Racconti del saggio Syntipas


Novelle bizantine

Poco conosciuta anche dagli addetti ai lavori, questa raccolta di favole scritta nell’XI secolo da un dotto bizantino recepisce lo schema della “fiaba nella fiaba”, tipico della narrativa orientale.

Il narratore, il saggio filosofo Syntipas, racconta per sette giorni e sette notti una serie di novelle, che hanno come tema comune l’astuzia (soprattutto quella femminile).

Tradotta dal siriaco e forse passata attraverso successive redazioni arabe e persiane, questa raccolta di epoca bizantina fornisce nuova linfa per conoscere un mondo che, per mille anni, è stato il ponte tra Oriente ed Occidente.

Racconti del saggio Syntipas[1]

Un vecchio e ricco mercante dell’Asia Minore, venuto a sapere che in una cittadina dell’Anatolia vi era carenza di legname aromatico, decise di comprarne una grossa partita per venderla ad un prezzo conveniente.

Giunto a destinazione, venne fermato davanti alle mura della città dalle guardie del Sultano, che ispezionarono il carico delle mercanzie.

Prima di proseguire con la narrazione, però, è necessario che io vi spieghi che tutti gli abitanti di quella cittadina erano soliti turlupinare il prossimo con truffe o stratagemmi vari; loro unico scopo sembrava quello di estorcere denaro agli stranieri, ignari di un modo di fare tanto villano.

Nulla di strano, quindi, che una delle guardie andasse a riferire ad una delle persone più in vista della città dell’arrivo di un mercante.

In breve tempo, la voce si sparse per ogni dove e i mariuoli del posto si ingegnarono per giocare un tiro mancino al nuovo venuto.

Non appena giunto nella piazza del mercato, infatti, il vecchio venne avvicinato da un giovane nobile, dall’aria scanzonata ma arrogante.

“Che cosa vendi, mercante?”, chiese il ragazzo in modo sprezzante.

“Legno aromatico e pregiato dal Libano”, rispose educatamente il vecchio.

“Stai scherzando, vero?” esclamò il nobile: “Nella nostra città il legno aromatico è così abbondante che lo usiamo per accendervi il fuoco: non senti il profumo che viene dalle case vicine?”.

Ed in effetti, i complici del mariuolo (perché di altri non si trattava) avevano provveduto ad accendere il fuoco in tutti i camini posti nelle vicinanze, avendo cura di collocare ceppi di legno aromatico nella brace.

Il vecchio mercante, avvilito, si convinse di avere fatto un viaggio completamente inutile e venne preso dallo sconforto; con fare apparentemente distaccato, gli venne in soccorso il finto nobile che si offrì di acquistare tutto il carico in cambio di un modesto corrispettivo: “Qualunque cosa tu voglia, te ne darò un piatto pieno; vieni domattina in piazza per riscuotere quanto ti devo”, disse il giovane.

A questo punto, al vecchio non restò che fare due passi, malinconicamente, tra i vicoli della cittadina e cercare un alloggio per la notte.

Giunto ad un crocevia, il mercante notò alcuni abitanti che si stavano cimentando in una gara di indovinelli; forse per distrarsi o forse perché attratto dall’ebbrezza del gioco, il vecchio chiese di partecipare proprio quando la gente aveva cominciato a scommettere piccole somme di denaro.

Anche questa volta, tutto era stato orchestrato per turlupinare il malcapitato forestiero: il mercante ebbe la peggio nella gara ed il vincitore poté esclamare: “Entro domani, dovrai darmi tutti i soldi che hai oppure sarai costretto a bere tutta l’acqua del mare”.

Così, ancora un volta il mercante dovette andarsene con la coda tra le gambe tra le risate a profusione degli astuti abitanti del posto.

Ma le disavventure del vecchio non erano ancora finite: aveva appena concordato il prezzo del vitto e dell’alloggio per quella notte con la proprietaria di una locanda, quando l’ennesimo mascalzone si parò davanti a lui con aria minacciosa: “Tu mi hai rubato con l’inganno il mio occhio sinistro! Domattina ti trascinerò in Tribunale per farmelo ridare per amore o per forza”. Effettivamente il mariuolo aveva un unico occhio azzurro, dello stesso colore di quelli del mercante.

Al povero vecchio non restò che consumare un pasto sobrio in completa solitudine, rimuginando sulle disgrazie che gli erano capitate e su quello che lo attendeva la mattina dopo. Mentre assaggiava uno stufato di agnello con verdure, la locandiera ne ebbe compassione e cominciò a parlare con lo straniero.

Dopo aver preso un po’ di confidenza, il mercante sussurrò: “Brava donna, ma è vero che da queste parti il legno aromatico è così abbondante che lo utilizzate per accendere il fuoco?”.

La locandiera non ebbe il cuore di mentire a quel forestiero, già abbondantemente bistrattato dai suoi concittadini.

“In realtà, straniero, da noi quel tipo di legname è molto raro e per questo vale più dell’oro”, sussurrò la donna: “Vero è, invece, che nel nostro paese l’unico scopo degli abitanti sembra essere quello di ingannare gli stranieri. I peggiori furfanti della città si riuniscono ogni sera alla Gilda dei ladri, per discutere davanti al Grande Maestro delle loro imprese: le malefatte meglio riuscite vengono addirittura premiate”.

