Il pianoforte – parte 3 di 3

IL PIANOFORTE parte 3 di 3

Le due si alzarono e si avviarono per andare, quando una delle due si fermò e voltandosi rivolse a Grace un largo sorriso:

“Per dimostrarle che siamo ben intenzionate a volerla come insegnante che vogliamo darle un anticipo su quello che sono sicura farà per i nostri figli. Posso permettermi di mandarle dei vasetti di marmellata che ho fatto io con le mie mani. Manderò mio figlio così lo conoscerà.”

Grace rimase senza parole per un po’, non si aspettava una cosa del genere, stando alle sue parole la donna sembrava sincera. Tentò una risposta anche se molto imbarazzata.

“Grazie signora non deve scomodarsi, ancora non ho accettato, non so nemmeno se lo farò, è un impegno gravoso e come ho detto prima sono arrugginita.”

“Ci pensi Grace – replicò l’altra, ci pensi tutta la notte, non si preoccupi, la marmellata la consideri un omaggio per averci allietato con quella sua splendida canzone. Se accetterà vedrà che io e la mia amica saremo molto più prodighe con lei.”

Detto queste ultime parole le donne se ne andarono e Grace, rimasta sola, si sedette per riordinare le idee, era stata una giornata molto movimentata, gli eventi si erano susseguiti uno dopo l’altro e in ultimo questa offerta di pace da due nemiche dichiarate.

Emma intanto dalla cucina aveva ascoltato tutto e appena le due furono uscite si precipitò fra le braccia della madre.

“Mamma ci pensi, se quelle due arpie si sono decise a venire in casa nostra vuol dire che abbiamo buone possibilità che anche altre verranno per lo stesso motivo. Faremo la nostra fortuna, vedrai la nostra vita cambierà, o sì certo che cambierà.”

“Calma piccola non montiamoci la testa prima del tempo. Sembra tutto facile me ti assicuro che non è così, dovrei riprendere gli allenamenti, ho le dita che si stancano subito e s’intrecciano, non ricordo la musica, non ho spartiti da sottoporre ai ragazzi, devo imparare di nuovo io prima di loro, come si fa?”

Se quelle due pensano di uscirsene con qualche barattolo di marmellata s’illudono ci vogliono anche dei soldi veri, contanti e anticipati, con quelli possiamo comprare tutto quello che serve, il talento è tuo e quello non lo puoi né comprare, né imparare di nuovo, quello è in te.”

 “Ho capito ragazza, ancora non abbiamo fatto niente e già stai sognando cose non abbiamo, calmati e ragiona. Facciamo il punto della situazione. Oggi qualcuno, non abbiamo idea di possa essere, ha deciso di regalare a noi un pianoforte. Ora, prima di tutto, vorrei sapere chi e perché ha fatto questo. Cosa ha spinto uno sconosciuto a farci questo regalo?”

 “In teoria, rispose la ragazza- dovrebbe essere qualcuno che ti conosce e anche bene, sa che tu sei brava a suonare, ha fatto due più due ed è arrivato quell’affare. Dico bene? Sei proprio sicura di non aver espresso un desiderio simile per l’imminente Natale, quella potrebbe risultare la risposta esatta.”

“Smettila ti prego, questi discorsi non stanno né in cielo né in terra, perché dovevo pensare a un piano ammesso che avessi qualche desiderio. Ora fammi finire il discorso non m’interrompere, ti prego.”

“Ok mamma, allora continua”

“Dunque, ora abbiamo un piano, cosa fare?”

“Non cominciare mamma, come ho detto quel coso rimane dov’è. Come hai potuto costatare di persona, non ha fatto in tempo a entrare in casa che già ha portato fortuna, due clienti disposte a pagare per delle lezioni, se fosse stato per te già ti avevo immaginato in sala circondata da una miriade di bambini urlanti. Vedrai che ci porterà fortuna.”

“D’accordo lo teniamo, ma in merito alle lezioni la faccenda diventa complicata.”

“Perché scusa, che cosa c’è di così difficile da capire. Qualche bambino viene qui tu gli fai vedere come si mettono le mani sulle note, imparano qualche canzoncina e il gioco è fatto, non pretenderanno mica di far diventare i loro mocciosi dei concertisti!”

