Perseo e la medusa – 2di2

Medusa

Perseo si diresse quindi verso la terra degli Iperborei, una popolazione che abitava nelle fredde regioni dell’estremo Nord, ben oltre i limiti del mondo conosciuto, ai confini più estremi del grande mare Oceano (un enorme fiume che, secondo gli antichi, circondava tutte le terre emerse).

Il paesaggio di Iperborea era dominato da un’atmosfera di squallore e di grande desolazione, che invitava chiunque vi mettesse piede per la prima volta alla tristezza e alla malinconia: la terra e la vegetazione erano ammantati da una cappa uniforme di grigio; quel paese non era allietato né da colori né da suoni armoniosi. Eppure quella era la patria delle Gorgoni e solo lì Perseo avrebbe potuto tentare l’impresa che sembrava a tutti impossibile: uccidere la Medusa.

Il figlio di Danae si inoltrò in una foresta oscura, dagli alberi antichissimi che sembravano osservarlo con aria di cupa disapprovazione; come un sinistro monito per i pavidi e gli incoscienti, il bosco era infestato da statue in pietra di uomini e donne con un’espressione di terrore o di vivo stupore in viso: Perseo non ci mise molto a capire che quelle erano le sfortunate vittime che avevano incrociato lo sguardo delle Gorgoni.

Perseo comprese che la sua meta era ormai vicina quando cominciò a udire il sibilo dei serpenti posti sul capo di quelle orribili creature. Resosi invisibile grazie all’elmo di Ade, il figlio di Danae avanzava camminando a ritroso, senza mai guardare nella direzione da cui proveniva il mortale richiamo dei rettili posti sul capo delle Gorgoni.

Passo dopo passo, lentamente, Perseo si avvicinava sempre di più alla tana di Medusa e delle sue orribili sorelle, con l’ausilio del riflesso dello scudo di Atena.

Quando fu abbastanza vicino ai tre mostri, Perseo si accorse che le Gorgoni stavano dormendo; l’eroe comprese che un’occasione simile non si sarebbe presentata di nuovo. Il figlio di Danae non ebbe esitazioni: afferrato il falcetto magico che gli avevano dato le ninfe stigee, tagliò di netto il collo della Medusa avendo cura di non incrociare mai il suo sguardo con quello delle malefiche creature.

Perseo decapita Medusa

Come per incanto, dal sangue della Medusa scaturirono due magiche creature: il gigante Crisaore (che gli annali ricordano come “il Guerriero dalla spada d’oro”) e uno splendido cavallo alato dal manto bianco.

Perseo sollevò la pesante testa del mostro e la mise nella sua bisaccia, poi balzò in groppa a quella creatura meravigliosa, cui diede il nome di Pegaso, per allontanarsi il più presto possibile da quel luogo tanto sinistro (le altre due Gorgoni, Steno ed Euriale, in fondo potevano svegliarsi da un momento all’altro…); da quel giorno i due sarebbero diventati inseparabili.

Nel viaggio di ritorno verso l’isola di Serifo, Perseo si trovò a passare nei pressi dei luoghi in cui il Titano Atlante reggeva la volta del cielo sulle sue spalle.

Non si sa bene quale sia stato il motivo occasionale che fece scoppiare un forte litigio tra i due (forse il figlio di Danae rinfacciò al gigante che non aveva voluto aiutarlo nell’impresa): fatto sta che il Titano, irritato, tentò di calpestare come un insetto il giovane Perseo, il quale tirò fuori dalla bisaccia la testa micidiale della Medusa e trasformò Atlante in una montagna[1].

Mentre sorvolava il continente africano, di fronte a Perseo si parò uno spettacolo raccapricciante.

Una bellissima fanciulla, di nome Andromeda, era incatenata ad uno scoglio, in attesa di essere divorata da un mostro marino.

Andromeda era figlia di Cefeo, re d’Etiopia, e di Cassiopea, la quale aveva attirato su di sé e sull’intero popolo l’ira degli dei in quanto aveva osato affermare che sua figlia superava in bellezza le Nereidi.

Tale manifestazione di superbia aveva oltraggiato sia le ninfe del mare che il dio Poseidon: dopo aver funestato le coste con una terribile mareggiata, il dio dei flutti marini aveva inviato un orribile mostro (il Kete), che terrorizzava gli abitanti facendone strage.

Il re Cefeo, consultato un oracolo, venne a sapere che l’unico modo per placare l’ira divina era quello di immolare la propria figlia facendola divorare dal mostro marino.

Quando Perseo giunse nei pressi della costa etiope in groppa a Pegaso, la povera Andromeda era ormai rassegnata alla sua terribile sorte.

La descrizione del mostro è mirabilmente descritta dal poeta Ludovico Ariosto, che narra un episodio analogo nel suo “Orlando Furioso”:

 

 Ecco apparir lo smisurato mostro

mezzo ascoso nell’onda, e mezzo sorto.

Come sospinto suol da Bore o d’Ostro

venir lungo navilio a prender porto,

così ne viene, al cibo che l’è mostro,

la bestia orrenda; e l’intervallo è corto.

La donna è mezza morta di paura,

  né per conforto altrui si rassicura[2].

 

Il figlio di Danae, inorridito per l’orribile sorte cui era destinata la povera fanciulla, balzò addosso al Kete e ingaggiò una battaglia terribile.

Perseo non fece alcuna fatica a uccidere il mostro marino che doveva divorare Andromeda, grazie al terrificante potere della testa di Medusa. L’uccisione del mostro fu tuttavia ben poca cosa, a paragone di quel che successe subito dopo: durante i festeggiamenti per la salvezza della figlia del re, giunse alla reggia un vecchio pretendente alla mano di Andromeda, Fineo, accompagnato da uomini armati, pronto a tutto pur di averla.