Il mercante capì allora di essere stato turlupinato, ma non si perse d’animo; dopo aver finito con gusto la sua cena, si travestì da mendicante e cominciò ad aggirarsi in mezzo ai vicoli della città, alla ricerca della Gilda.

Ci volle ben poco, in verità, per riuscire a trovare il famigerato covo in cui tutti i mariuoli del posto si riunivano al calar della sera per rievocare le scellerate imprese della giornata trascorsa.

Il caso volle che, proprio in quel momento, si stava vantando della sua truffa l’arrogante nobile che gli aveva sottratto tutto il carico ad un prezzo così ridicolo.

Il Gran Maestro sorrideva ed approvava, ma non volendo dare più di tanta soddisfazione a quel giovane allievo, commentò: “Una truffa ben organizzata, non c’è che dire. Certo, promettendogli un piatto colmo di tutto ciò che desidera quel mercante, ti sei esposto ad un rischio. Pensa se ti chiedesse di riempirlo con delle pulci azzurre, di cui metà maschi e metà femmine. Riusciresti ad esaudirlo?”.

Uno scroscio di risate accompagnò il commento del capo di quella ignobile marmaglia di truffatori.

Di lì a poco fu il grande esperto di indovinelli a raccontare delle sue imprese, enfatizzando in particolar modo la minaccia che incombeva sul povero mercante, se non avesse sborsato tutti i soldi che aveva: bere tutta l’acqua del mare.

Anche questa volta il Gran Maestro ebbe parole di lode per il suo adepto, ma non poté evitare di fare il proprio commento: “Una bella impresa, nulla da eccepire. Purché lo straniero non sia così scaltro da chiedere a te di separare le acque dei fiumi da quella del mare, per essere sicuro di bere unicamente acqua marina. Non sarebbe certo una cosa facile….”.

Ancora una volta i risolini ironici non mancarono, in segno di approvazione per le parole del capo della Gilda.

Venne quindi il turno dello sfrontato accusatore, che avrebbe trascinato il medesimo mercante in Tribunale per farsi restituire l’occhio sinistro.

In questa occasione il Gran Maestro fissò tutti gli altri membri della combriccola con un cipiglio severo. Poi, rivolgendosi al finto promotore di cause, così esclamò: “Sei stato imprudente a comportarti così. Pensa se domani ti chiedessero di staccare il tuo occhio e di esaminarlo per verificare se è veramente dello stesso peso e della stessa misura di quello che reclami. Sapresti trarti d’impaccio?”.

Il mercante decise che aveva già sentito abbastanza e non volle sentire ulteriori commenti; si allontanò alla chetichella e tornò alla sua locanda dove dormì il sonno del giusto.

L’indomani, il vecchio si svegliò alle prime ore del mattino e si incamminò subito, di buona lena, alla piazza del mercato, dove ad attenderlo c’erano il giovane che si era spacciato per nobile, il vincitore della gara di indovinelli e colui che avrebbe reclamato il suo occhio in Tribunale.

Il mercante diede subito una pacca sulla spalla al giovane cui aveva venduto il suo carico di legname e, con naturalezza, disse: “Sono venuto a riscuotere il prezzo pattuito. Perciò, ti sarei grato se mi facessi avere un piatto pieno di pulci azzurre, di cui metà maschi e metà femmine”.

Mentre il secondo mariuolo si avvicinava a richiedergli tutti i soldi che aveva, il vecchio lo fissò con uno sguardo di insofferenza, che lasciava sottintendere che aveva cose più importanti da fare: “Ho deciso che berrò tutta l’acqua del mare. Prima, però, mentre sbrigo un affaruccio con questo tuo concittadino, ti spiacerebbe separare l’acqua del mare da quella dei fiumi? Mi dispiacerebbe bere l’acqua sbagliata…”.

Il mercante si avvicinò quindi all’ultimo dei tre che aveva cercato di imbrogliarlo e con il tono più candido ed onesto di cui era capace, disse: “Non sia mai detto che io venga accusato di aver sottratto ingiustamente un occhio a chicchessia. Pertanto, proporrò al Tribunale di mettere su di una bilancia il mio occhio ed il tuo; se dovesse risultare che hanno la stessa forma e lo stesso peso, allora ammetterò che appartengono a te e ti restituirò quello che ti ho ingiustamente sottratto”.

I tre briganti compresero che quel vecchio era evidentemente più scaltro di quello che appariva a prima vista.

Vista la mala parata, al mercante venne offerto un corrispettivo in oro pari al valore effettivo del carico che aveva portato con sé per la vendita…. purché si togliesse di torno al più presto! Questi accettò volentieri il gruzzolo che gli veniva proposto e tornò nelle coste dell’Asia Minore più ricco e più saggio di prima.

[1]    SYNTIPAS, Novelle bizantine, Milano, Rizzoli, 2004.

di Daniele Bello

 

Marzo 14, 2017

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