“Emma cara la fai facile tu, ma non è così semplice. Se si viene a sapere che do lezioni a pagamento diventa un reddito e poi quelli del fisco vorranno sapere di più e farci pagare le tasse su un presunto guadagno. Si metterà in moto un meccanismo che alla fine ci farà tornare peggio di come stiamo adesso.”

“Mamma, per favore, possibile che pensi sempre a cose negative? Chi ha detto che ci sono guadagni, come fanno a dimostrarlo, se le signore pagano in natura, oggi la marmellata, domani la carne, altre volte il pesce, si tratta di cibo, di solidarietà, noi facciamo qualcosa per loro e loro ci aiutano, non mi sembra un delitto. Se qualche volta ci scappa qualche ghinea o sterlina non casca il mondo, sono soldi per la manutenzione del pianoforte, stai tranquilla una spiegazione si trova sempre, importante è che si cominci a smuovere questa vita, che come hai detto tu prima è fin troppo ostile per noi.”

“Grazie cara, sei piccola ma hai tanto sale in zucca, senza di te non saprei che fare, ti voglio bene figlia mia. Allora dici che devo accettare quello che ci manderanno le due arpie?”

“Dai adesso non cadere nel romantico, siamo più realiste, stiamo patendo la fame e questo regalo inaspettato è stato come un invito, uno sprone a darci da fare, con questo strumento possiamo migliorare la nostra vita in fin dei conti era quello che volevamo, no?

Ti confesso che anche io ho  espresso dei desideri a Babbo Natale, certo non ho chiesto un pianoforte, ma qualcosa che facesse cambiare la nostra vita fatta di stenti, non mi lamento tanto per me stessa, io sono giovane e ho tempo per fare la mia strada, quanto per te mamma non ce la faccio più a vederti penare tutti i giorni per un pezzo di pane e, oltre tutto derisa e umiliata da quelle quattro pettegole che sono le nostre vicine. Che poi anche loro non se la passano tanto meglio di noi.

Chi abita in queste zone è accomunato agli altri dalla stessa condizione di indigenza. Anche le autorità lo sanno e hai visto che da noi non hanno messo nessuna luce o albero, non c’è una vetrina illuminata, siamo soli abbandonati da tutti.”

“Emma adesso sei tu che cadi nella retorica, sappiamo bene che tipo di vita conduciamo e dove ci troviamo, purtroppo non dipende da noi, la sorte ha voluto così e noi ci adeguiamo. Ora però con il pianoforte sembra che qualcosa stia cambiando, se il pensiero del donatore era quello di farci svegliare per cambiare il nostro destino direi che ci sta riuscendo. Ora figlia mia, accettiamo il dono con il cuore aperto e apriamolo alla speranza, ci aspettano giorni migliori.”

Finito di parlare, madre e figlia si unirono in un lungo abbraccio che fi interrotto solo dal campanello della porta che risuonò nel silenzio di quella sala fredda e in penombra. Emma andò ad aprire e si trovò davanti tre marmocchi dagli occhi lucidi e tristi. Il più piccolo aveva le ginocchia sbucciate e gli scorreva il naso, era come spaesato, non sapeva bene cosa doveva fare, si guardava intorno senza parlare, in mano aveva una busta sacchetto che manteneva con forza.

“Ciao ragazzi, – li apostrofò Emma – allora cosa vi spinge a bussare la porta? sorrideva mentre parlava con loro. Li conosceva bene per averli visti spesso in strada a giocare, ma lei più grandicella e femmina non poteva mettersi con loro.”

“Prego venite dentro che fuori fa molto freddo, e tu Tommy aspetta che prendo un fazzoletto ti cola il naso, su dentro che chiudo la porta.”

I tre entrarono e rimasero fermi all’ingresso, impacciati, doveva essere la prima volta per loro andare da soli a far visita a delle persone estranee. Si guardarono in giro, ma c’era poco da vedere era la stessa camera uguale alla loro. Quelle case popolari erano tutte uguali, solo gli abitanti facevano la differenza.

La sala dove erano adesso era abbastanza pulita e in ordine rispetto alla loro. Si vedeva la mano femminile nell’arredamento, scarno ma di buon gusto. Fu il pianoforte che attirò la loro attenzione e si misero a fissarlo con stupore. Quello era un vero piano e ben presto avrebbero avuto l’occasione di poterlo suonare.

