Il primo in alto a sinistra

Il primo in alto a sinistra

ovvero “Come eravamo”

Prologo.

Negli anni del dopoguerra fino allo scoppio di Tangentopoli, il P.C.I. (Partito comunista) in ogni consultazione elettorale si dava da fare al massimo affinché, nella scheda elettorale, con sistema proporzionale, il suo simbolo fosse sempre il primo del lato sinistro. Così lo era anche nelle elezioni del 7 Maggio 1972.

     –Ma papà non è assolutamente come dici!! Tu sei rimasto al tempo della monarchia, ragioni ancora con la mentalità di un antibolscevico, mi sembri uno di quegli “yankees” da film che a sentir parlare di comunismo pensa a Frankenstein.-

    -Lascia stare l’America per favore…guarda, quella lasciala da parte che non c’entra niente… magari fossimo come loro, noi!-

     -Ecco, lo vedi? Lo vedi che sei un reazionario, un borghesuccio attaccato al suo stipendio di impiegato, ai suoi piccoli privilegi che ha paura di perdere? Lo vedi? Lo vedi che non vuoi ragionare con prospettive più ampie? Lo vedi che ho ragione io papà?-

     -Comunque basta! Non ne voglio più parlare di queste tue idee
rivoluzionarie.. sempre di comunismo si tratta-

     -Uffa! Con te non si può proprio discutere, sei irrecuperabile!- E così dicendo, suo figlio se ne andò sbattendo la porta, facendolo trasalire.

     “Ma come”– rimuginava inquieto il ragioniere Mariano Trinchetti- “io gli ho dato tutto…i soldi per studiare…la macchina… non muore certo di fame…e questo qui ora mi si rivolta contro, fa il comunista anche lui.  Accidenti!….non bastano quelli che ci sono fuori, che sono tanti! No, anche uno in casa dovevo trovarmene…”

    –Mariano!- il suo elucubrare fu interrotto dalla voce imperiosa e stridula di sua moglie che irruppe come una furia nella stanza – Mariano, quante volte ti devo dire che non voglio che parliate di politica in casa! Sono stufa delle vostre discussioni che non portano a niente. Ecco! Giorgio se n’è andato senza aver mangiato, tu sei qui a roderti il cervello… e di là la pasta si sta raffreddando  Basta! Non ne posso più!  Questa non è una casa, mi sembra l’anticamera del Parlamento, sempre a discutere di politica, come se non ce ne fosse già abbastanza in giro, in televisione, sui giornali, per la strada, devo sentirla anche qui in casa mia. Sono stufa!-

    E se ne andò anche lei sbattendo la porta, facendo sussultare per la seconda volta il povero ragioniere che riprese le sue elucubrazioni.

    “E’ vero, ha ragione, con tutto questo continuo lavaggio del cervello per le strade, in ufficio, mi stanno tirando scemo, eh sì so io dove vogliono arrivare…”

    Più tardi il ragioniere Mariano Trinchetti uscì per tornare al lavoro, dopo la parentesi del mezzogiorno, senza aver mangiato quasi nulla, se non rabbia e fiele. Come al solito in casa si era venuta a creare quella odiosa atmosfera pesante, carica di tensione, che si sarebbe potuta tagliare con il coltello tanto era densa: lui che non riusciva più a spiccicar parola, la moglie imbronciata che
faceva il muso e la figlia Luciana che lo guardava di tanto in tanto con quella sua tipica espressione di rimprovero, d’ironica disapprovazione.

    Lei non la pensava proprio come il primogenito, però ogni qualvolta scoppiava baruffa e il posto del fratello rimaneva vuoto, allora il suo atteggiamento dimostrava, anche senza parole, che la responsabilità della situazione l’attribuiva principalmente a suo padre.

    Stava scendendo le scale, ancora rimuginando su quanto successo quando improvvisamente:

    –Bandiera rossaa….la trionferàaa….. Uellaa!. Ragioniere come la va? Mi raccomando eh, si ricordi, IL PRIMO IN ALTO A SINISTRA! Coraggio, che questa volta ce la facciamo… Bandiera Rossa la triunferàaa…-

    Era sempre così quando incontrava il suo vicino, il sig. Ermanno, un rosso sfegatato che gestiva il distributore di benzina sotto casa, dove lui morire se ci andava. Quel comunista che non mancava mai di ossessionarlo, specialmente ora che si approssimava il giorno delle elezioni, con quel maledetto slogan martellante.  Si riferiva appunto al posto che nella scheda elettorale occupava, come di tradizione, il simbolo dell’odiato PCI.

    E incredibilmente, era diventato anche il ritornello di altri rossi, sulla sua strada, come i due colleghi di sinistra, quasi dei sottoposti, ma che in ufficio non smettevano mai di fargli battute tipo:

    – Allora ragioniere, finalmente fra poco si cambia, il potere ai più umili, e ai capi tremende purghe!- Oppure anche – Eh sì, pure qui ci vorrebbe un po’ di Siberia, per qualcuno!– e così via farneticando e sghignazzando alle sue spalle.

    Ma il ragioniere Mariano Trinchetti non riusciva a riderne di quelle sciocchezze, anzi ogni giorno era sempre più ossessionato dall’incubo che questa volta i rossi avrebbero potuto farcela ad andare al governo. Se ne parlava ovunque, nei dibattiti, fra la gente e lui era come una spugna: si beveva tutto. Cominciò perfino ad avere brutti sogni. Vedeva mostruose facce bitorzolute, con grossi foruncoli rossi sanguigni che gli gridavano la maledetta frase: RICORDATI, IL PRIMO IN ALTO A SINISTRA!

