Amazzoni e robot – Prima puntata

 

 

Pianeta Penitenziario PURGATORIO 3. 4 Febbraio dell’Anno 2114 dall’Esodo

Notte di due lune piene e di terza calante.

Mandy Miller Toshiba Benton camminava nella landa silenziosa cercando disperatamente di fare il meno rumore possibile. Precauzione inutile, visto che non era proibito alle detenute di uscire dalle loro baracche: l’unica zona off limits era oltre le mura del fortilizio. I problemi sarebbero cominciati là. Il robot di guardia alla porta, un marcantonio di supernichelio alto due metri, avrebbe intimato il “chi va là” tre volte, poi avrebbe sparato tre volte in aria con il cannoncino a energia e infine, qualora lei non avesse avuto l’accortezza di girare i tacchi, avrebbe alzato zero e con un colpo ben assestato, l’avrebbe ridotta a un ammasso di molecole fluttuanti nella brezza notturna.

Ma Mandy sapeva che al momento in cui la voce metallica avesse reagito al suo avvicinarsi, ciò avrebbe significato il fallimento in partenza del suo piano di fuga, che i suoi calcoli erano sbagliati e che aveva sbattuto via sei mesi della sua vita.

In quel caso la cosa più saggia sarebbe stata quella di fare dietro front e di tornarsene nella sua baracca a mangiarsi il fegato e darsi della dilettante. Se invece quel bel tomo di metallo luccicante alla luce delle lune fosse rimasto impassibile e immobile, allora non soltanto la libertà sarebbe stata quasi a due passi, ma anche il suo ego avrebbe fatto un balzo in alto e lei avrebbe potuto, senza presunzione, definirsi un genio. Genio incompreso, naturalmente, visto che la sua invenzione non avrebbe potuto mai essere  divulgata e lei non sarebbe mai passata alla storia come colei che aveva costruito il primo apparecchio che rendeva immuni dai sensori ultrapotenti dei robot. In compenso lo sarebbe stato come la prima donna della Galassia a riuscire a fuggire da PURGATORIO 3. Si sarebbero fatte venire il mal di testa per scoprire come aveva fatto! Chiaramente le autorità non avrebbero strombazzato il fattaccio, ma le altre detenute avrebbero ridacchiato per un bel po’ alle spalle delle vigilatrici e dei robot guardiani.

Dal canto suo, Mandy non aveva l’ambizione di diventare l’eroina dell’anno tra quelle criminali incallite. Non aveva niente da dividere con quella masnada di rissose, libidinose, violente, razziste cibernetiche. Lei, Mandy Miller era stata incarcerata in base ad una legge ingiusta che risaliva alla notte dei tempi, come la maggior parte degli emendamenti dell’Impero. Lei era un po’ una mosca bianca in quel sistema. Mandy Miller aveva sempre pensato che sarebbe stata ora di cambiare molte cose, non soltanto nell’Impero, ma anche negli altri regni della Galassia. Ammetteva che da anni si meritava il carcere planetario per le sue idee contrarie al sistema e per quel suo sogno addirittura blasfemo di poter mettere piede sul Pianeta Santo, culla dell’Umanità, la Biblica Terra alla periferia della Galassia.

Mandy non soppotava tutta quella staticità, dove il nuovo veniva guardato storto, quella mancanza di fantasia e creatività. Da generazioni cloniche tutto andava così e il motto era “Ma chi ce lo fa fare a tirare fuori cose nuove. Stiamo tanto bene cosí come siamo”. Gli unici cambiamenti erano estetici: cambiava la moda, e il design dei robot. Ogni tanto venivano create novità cibernetiche. Robot dalle capacità distruttive sempre migliori. E questo, solo e soltanto ogni volta che scoppiava la solita guerra Galattica. Sembrava che ci volessero le guerre per portare qualche piccolo sporadico rinnovamento. Anche quelle erano ciascuna la ripetizione di se stessa: le medesime tattiche e strategie, una secolare eterna partita a scacchi senza nessun genio strategico che ogni tanto passasse alla storia per aver inventato un nuovo modo di condurre un conflitto. C’erano stati vincitori e vinti, ma era sempre stata la potenza dei robot a decidere le sorti, non l’abilità si saper usare astutamente le forze cibernetiche. Tutto sommato, una noia millenaria.

Prima di diventare la detenuta numero 132224 del settore 4DS Mandy era stata una tecnica cibernetica esperta in robot da combattimento. Sarà stato un dono di natura, ma ogni tanto le sue cervici tiravano fuori programmi innovativi mica male, che però le autorità imperiali castigavano immediatamente. Dopo che anche il Robostratego Program da lei inventato e proposto al Ministero della Difesa era finito nel cestino della spazzatura imperiale si era rassegnata a rigar dritto e tirare a campare per la pagnotta.

Un giorno per caso l’avevano colta in flagrante a leggere libri all’indice. Da anni lei era una divoratrice di storie di fantascienza; soprattutto le avventure delle Amazzoni la affascinavano. Quelle donne guerriere erano imprevedibilmente abili; il Robostratego Program cioè il programma bellico di guerriglia galattica e di attacco alle spalle del nemico era stato copiato di sana pianta da una delle avventure di Ippolita, l’Amazzone ribelle. Ma le Storie delle Amazzoni erano proibite dalla legge in quanto contrarie ai principi dei Comandamenti dati dalla Dea a Mosea in base ai quali la Donna non deve combattere ma è compito dei Robot fare la guerra. Cosí era stata arrestata e deportata su PURGATORIO 3.