Andrea il figlio più grande della signora Collins fece segno al fratello minore di osservare bene quello strumento, lui non stava nella pelle, tentò un passo in quella direzione ma si fermò subito, non voleva rovinare tutto comportandosi in modo scorretto.

Dopo pochi minuti arrivò Grace che si era cambiata d’abito, era serena e sorridente, accolse i ragazzi con un sorriso, accettò dalle loro mani i vasetti che portavano e rassicurò che fra qualche giorno avrebbero iniziato le lezioni di piano. Consegnò a Andrea un foglietto con sopra scritto le cose che doveva portare con sé alla prima lezione e disse loro di salutare e ringraziare la madre per il dono delle marmellate.

Il terzo ragazzo era il figlio della signora Thompson e anche lui aveva qualcosa in mano da offrire, era un pezzo di burro da mezza libbra, la madre gli aveva detto che lo offriva come anticipo sulle lezioni, che non si preoccupasse, il marito lavorava in una ditta che lo produceva e loro lo potevano avere con un grosso margine di sconto. Grace fece lo stesso discorsetto al bambino e gli consegnò lo stesso bigliettino poi li accompagnò alla porta e si assicurò che prendessero la via di casa.

Le cose cominciavano a mettersi in ordine, ancora non aveva fatto nulla di concreto e già aveva della marmellata e del burro. Il suo primo pensiero fu di andare in cucina a controllare se era rimasto del pane, la fame e il desiderio di assaggiare una fetta con burro e marmellata era impellente, chiamò a gran voce la figlia:

“Emma! Per favore vuoi vedere se in dispensa c’è del pane, anche secco non importa!”

La voce della ragazza arrivò forte, ma delusa. Non era rimasto nulla, lo avevano mangiato tutto a cena. Grace guardava quei barattoli nelle sue mani e a malincuore andò a sistemarli sul mobile della sala, davano anche una parvenza di arredamento, il burro invece andò a metterlo in cucina vicino alla finestra dove era più freddo.

Delusa e affamata pensò di mettersi al piano e suonare qualcosa, le avrebbe fatto dimenticare le avversità, del resto doveva fare allenamento, se voleva davvero insegnare qualcosa a quei ragazzi. Pensò che dato il periodo natalizio poteva suonare canzoni e musiche in voga in questi giorni.

Le prime note di “Hark! The herald angels sing” furono quasi timide, un approccio, poi pian piano si diffusero come ali di angeli e subito la sala fu piena di note natalizie. Emma si mise vicino a lei seduta e la pregò di suonare ancora, volle prima “O come all ye faithful” e poi “Auld lang sybe” seguendo le musiche intonò qualche canto. Aveva una voce cristallina esile, ma riusciva a mantenere le note a lungo facilitando la melodia. 

La vigilia di Natale era arrivata gelida con vento di tramontana che spazzava il lungo viale di Carnaby cres. Tutte le finestre del lungo serpentone di mattoni rossi a tre piani erano chiuse, la strada deserta. Poco distante, al di là del caseggiato, dai binari della metropolitana si sentivano i treni correre veloci all’aperto prima di entrare nelle lunghe gallerie che li avrebbero portati al centro della città.

Lungo la strada non c’erano molti negozi e quei pochi avevano già chiuso i battenti. Lo spettacolo della strada era desolante, era solo una teoria di alberi spogli e il vento che faceva sollevare polvere e foglie residue.

Nessun addobbo natalizio, nessun albero era stato predisposto, lo spirito natalizio era assente. Le persone erano tutte chiuse in casa a cercare di riscaldarsi e preparare la cena della vigilia con quel poco che avevano.

All’imbrunire, dopo l’ora di cena, nel sibilare del vento si udì improvvisa una musica. Una sequenza di canzoni di Natale più conosciute.  Sembrò che la via si animasse di una vita propria, il vento calò la sua intensità, gli alberi smisero di agitare i rami, come fossero rapiti e stupiti nell’ascoltare quella musica. Qualche finestra fino ad allora buia si accese e qualche testa uscì per accertarsi della provenienza di quel canto.

