebbe le offerte della principessa che dichiarava di sposare chi fosse riuscito nell’impresa, decise di tentare. Non aveva niente da perdere, ma molto da guadagnare. “Possibile -si disse- che questi principi e guerrieri siano stati tutti sconfitti? Cosa ci sarà mai in quel bosco di così terribile?”

Il giorno dopo, armato di un semplice bastone per camminare s’incamminò verso il bosco e vi entrò. Era un posto bellissimo, ampio, pieno di radure ombrose, funghi e rigagnoli d’acqua, alberi maestosi e piante sconosciute.

Solo una cosa lo colpì, lui conosceva bene il mondo sommerso dei boschi e si accorse subito che non c’era il normale rumore del canto degli uccelli.

In un bosco, in genere, l’aria e piena di rumori piacevoli, gli uccelli cantano tranquilli al riparo delle fronde; di altri animali, anche se non si facevano vedere dagli umani, si sentivano i loro versi, i loro movimenti fra il fogliame.

In quel bosco, invece, tutto era avvolto in una coltre di silenzio irreale. Un silenzio ovattato, cupo, intenso, come se tutti i rumori fossero stati chiusi fuori una finestra. Quella situazione dava da pensare, ma il giovane avanzò lo stesso e, mentre era intento ad attraversare un piccolo ruscello, vide ad un tratto illuminarsi una parte nascosta, una specie di nicchia fra due grandi tronchi d’albero; era poco più di una fiammella, ma la sua luce illuminò di un chiarore fluorescente e azzurro tutto lo spazio intorno.

Restò per un attimo sorpreso, ma subito dopo, senza perdersi d’animo, s’avvicinò alla fonte di luce e riuscì a vedere da dove provenisse. Era un esserino piccolo come una farfalla, una lucciola dalle sembianze umane.

“Chi sei tu? -chiese il giovane con voce educata- sei forse una fata?”

L’essere magico lo guardò impaurito, ebbe un moto di paura e tentò di muoversi per scappare, ma visto che lui non si muoveva, e che ormai l’aveva, vista con una voce cristallina rispose

“No, non sono io la fata, io sono Lucilla, incaricata di controllare che tutto sia a posto, lei non vuole intrusi qui nel bosco. Tu piuttosto, che ci fai qui dentro? Non dovresti essere qui, sei un umano e gli umani non sono ammessi. A tutti quelli che vengono, siamo costretti a far dimenticare quello che hanno visto. Da quanto vedo tu non sei armato, non sei un cavaliere. Perché sei venuto? Anche tu devi fare la prova?”

“No, nessuna prova, io sono figlio del popolo e non posso certo ambire alla mano della principessa, ero solo curioso di sapere come mai i nostri cavalieri non riescono a restare tre giorni qua dentro.  Spero che non sia a causa tua. Cosa fate a quei poveretti? Ne ho visti molti che erano davvero malridotti”.

“Non devi preoccuparti per loro, in fin dei conti stanno bene, dipende solo da loro, se vogliono possono tornare normali, naturalmente senza ricordare nulla”.

“Scusami Lucilla, così hai detto di chiamarti vero? Non capisco cosa ci possa essere di così segreto in questo posto da togliere la memoria a degli uomini. Del resto non è che vengono per fare dei danni o rubare chissà cosa. Devono solo passare tre notti qui dentro, non mi sembra una cosa terribile per voi, basta non farvi vedere e così siamo tutti contenti”.

“Come si vede che sei uno stolto ragazzo -replicò la fatina azzurra – non te ne intendi di magia, né di abitanti dei boschi magici. Io non sono nessuno -continuò il piccolo essere luminoso- sono solo una serva.
Anch’io se vogliamo lavoro per la vera fata, la nostra signora, la dama del lago. Almeno questo lo sai o no che nelle acque del lago vive la dama ed è la custode della spada della verità? Excalibur la spada destinata soltanto al futuro re di queste terre”.

“Questa è una leggenda – esclamò ridendo Albino – la conosciamo tutti questa storia, non mi dire che è vera!”

“Certo che è vera ed è proprio per questo che nessuno deve entrare qui dentro. La nostra signora non vuole correre rischi, uno di questi cavalieri potrebbe trovare la spada e la signora non potrebbe impedirlo, così si cambierebbe il futuro che è già stato scritto. La troverà solo il predestinato.
Tu devi andartene subito adesso prima che la fate guardiane ti trovino, o saresti punito e anche io mi troverei a dover subire una punizione.
Se le mie antenne funzionano ancora credo che tu avrai una parte di rilievo nel prosieguo di questa storia.
Cerca di tenere la bocca chiusa per il tuo bene stesso. Saprai appena sentirai pronunciare il nome del prescelto, che lui e solo lui sarà ben accetto qui dentro, e non solo, avrà accesso anche al lago. Sai perché? Lui sarà il futuro re di tutte le terre conosciute.
Ti prego adesso devi proprio andare io ho finito il mio giro di perlustrazione e devo andare anche io. Addio Albino, conservati sempre cos’ innocente, e spero di rivederti ancora una volta.

Albino tornò indietro, uscì sano e salvo dal bosco, voleva tornare di corsa al castello e raccontare la sua storia sperando di riuscire a sposare la principessa, ma si rese conto che non poteva rivelare il segreto della fata del lago.

Se si fosse sparsa la voce della spada magica tutti i cavalieri di tutti i regni si sarebbero precipitati nel lago. Lucilla era stata chiara, il destino di tutti era già stato scritto; uno dei pretendenti al trono sarebbe stato quello giusto e avrebbe sposato la donna che lui amava.

Non poteva competere con il futuro re, tornò a casa e si chiuse in un silenzio che durò fino a quando non decise di cambiare vita. Smise di andare alla reggia, era inutile restare a fare il servo, prese le sue cose e partì per una località lontana dalle terre di Avalon.

Rimase via per dieci anni e in quel periodo riuscì a trovare dei bravi maestri che gli insegnarono l’arte della guerra, dei combattimenti con tutti i tipi di armi. Cambiò nome e, combattendo come mercenario in tutti i conflitti che riusciva a trovare, fece in modo che il suo nome diventasse famoso, un cavaliere senza paura bravo e generoso, si fece chiamare Lancillotto.

di Lorenzo Barbieri

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