    Si svegliava tutto sudato nel cuore della notte, gridando come un ossesso:-No! NO! Il comunismo no! Basta! Maledetti Rossi non mi avrete! Mai!-

    Ovviamente la cosa finiva per far imbestialire la moglie, che poveretta, strappata nel mezzo del sonno da quelle grida, appena si rendeva conto di che si trattava, non poteva esimersi dall’infierire sul marito:

    –Ancora! Disgraziato che non sei altro, anche di notte devi pensare alla politica, ma tu sei malato, devi andare da un dottore, da uno psichiatra. Non ti basta quello che stai provocando in casa, nella famiglia, tu mi vuoi morta, altro che!-

    L’indomani poi rincarava la dose, e anche se con più pacatezza, ma più dolorosamente, gli ripeteva che forse era malato, che aveva bisogno di una cura speciale, e quando lui si ribellava e cercava di spiegarle che era colpa di tutti quelli, comunisti, rossi, che cercavano di fare il lavaggio del cervello alla gente per poter prendere il potere e trasformare l’Italia in una specie di Cecoslovacchia e Ungheria, lei diceva semplicemente : – Ma va!- Allora lui desisteva e se ne usciva mogio mogio, con tutta quella sua angosciosa paura, che continuava a rimanere solo sua.

    Poi ogni volta che qualcuno di quelli si vantava, senza alcun pudore delle loro idee sinistre, allora il ragioniere Mariano Trinchetti si rafforzava nelle sue paure, pensando che per essere così sfacciati dovevano proprio sentirsi sicuri del fatto loro. Inoltre non passava giorno che incontrasse, più spesso del solito, il diabolico Sig. Ermanno, che gli tuonava il suo ritornello:

    –Mi raccomando. IL PRIMO IN ALTO A SINISTRA, ed è fatta!- Non bastava a consolarlo neppure la silenziosa accusa che si coltivava dentro, la convinzione ormai sempre più salda che quello vendesse benzina annacquata.

Poi a casa, invece di trovare pace e tranquillità, doveva assistere ai reiterati tentativi che suo figlio metteva in atto, mellifluamente, per cercare di convincere la sorella a votare come diceva lui.

    Così passò gli ultimi giorni prima del voto in uno stato sempre più pietoso. Il suo volto, già non particolarmente colorito, aveva assunto un pallore sempre maggiore, e anche nel lavoro perdeva colpi, tanto da far aumentare inesorabilmente l’attenzione morbosa dei suoi due colleghi aguzzini:

    –Allora ragioniere che c’è oggi, non si sente bene? Già comincia adesso a tremare? Su, su animo! Vedrà che presto cominceremo a respirare aria buona!-    

    “Sì. Nei gulag” Pensava disperato e incapace di reagire.

    Poi, finalmente, arriva il fatidico giorno del 7 Maggio, e malgrado le difficili condizioni psicologiche, il ragioniere Mariano Trinchetti è pronto a fare il suo dovere di cittadino, saldo nei principi della democrazia partecipativa e consapevole che anche un solo voto, il  suo, potrebbe essere determinante per il mantenimento dello status quo, e un contributo decisivo per la salvezza della Nazione.

    Lì, solo, nella cabina dove si compie quell’atto che può decidere delle sorti della Democrazia, il ragioniere Mariano Trinchetti però continua a risentire nella sua testa, come un martellamento quello stramaledetto slogan che non gli ha dato più pace: IL PRIMO IN ALTO A SINISTRA. Sa che sono in tanti che faranno il segno proprio lì, che sono dovunque, persino il Presidente del seggio…forse è uno di loro… come gli aveva detto prima, dandogli la scheda e la matita con un sorrisetto  equivoco?- Ecco, prego si accomodi nella cabina, LA PRIMA A SINISTRA..-

    “Anche lui, anche lui!” Pensava con angoscia, ma non rassegnato, visto che lui sapeva bene cosa fare.

    Il ragioniere Mariano Trinchetti uscì sorridente, ma un po’ pallido dalla cabina, si avvicinò alle urne e attese con tranquilla e profonda commozione che il Presidente espletasse le formalità di rito poi, con mano tremante, lasciò scivolare la sua scheda nella fessura dell’urna. Ecco, era fatta, la sua era una scheda importante, acceso di sacro orgoglio stava riflettendo che almeno il suo era stato un voto intelligente, ponderato e non influenzato dalle sparate pubblicitarie, e dagli slogan roboanti.

    Un voto baluardo all’avanzata dei rossi. Guardò ironicamente il Presidente, neppure lui avrebbe potuto qualcosa contro la sua ferrea coscienza democratica. Aveva fatto il suo dovere malgrado tutti i loro occulti subdoli tentativi di lavargli il cervello, e ne era fiero.

    Uscì dal seggio con aria trionfante, ma ecco appena fuori gli si parò davanti un enorme cartello elettorale con il facsimile della scheda, la stessa che aveva avuto sotto gli occhi qualche momento prima, solo che qui la croce era sul primo simbolo in alto a sinistra, il tanto odiato temuto simbolo.  Ma lui li aveva fregati tutti… lui aveva fatto la croce su….ma su che cosa aveva fatto la croce?…ma naturale, perché dubitava…accidenti…un sospetto….No, un momento…dunque vediamo di ricordare….ma, ma no, non è possibile.. –AIUTO! NO!NO! MIO DIO NO!-

    Il ragioniere Mariano Trinchetti era rimasto folgorato di fronte alla terribile sensazione, di avere sbagliato, dopotutto. Se ne stava lì, davanti al grande cartello, inebetito, ripetendo fiocamente quel no, ormai inutile, e la gente passando pensava che fosse il solito inguaribile indeciso.

di Gianluigi Redaelli

 

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