In strada apparve una figura singolare, una anziana donna imbacuccata in un pastrano nero che copriva un vestito lungo e variopinto. Attraversava la strada per dirigersi verso l’ultimo appartamento all’angolo con Gresham road. Arrivata davanti la porta si fermò e diede uno sguardo intorno. Vide molte persone affacciate e fece segno loro di venire giù, di unirsi a lei.

Dopo pochi minuti si era formato un discreto gruppo di persone che si parlavano, si stringevano la mano, stavano conoscendosi in quel momento pur abitando in quella strada da diversi anni. Guendy quando vide che non ne arrivavano più decise che era il momento di suonare il campanello della sua amica.   

Questa volta fu Grace ad aprire, pensava di trovarsi davanti qualche altro ragazzo o al massimo la sua amica Guendy, invece c’era un gruppetto di persone, molte delle quali non conosceva. Non erano del loro fabbricato. Chi erano quelle persone?

“Prego, desiderate?” 

Dal gruppo, una dozzina o poco più, emerse la figura tondeggiante di Guendy, avvolta in una specie di barracano nero e con un cappellino di lana calato sulle orecchie.

“Scusami Grace ma non ce l’ho fatta a resistere! La tua musica natalizia mi ha fatto venire un magone dentro che sono dovuta uscire e strada facendo ho incontrato queste persone che si aggiravano nella strada per capire da dove veniva quella musica.

Li ho portati qui da te, come vedi lo spirito natalizio si aggira anche tra di noi reietti. Non ci hanno messo nessuna luce, nessun addobbo, pensano che non valiamo niente, ma anche noi abbiamo un cuore, un cervello e posso dire anche a nome di tutti che, quella roba alla fine, a noi non interessa. Credo che a tutti loro – fece segno con la mano verso le persone che erano con lei – piace invece stare insieme, magari cantare la canzoni di Natale e formare una comunità. Che dici ci possiamo unire ai tuoi canti?”

Grace sorpresa, ma felice, fece segno di entrare:

“Prego entrate non state lì al freddo, accomodatevi, speriamo di entrarci tutti, sapete meglio di me come sono questa nostre case, piccole e fredde, ma il calore dell’amicizia saprà riscaldare i nostri cuori. Venite, non ho sedie a sufficienza per tutti, ci dobbiamo arrangiare Emma vai a prendere le sedie, tutte quelle che abbiamo!”

“Non si preoccupi signora – disse un uomo che non conosceva – per cantare bisogna stare in piedi, sono venuto guidato dal vostro canto, dopo anni di silenzi in questo quartiere finalmente è arrivato anche per noi il Natale, quello vero, quello che tutti dovrebbero festeggiare in questo modo, ascoltando le canzoni e stando insieme. 

Non servono le luci, gli alberi luccicanti di palle e fili argentati, non occorre mettere addobbi alle finestre che nulla hanno a che vedere con lo spirito natalizio. Noi non ci conosciamo signora, ma le assicuro che questa sua iniziativa di cantare le canzoni natalizie ha contagiato molti di noi e siamo qui proprio per festeggiare un Natale come non facevamo da anni.

Da parte mia, signora Grace, grazie! Grazie di aver portato la luce in questo posto oscuro. Stia sicura che anche dopo Natale troverà in me un valido aiuto, per qualsiasi cosa possa servirle sono a sua disposizione. L’amica Guendy ci ha accennato qualcosa su di lei, niente di particolare e di privato, ma qualcosa che rispecchia un po’ il suo animo gentile.”

Sommersa da quel fiume di parole Grace riuscì perfino ad arrossire a tutti quei complimenti, si schernì e riuscì solo a dire:

“Grazie lei è molto gentile, spero di non deluderla con la musica, se vogliamo fare qualcosa insieme sarò onorata. – poi rivolgendosi a tutti i presenti in sala e alzando un po’ la voce chiese di parlare.

“Signore, la vostra presenza qui mi onora, la mia amica Guendy ha fatto bene a portarvi qui da me, se la mia musica può servire a portare serenità nel nostro quartiere sarò felice di mettermi a vostra disposizione e, visto che siete qua e manca poco alla notte di Natale che ne dite se cominciamo a cantare qualcosa nell’attesa?

