L’uomo uscito dal bosco

03 aprile 2018.

Stamattina avrebbe dovuto essere una giornata uguale alle altre. L’alba stava sfumando in un azzurro più intenso e il sole si affacciava sul mio terreno, facendo salire scintillii di fuoco dalla terra rossa.

Dopo colazione avevo preso la zappa, alcuni sacchi di semi e avevo raggiunto il campo dietro casa, poco distante dal pollaio. La zappa affondava nel terreno a ogni colpo poi, con un gesto delicato, sistemavo i semi nelle buche. Se tutto fosse andato per il verso giusto, i pomodori sarebbero cresciuti bene, pronti per essere raccolti in agosto.

Qualcuno avrebbe trovato monotono il processo di semina. Io no. L’aria aperta di campagna, quel terreno che mi arrossa la pelle, le gocce di sudore, i muscoli che vibrano, sono un rito al quale non potrei mai rinunciare.

Dopo aver coperto l’ennesimo solco, mi sono guardato brevemente attorno, inalando l’aria fresca. Il mio sguardo si fermò verso l’estremità opposta del campo, dove il terreno lascia spazio a una striscia d’erba alta che anticipa un boschetto fatto di alberelli e di arbusti ammassati tra loro.

A quell’ora, sono solito vedere una famigliola di caprioli che laggiù si ferma a brucare l’erba, per poi saltellare nella macchia alla mia vista. Ma stamattina, al posto loro, c’era un uomo.

Se ne stava immobile tra l’erba alta e sembrava fissarmi da lontano. Ho alzato una mano in segno di saluto, ma senza ricevere risposta. Allora ho alzato le spalle e mi sono rimesso a zappare il terreno. Mi sono sentito subito inquieto.

Sentivo quel suo sguardo lontano posato su di me. L’ho guardato di nuovo e, quando notai che si stava muovendo nella mia direzione, ho pensato fosse un forestiero che si era perso. Tenendo la zappa in mano, mi sono mosso verso di lui.

Ciondolava le spalle, strascicava le scarpe. Pareva sul punto di perdere l’equilibrio a ogni passo sul terreno smosso. Il sole inondava la sua figura e i suoi abiti scuri, che risaltavano nel rossore che saliva dalla terra. Quando fummo più vicini, tanto da vederci distintamente, mi sono fermato di colpo.

Ho sentito un peso annidarsi nello stomaco e lungo le gambe. L’uomo non si fermò. Continuava ad arrancarmi incontro. Ho notato i suoi abiti logori, stracciati, che lo coprivano per miracolo. Ciò che mi ha inorridito, è stato il colorito della sua pelle: una tinta cenerea, grigio-chiaro con alcune sfumature bianche in diversi punti del volto e delle mani.

Sono stato investito da un odore pungente, difficilmente sopportabile, come di carne putrescente. Ho stretto la zappa in mano. Quando l’uomo fu ancora più vicino, ho visto che aveva gli occhi sgranati, tanto da sembrare spiritato, e la bocca aperta in una O muta. Ho notato anche un filo di bava che gli colava dal labbro inferiore. Non sono riuscito a muovermi. Ero totalmente rapito dalla sua figura, così innaturale.

Gli ho chiesto se stesse bene, se avesse bisogno di aiuto. L’uomo non ha risposto. Non ha rallentato. Ormai eravamo vicinissimi. Ha proteso le braccia verso di me e la sua bocca si è aperta ancora di più, rivelando denti marcescenti.

Quando ho capito che voleva aggredirmi, mi sono spostato di lato, ho alzato la zappa, l’ho fatta roteare e l’ho lasciata cadere sulla sua testa. L’uomo è crollato sulle ginocchia. Non ha emesso un solo suono.

Allora sono fuggito, con la zappa in mano. Mi sono guardato indietro e ho visto, con orrore, che si stava già rialzando. Le mani piantate nel terreno, la testa e quegli occhi spiritati di nuovo puntati verso di me. Quel colpo avrebbe steso chiunque.

Mi sono chiuso in casa, ho bloccato la porta d’ingresso e ora sono seduto in camera che stendo queste poche righe. Temo che quel tale possa trovare il modo di entrare.

Mi domando se ce ne siano altri, di tipi del genere, vaganti per le campagne, o peggio ancora, per le strade, del mio paese. Temo per l’incolumità dei miei compaesani e spero vivamente… oddio, qualcuno sta battendo sulla porta, sembrano pugni. Vado a vedere…

di Davide Stocovaz

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