La Volpe e la Cicogna

Più malinconico del solare Esopo è il latino Fedro, vissuto tra il 20 a.C. e il 55 d.C.; le poche notizie che abbiamo sulla sua vita si ricavano dalle sue opere. Portato a Roma come schiavo dalla Tracia, ancora bambino, ricevette un’educazione letteraria; fu poi assegnato alla servitù dell’imperatore, come insegnante. Per i suoi meriti fu liberato dalla condizione di schiavo e visse come liberto nella casa imperiale anche sotto Tiberio, Caligola e Claudio.

E’ autore di cinque libri di favole; i personaggi dei racconti di Fedro sono animali che parlano il linguaggio degli uomini del tempo e ne rappresentano le tendenze e i difetti.

La volpe e la cicogna[1]

Chi la fa l’aspetti

 

I nostri antenati ci raccontano che in un’epoca lontana, quando gli animali avevano ancora il dono della parola e non si vergognavano di farsi vedere dagli uomini, una volpe volle organizzare una cena a casa propria e invitò la sua amica cicogna.

Le volpi, si sa, sono degli animali furbi per natura e riescono spesso a cavarsi dai guai grazie alla loro astuzia (anche se alcune di loro tendono a perdere la coda nelle tagliole, durante le loro scorribande; in quei casi sfortunati, il furbo animale se ne fabbrica una posticcia con la paglia, ma sta sempre sul chi vive nel timore di bruciarsela con il fuoco: insomma, come dicevano i nostri nonni… ha la coda di paglia).

Pochi sanno, tuttavia, che questo animale dal bel manto rossiccio riesce anche ad essere dispettoso e un po’ indisponente.

Tutti noi ci saremmo aspettati, infatti, che la volpe preparasse per la sua ospite una cena deliziosa e, soprattutto, tenesse conto dei gusti della cicogna.

Invece, la volpe si limitò a preparare una brodaglia che venne servita a tavola su di un semplice vassoio, senza neppure una fetta di pane per poter gustare meglio la pietanza principale, né bevande per ristorarsi.

La cicogna, anche se affamata e desiderosa di provare il talento culinario dell’amica volpe, in nessun modo riuscì ad assaggiare la zuppa; il becco di questi uccelli, come è noto, è lungo e stretto per cui tentare di assaggiare quel brodo si rivelò un’impresa impossibile.

La volpe, sorniona, vedendo l’ospite in difficoltà, si limitò a finire la sua porzione in tutta tranquillità; poi, spazzolò avidamente anche il piatto della cicogna, facendo commenti ironici (e fuori luogo…) sulla mancanza di appetito del povero uccello, che tornò a casa più affamato di prima.

La cicogna fece buon viso a cattivo gioco, ma dentro di sé cominciò sin dal giorno dopo a pensare a come rendere pan per focaccia a quella amica tanto dispettosa.

Di lì a qualche giorno, comunque, l’uccello migratore (stiamo parlando sempre della cicogna, bambini; ma quando dovrete studiare la grammatica imparerete che l’italiano spesso ci impone di utilizzare parole diverse per descrivere la medesima cosa. Strana gente, gli adulti!) decise di ricambiare l’invito e, di lì a qualche giorno, invitò a cena la volpe.

L’animale dal pelo fulvo e rossiccio (non c’è bisogno che vi spieghi di nuovo il ritornello, vero? Avete capito che si tratta della volpe…), ignara del fatto che potesse esserci al mondo un animale astuto e subdolo quanto lei, accettò con entusiasmo e si presentò a casa della cicogna con l’acquolina in bocca, senza neanche avere la buona creanza di portare un mazzo di fiori o una bottiglia di vino per la padrona di casa.

Dalla cucina proveniva un delizioso profumo di carne arrostita: la cicogna aveva preparato un delizioso spezzatino.

Non è possibile descrivere a parole la sorpresa della volpe quando vide in che modo era stata imbandita la tavola: la prelibata pietanza, infatti, era stata servita dentro un’anfora di vetro, dal collo lungo e stretto!

E così, mentre la cicogna grazie al suo lungo becco riuscì a degustare il cibo accuratamente sminuzzato mettendo il becco nella bottiglia e mangiando a sazietà, la meschina volpe per quanti tentativi facesse non riuscì a mettere neppure il naso nell’anfora piena di cibo che gli era stata messa davanti, soffrendo la fame per tutta la serata.

Si racconta che, mentre la volpe lambiva invano il lungo collo della bottiglia, l’uccello migratore abbia esclamato: “E sopporti molto sereno colui che mi ha dato il suo esempio“.

Al povero quadrupede, alla cui astuzia la cicogna aveva risposto con altrettanta sagacia, non restò che rientrare mestamente a casa con la pancia vuota e con la coda fra le gambe (chissà se era di paglia anche quella…).

Fabula docet: la favola insegna che non bisogna nuocere; ma, se uno ti maltratta, questi va punito con un castigo appropriato.

[1]    FEDRO, Favole, Milano, BIT, 1996, XXVII, p. 35.

di Daniele Bello

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