Vorrei tanto offrirvi dei dolci, almeno dei “Mince pie”, ma purtroppo non ho fatto nulla, tempi duri! Non ho nemmeno molto da bere per augurare un buon Natale a tutti, sono stata presa alla sprovvista e non ho nulla da offrire. Posso solo suonare per voi tutti, ditemi con quali canzoni volete cominciare.”

“Grazie Grace – rispose per tutti l’amica Guendy – non devi preoccuparti, prima di entrare da te abbiamo concordato tra noi su cosa fare. Ognuno di noi ha portato quello che aveva in casa disponibile, quindi non possiamo lamentarci, credo che faremo la più bella vigilia di Natale mai fatta da quando siamo qui ad abitare. Signore siete d’accordo con me spero!”

“Certo signora Guendy, siamo tutti d’accordo e come suggerito abbiamo portato qualcosa sia da bere, sia da mangiare. Io avevo delle bottiglie di vino da parte che non abbiamo avuto modo di consumare.”

Così dicendo trasse da una borsa rimasta nascosta fino ad allora, tre bottiglie di vino rosso. Un’altra signora cacciò dalle tasche del cappotto che indossava due scatole di cioccolatini e una scatolina con diverse bustine di tè.  

Il signore che aveva parlato prima con Grace, si presentò. Disse di chiamarsi Mauro, chiaramente di origini italiane e abitava nel complesso di fronte, era divorziato da poco e viveva in quelle case per difficoltà economiche subentrate al divorzio. Lui aveva portato una grande borsa e dentro c’erano filoni di pane, panini e anche una busta con i deliziosi Mince pie, in fondo era rimasto un fagottino di carta chiuso, non lo cacciò fuori ma lo lasciò dentro fra la curiosità dei presenti, nessuno però chiese cosa conteneva.  Il suo mestiere era il fornaio e a chiusura di negozio aveva preso tutta la rimanenza.

Man mano ognuno mise sul tavolo il suo contributo alla serata. Nessuno però aveva portato il tradizionale tacchino ripieno, difficile che in quelle palazzine spoglie e buie ci potesse essere qualcuno in grado di preparare un piatto del genere. Solo una signora con la faccia contrita mise in un piatto un pezzo di roastbeef freddo, era dispiaciuta che non bastasse per tutti. Fu rassicurata che andava più che bene così, erano tutti uguali e nessuno doveva sentirsi in colpa.  Guendy per ultima si assentò per tornare un attimo a casa a prendere qualcosa, quando tornò, aveva in mano un pentolone enorme pieno di minestra calda. 

“Ecco ragazzi, avevo sentore che era la serata giusta e mi ero preparata all’evento, una bella minestra calda è quello che ci vuole per riscaldarci, poi canteremo e aspetteremo la mezzanotte, e faremo festa con quello che c’è a disposizione, ho visto che ci sono molte cose buone, dal salame ai dolci e il vino non manca, che ne dite vi piace il programma?”

Il gruppo emise un hurrà così rumoroso da far tremare le pareti, tutti furono presi da un’euforia e una smania di aiutare a preparare, ci fu un grande andirivieni fra la cucina e la sala, molte signore andarono a casa a prendere altre sedie e, tovaglie, posate e bicchieri.

Quando alla fine si calmarono al centro della sala, c’era un enorme tavola apparecchiata, tutti erano in piedi ad ammirare il risultato del loro lavoro, quella che non stava in sé dalla gioia era Emma, il suo viso era accaldato, gli occhi accesi da una felicità mai provata, tutto quello che vedeva era stato sognato, ma mai realizzato.

Era stato possibile realizzare tutto quello, con la sola presenza di un pianoforte?   Era sicura che, senza la bravura della madre, sarebbe stato tutto inutile. Chi aveva fatto quel dono doveva sapere come andava a finire, e dentro di lei un pensierino a Babbo Natale lo fece.

Nel gruppo che era entrato c’era anche una ragazza che poteva avere sui quindici o sedici anni, si mise subito a parlare con Emma che era la più vicina a lei come età e confabularono a lungo. Durante la loro chiacchierata, Emma spalancò gli occhi che brillarono di felicità, si strinse al petto la ragazza che contraccambiò con enfasi, poi si allontanarono dal gruppo che si stava preparando.

