L’uomo fuori luogo e la scomoda visione

Il sole stava tramontando sulle verdi vallate di Peaasol quando Syad, elfo nato e cresciuto nel villaggio più piccolo del Regno di Nayass, iniziò la sua corsa a perdifiato giù per il sentiero immerso nella foresta di Terhud. Se le sue orecchie a mezzapunta non lo avevano tradito stavolta, aveva appena sentito un rumore di zoccoli avvicinarsi ed era raro vedere dei cavalieri a Peaasol.

Correva senza sosta quando inciampò in un sasso e, perdendo l’equilibrio, si ritrovò con la faccia nella polvere. Una mezza dozzina cavalieri dalle armature argentate, lo aspettavano alla fine del sentiero e la sua vita sarebbe cambiata presto, molto presto.

Si stropicciò gli occhi iniettati di sangue a causa dei minuscoli capillari sanguigni esplosi e si alzò preparandosi a fronteggiare i sei individui. Barcollò contro un faggio quando si accorse che davanti a lui non c’erano altro che i riflessi di Rii; il secondo dei sette enormi corpi celesti che si alternavano nei cieli di Nayass durante le fasi di afelio e perielio. “La Candida Signora Argentata” lasciava cadere i suoi nobili strascichi sulla terra quella sera, ricoprendo la vegetazione di leggiadri riflessi argentei.

Syad si inerpicò su per il faggio con grande agilità districandosi abilmente tra i suoi rami finché non ne raggiunse la cima venendo accolto con piacere dalla brezza serale che spirava dalla valle. Due passerotti cinguettanti gli sfiorarono il capo battibeccando sopra gli alberi.

L’elfo fece spaziare lo sguardo nella vallata ammirando lo splendore di quei riflessi luminosi che sopivano il tenute bagliore rossastro del sole. Le sue orecchie fremettero ronzando per il piacere di una tale visione celestiale.

D’improvviso si rese conto di avere una gran fame, come se avesse un vuoto nello stomaco, ma era sicuro di essersi cibato da poco tempo nel bosco. Ridiscese dall’albero con l’intenzione di trovare tracce dei cavalli che dovevano essere passati da quelle parti, li aveva sentiti prima, ne era certo.

Mentre camminava gli si appannò un paio di volte la vista e scorse, indistintamente, tra gli alberi il cielo tornare misteriosamente luminoso, i riflessi di Rii parvero nascondersi all’ombra dei tronchi e sotto il muschio dei sassi che cresceva a nord. Uscì della foresta ritrovandosi a camminare in un enorme prato di colline verdi, sotto uno strano cielo con grosse nuvole nere che nascondevano il sole, anche se non si capiva esattamente dove potesse essere nel cielo, era sicuro di averlo visto tramontare.

Rii d’altro canto sembrava essersi fatta opaca e lontana. Vampate di giallo acceso si facevano largo tra le grosse nubi, dando l’immagine di uno scenario quasi apocalittico. Ma l’aria era calma, nessun presagio di tempesta, sembrava quasi un disegno il cielo, immortalato lassù da un grande pittore.

Dietro di lui c’era la Foresta di Terhud, che doveva estendersi per chilometri verso l’orizzonte, anche se non si vedevano colline. Ma gli alberi erano strani, parevano riflettere la luce del cielo e i tronchi erano giallognoli e le foglie quasi viola. Poi dal bosco uscì un carretto trainato da un equino che fece sorridere di soddisfazione Syad, allora c’era stato davvero un cavallo.

Alla guida c’era uno strano individuo che continuava a grattarsi le orecchie e a sistemarsi il cappello viola con una piuma sulla testa. Fumava da una grossa pipa verde, il cui tabacco all’interno bruciava con piccole scintille e le fiamme salivano oltre il boccaglio. Syad non era sicuro fosse tabacco.«Buondì giovanotto. Che fate da queste parti?» si rivolse a lui, l’uomo che pareva avere la sua stessa età.

«Sto cercando del cibo» disse, non sapendo che altro rispondere.

«In tal caso non posso aiutarti» replicò l’uomo.

Syad annuì comprensivo, anche se si accorse che l’uomo aveva sei o otto ceste piene di ortaggi e tuberi attaccate al letto…Letto? Guardando meglio si accorse che il carro non era altro che un letto a baldacchino, marrone ma con le lenzuola ben ripiegate e le tendine legate ai sostegni. «Perché hai un letto al posto del carro?»

L’uomo lo guardò accigliato. «Beh, un letto è molto più comodo» disse come se fosse la cosa più banale del mondo, e in effetti lo era.