Fu Cassiopea, che non gradiva Perseo come genero, a dare il segnale della battaglia. L’eroe, per difendersi, estrasse ancora una volta la testa di Medusa ottenendo l’effetto voluto: Cassiopea divenne una statua inerte come del resto tutti quelli che avevano assalito Perseo per ucciderlo.

 

Perseo montò quindi in groppa a Pegaso assieme alla moglie Andromeda e fece rotta verso l’isola di Serifo.

Giunto nella sua patria adottiva, il giovane eroe scoprì che Polidette, lungi dal voler prendere moglie, aveva tentato in tutti i modi di sedurre Danae, con le buone o con le cattive, tanto è vero che la sventurata madre di Perseo era stata costretta a nascondersi presso un tempio, per trovare rifugio.

Re di Argo e Micene

Perseo si avviò alla reggia di Polidette e, giunto al palazzo, esibì il suo dono di nozze, pietrificando il re di Serifo e tutto il suo seguito con la testa della Gorgone.

Perseo consegnò allora al padre adottivo Ditti il potere sull’isola di Serifo. Restituì poi i sandali, la bisaccia e l’elmo di Ade ad Hermes. Questi li rese alle loro legittime padrone, mentre Atena poneva la testa di Medusa in mezzo al proprio scudo.

Alcuni anni dopo, Perseo volle ritornare alla terra natia e decise di mettersi in viaggio verso la città di Argo, insieme alla moglie Andromeda e alla madre Danae.

L’ormai vecchio re Acrisio venne a sapere dell’imminente arrivo del nipote e, temendo la morte che l’oracolo gli aveva predetto, fuggì nella città di Larissa, nel paese dei Pelasgi.

Perseo non si rassegnò tanto facilmente e non si diede pace sino quando non raggiunse il nonno per rassicurarlo che non gli serbava più rancore.

Il destino, tuttavia, continuava implacabile a tessere le sue trame: durante dei giochi ginnici organizzati nella città di Larissa, infatti, Perseo si cimentò nella gara del lancio del disco: il Fato volle che un vento improvviso finì per deviare proprio il disco lanciato dal figlio di Danae, andando a colpire accidentalmente il vecchio Acrisio, che morì sul colpo. Il cupo presagio, che per anni aveva funestato la famiglia reale di Argo, si era quindi avverato.

Pieno di dolore, Perseo tributò onori funebri al nonno e lo fece seppellire fuori dalla città di Larissa. Anche se per diritto ereditario egli era destinato a succedere sul trono di Argo, il figlio di Danae non se la sentì di essere il sovrano di quella città e propose allo zio Preto (ovvero, secondo alcuni, a suo cugino Megapente), re di Tirinto, di scambiarsi i regni.

La vita di Perseo, da allora, trascorse tranquilla al fianco della moglie ed allietata da molti figli. Alla morte dell’eroe, la dea Atena volle onorare la sua gloria assumendolo in cielo accanto all’amata Andromeda, trasformandoli entrambi nelle costellazioni che portano ancora oggi i loro nomi.

Sulle dinastie di Argo e Tirinto è forse opportuno spendere qualche parola in più; si racconta, infatti, che fu Perseo a fondare la città di Micene e che la dinastia dei Perseidi regnò su Micene e Tirinto per diverse generazioni prima di estinguersi a seguito di una faida tra Euristeo e i figli di Eracle, consentendo l’ascesa al trono degli Atridi (Parte I, capitolo 5).

 

Ricostruzione dell’acropoli di Micene (1250 a.C.) – di Pan (Panaiotis Kruklidis)

Il re di Argo, Preto, si sposò con la moglie del re di Licia da cui ebbe tre figlie (le “Pretidi”) e un figlio, Megapente, di cui si è già fatto cenno.

Il mito racconta che le Pretidi impazzirono per avere offeso la dea Hera (ovvero, secondo alcuni, il dio Dioniso), per cui lasciarono la casa paterna per dirigersi verso i monti in preda a terribili urla, trascinando con loro anche altre donne argive.

Preso dalla disperazione, Preto promise qualsiasi cosa, anche una porzione del suo regno, a chi fosse riuscito a guarire le sue figlie. Intervenne a questo punto il profeta Melampo, che riuscì a guarire la Pretidi ma pretese in cambio un terzo del regno per sé ed un altro terzo per il fratello Biante.

Il territorio di Argo si divise così in tre parti, rette da diverse dinastie; della situazione di oggettiva debolezza del regno approfittò Agamennone, re di Micene, il quale rese i reggitori di Argo suoi vassalli.

La più famosa delle dinastie della città fu senz’altro quella fondata da Biante: egli infatti generò Talao, il quale a sua volta trasmise la corona al figlio Adrasto, famoso eroe della guerra dei “Sette contro Tebe”; non avendo avuto un erede maschio che gli sopravvivesse, quest’ultimo trasmise la corona a Diomede (figlio di suo genero Tideo), eroe della guerra di Troia.

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[1]    Ancora oggi la catena montuosa del Marocco porta il nome del Titano pietrificato dalla testa di Medusa. Per l’incoerenza di cui solo i miti sono capaci, va comunque ricordato che un discendente di Perseo, il grande Eracle (Ercole), si troverà a chiedere l’aiuto di Atlante per cercare le mele d’oro delle Esperidi e lo troverà nel pieno delle forze; evidentemente, il litigio non era stato così feroce oppure… il potere della Gorgone non era poi tanto spaventoso!
[2]    ARIOSTO, Orlando Furioso, Canto X, str. 100.

di Daniele Bello

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