 La serata trascorse in allegria e tutti erano eccitati, i loro cuori si aprirono e vennero fuori storie tristi, storie di gente comune che aveva preferito trincerarsi dietro un muro di diffidenza e isolamento per non mostrare le proprie debolezze agli altri, ognuno convinto che le proprie disgrazie fossero quelle più pesanti, dando agli altri il beneficio del dubbio, la dignità di non mostrarsi debole di fronte a chi erroneamente si credeva fosse migliore di loro. In quella sera di vigilia invece si scoprì che i problemi erano uguali per tutti.  

 Finito di cenare, tutto fu ripristinato nella condizione originale. La sala restò vuota com’era prima e fu allora che Grace si mise al piano. Mancavano un paio di ore alla mezzanotte, giusto il tempo di intonare qualche canto. 

Le prime note furono di riscaldamento, poi le voci s’intonarono e venne fuori un coro di voci eterogeneo, nessuno fece caso alle stonature e alle cadute di tempo musicale, erano tutti impegnati a cantare e a mettere il cuore in quel canto.

Le canzoni si susseguivano una dietro l’altra, “Silent night”, “The first noel”, “Deck the halls”. Grace, sembrava inesauribile, toccava quei tasti con una energia sconosciuta, la fronte sudava nonostante che nella sala non ci fosse il riscaldamento. Stavano ancora cantando quando giunse la mezzanotte e le campane della chiesa distante due isolati fece sentire i suoi rintocchi.

Le due ragazze si allontanarono di soppiatto e tornarono in sala con un tavolinetto, piccolo e scrostato dall’usura, sopra avevano messo un centrino, delle foglie secche raccolte in strada dalla ragazza più grande quando era venuta, qualche rametto e avevano preparato alla meglio una capanna, adesso dentro ci voleva il bambino Gesù, ma non avevano trovato nulla che andasse bene, stavano discutendo fra loro su come ovviare.

All’improvviso, l’uomo chiamato Mauro andò di corsa a prendere la sua borsa e cacciò fuori il fagottino rimasto, lo scartò con delicatezza e ne venne fuori un bambino Gesù, fatto di mollica di pane, era un po’ grezzo ma perfetto. Lo andò a posizionare nella capanna fatta di foglie e rami secchi. Lui ci sapeva fare con il pane, era un vero artista e, poi, da buon italiano amava di più il presepe che l’albero.  Alla vista di quella scena le donne si emozionarono, fra lacrime e sorrisi si avvicinarono e in silenzio pregarono.

Poi piano piano si riunirono di nuovo per cantare “White Christmas”.   Questa volta cantarono con tutta la passione di cui erano capaci, per la prima volta avevano trascorso un Natale degno di questo nome, senza luci, senza sfarzi, ma semplicemente con il cuore e la preghiera, come dovrebbe essere festeggiato sempre.

Finirono la canzone, poi per stemperare quella atmosfera di tristezza decisero di scendere in strada per salutare l’arrivo del Natale, quel gruppo di semi sconosciuti si ritrovò a passeggiare in strada come una comitiva di vecchia data, lo spirito del Natale era in loro.

La potenza della musica aveva fatto riunire persone afflitte da mille problemi, costretti a vivere un’esistenza grama, senza una certezza di futuro, il Natale e la musica avevano operato un miracolo, quella gente per quella sera era felice incurante del freddo e del vento tagliente che pizzicava la faccia. Provarono anche a cantare a braccio senza musica, un coro per accogliere l’evento dell’anno, dove tutti sentono, nel cuore la fraternità, la solidarietà verso il più debole.

Cantavano la gioia di essersi ritrovati uomini e donne ancora capaci di emozionarsi e di provare sentimenti nascosti fra le pieghe delle difficoltà giornaliere.   Andavano sotto braccio tutti uniti nella fede ritrovata e nella speranza rinnovata.

Cantavano ancora quando cominciarono a cadere i primi fiocchi di neve che imbiancarono la strada, mentre in alto non visibile agli occhi di tutti, una slitta volava veloce verso le stelle e la risata dell’uomo in rosso si spandeva nel cielo: il suo compito era terminato.  

di Lorenzo Barbieri

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