Guardando meglio notò che sotto il carro c’erano delle macine di un mulino al posto delle ruote. Certo grandi come ruote di un carro, ma lui era certo fossero macine di pietra. «Sono macine di pietra quelle al posto delle ruote?»

L’uomo si sporse e guardò le macine come se non le avesse mai viste prima, poi si rimise a sedere sul bordo del letto. «Sì è vero. Sono macine» ammise.

Syad stava per dire di nuovo qualcosa quando si accorse che a trainare il carro-letto non c’era un cavallo come gli era parso inizialmente, ma un grosso coniglio nero. «E quel coniglio? Come mai è così grosso e traina il tuo carro?»

L’uomo si sporse in avanti, e sgranò gli occhi scioccato «Quello?» esclamò, poi si ricompose, «Ah lui è Rogabash… o Rosciobag… oppure era Rogk… oh aspetta… no, non me lo ricordo. Ha un nome difficile… eheh gliel’ho dato io» concluse pavoneggiandosi.

Syad guardò di nuovo il coniglio, non ne aveva visti molti in vita sua, ma era sicuro che i conigli non avessero una cresta che attraversasse la loro schiena. «E come fanno a stare assieme?» chiese indicando le macine e il letto.

L’uomo si sporse di nuovo. «Ah, dici le ruote e il carro?»

«Sì, le macine e il letto».

L’uomo parve pensarci. «…ah non lo so».

Passò un po’ di tempo, poi l’uomo guardò in alto e disse: «Non fa un po’ caldo?»

Syad non sentiva caldo, ma pensava che l’uomo avesse ragione. C’era un caldo infernale.«Beh, in effetti sì».

L’uomo si rimise a sedere soddisfatto, sbuffando dalla grande pipa. Dall’altro lato del letto si alzò scricchiolando un grosso albero come quelli del bosco, e si aprì sopra di loro facendo una grande ombra. Syad lo guardò stupefatto. «Come hai fatto?»

«Avevo caldo» affermò l’altro.

Syad  fu sicuro di aver capito. «Sei un mago?» domandò entusiasta.

Lui lo guardò divertito. «Uno stregone dici? Ahahahah, no. Ma ne conosco uno. Se vuoi te lo chiamo».

«No, non ce n’è bisogno» lo rassicurò l’elfo tornando serio.

«Ma no davvero. Vive non molto lontano da qui… o era non molto vicino?»

Syad non capì se lo stesse chiedendo a lui. «No. Davvero».

«D’accordo»disse l’uomo. Poi annusò l’aria e guardò in alto, annuì e disse: «Sta arrivando!»

Syad si irritò. «Ti avevo detto di non chiamarlo!»

Lui lo guardò perplesso. «Ma chi?» gli domandò istericamente.

«Il mago!»

Lui continuò a non capire, poi scrollò le spalle «Avevo capito ti servisse… Ad ogni modo, non è mica che hai mangiato quei funghi?» chiese con sguardo indagatore.

«Non dovevo? Quali funghi?» domandò perplesso cercando inutilmente di non far capire all’uomo che stava mentendo.

Lui scosse la testa in segno di disapprovazione. «Sapevo che avrebbero portato qualcuno a vedere; drogarsi durante l’equinozio di Rii può essere fatale. Sei consapevole del fatto che quell’inetto di Miri Nu-Bargu, il nano orco che ha sventato l’assalto dei Glorb, lo ha fatto solo grazie al fatto di aver mangiato gli stessi funghi che hai ingoiato tu?» domandò indagatore.

«Non capisco…»

«Sveglia! Hai mai visto il cielo di questo colore? Neanche la follia di Urk tinge i cieli di un giallo così intenso, è chiaro che stai vedendo il futuro e non mi sembra così popolato, tu che dici?» lo rimbeccò l’uomo.

Syad si guardò intorno spaesato. Le nuvole nere sopra la sua testa riflettevano traslucide e burrascose, come un mare al contrario, l’immagine della terra sotto i suoi piedi, non doveva essere più larga di una mezza dozzina di chilometri, montagne, colline, boschi tutto era scomparso tranne quell’esiguo boschetto da cui erano usciti lui e l’uomo, la foresta di Terhud che doveva essere una delle più grandi nel Regno di Nayass.

Oltre, il riflesso delle nubi mostrava solo infinito, profondo, insondabile buio cosmico.«Chi sei tu?» chiese Syad paralizzato.

«Un messaggero, una guida, un folle, l’unico non cieco, la tua coscienza, quello che vuoi tu. L’importante è che io sia già morto» l’uomo scrutò a ovest, «Oh, sembra che il mago stia arrivando, pare che sia meglio che tu fugga coniglietto» disse prima di trasformarsi in sabbia che venne portata via dal vento.

di Marco Della Mura

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