Nonostante le leggi fossero bigotte e antiquate, erano molto umane. PURGATORIO 3 era un pianeta dal clima temperato visto che i due soli erano piazzati in un modo da scaldare la sua superficie tutto l’anno senza troppi sbalzi tra estate e inverno. Da quell’idillio lussureggiante era impossibile fuggire. Ogni settore aveva un fortilizio metallico sorvegliato da robot. All’interno delle mura di lega di superferro della Stella Antares era parcheggiata la navetta che faceva spola tra il pianeta e la nave madre in orbita. Fuori dai fortilizi c’erano soltanto foreste, savane, prati e milioni di baracche abitate da altrettante detenute prigioniere in un’eterna vacanza in quella copia del biblico Paradiso Terrestre. Il fine non era di punire bensì di isolare e redimere. Lei stessa era stata messa al lavoro forzato come programmatrice di macchine utensili per distrarsi dalla tentazione di pensare alle peccaminose storie delle Amazzoni.

Mandy Miller, inventrice del Robostratego Program, sognatrice di storie di eroine combattenti in carne e ossa con il sogno di scendere sulla superficie del pianeta Terra per trovare cimeli archeologici quali i computer preistorici, era ridotta a fare programmi per caffettiere, lavatrici, lavastoviglie e comunicatori intergalattici. Mandy non poteva del resto lamentarsi troppo. Se non altro quello era il suo campo. Avrebbe sofferto un po’ per la mancanza delle avventure fantastiche, ma da un lato quella era una prigione. Le era proibito leggere. Con le altre detenude non legava e non voleva farlo, visto che quelle erano dentro per reati comuni: furto, risse e libidine. Ancora non riusciva ad accettare come in una società opulenta dove la povertà non esisteva la gente rubasse. Da un lato era un modo di rompere la noia di tutto quel benessere della società maternalistica. Accettava di più le violente che ogni tanto facevano a cazzotti, a unghiate o a schiaffi. L’aggressività era una componente umana.

Quanto alla libidine, la faceva vomitare. Che una donna provasse una perversa voglia di possedere un’altra donna le dava i brividi. E che in casi rari usasse la forza per costringere un’altra ai suoi voleri era per lei animalesco. Come le bestie che usano il maschio per accoppiarsi. Tra quella masnada di bastarde che abitavano le baracche vicine, c’erano molte razziste cibernetiche e misorobottiche. Le prime calcavano sulla data di fatto superiorità delle donne sui robot, le seconde, semplicemente li odiavano. Molte si divertivano a pigliarli a martellate e a danneggiarli per il gusto di farlo. Ogni tanto qualcuna di loro bussava alla sua porta e con preghiere o minacce la convinceva a venderle qualche caffettiera. Un feticcio che quella avrebbe preso a sassate in qualche radura nascosta. Non che il ciberrazzismo fosse proibito dalla legge, ma non era ben visto né dai robot, né da detenute o vigilatrici robosimpatizzanti. Lei stessa si annoverava tra queste ultime.

Mandy addirittura amava quelle macchine perfette, anzi aveva piú fiducia in loro che nelle sue simili, tanto che la sua passione per le Amazzoni era una specie di idealizzazione della donna come avrebbe dovuto essere e che esisteva soltanto nella fantasia di Julia Verne, la sconosciuta autrice delle storie. Anche quest’ultima doveva tenersi nell’ombra. Il nome era chiaramente fittizio per evitare l’arresto. Julia Verne spediva per l’universo le sue storie attraverso la GALANET e aveva milioni di appassionate lettrici. Molte di loro probabilmente si trovavano adesso su PURGATORIO 3 sicuramente sparse e lontane l’una dall’altra perché restassero isolate.

Le storie delle Amazzoni erano ambientate in tempi antichi nei primi decenni dall’Esodo in un pianeta di un sistema alla periferia della Galassia e prendevano spunto dall’immaginario naufragio di una nave stellare da trasporto su detto pianeta durante la Prima Guerra Galattica. La nave e i robot erano stati distrutti e le passeggere per sopravvivere avevano cominciato tutto da capo e costruito una società senza robot. Nel giro di due generazioni cloniche avevano popolato tutto il pianeta. Una ripetizione della Storia Sacra, ma senza robot. Lì le guerre le facevano le donne, con primitivi archi, frecce, lance, pugni, cazzotti. Della stessa autrice erano le avventure di Jane della Jungla. Quelle erano, se non ben viste, tollerate. Jane combatteva contro animali e bestie di un pianeta alieno, non contro donne.

Mandy abborriva la violenza reale, cioè quella delle rissaiole. Ma i combattimenti corpo a corpo delle Amazzoni liberavano la sua latente aggressività trasferendola nel mondo della fantasia e giustificandola solo lì. Era convinta che se si fosse legalizzata la fantascienza proibita come le storie di Julia Verne, la cosa avrebbe avuto un effetto terapeutico tale da pacificare molte aggressioni latenti. Ma lei sapeva che mai e poi mai le sovrane galattiche avrebbero accettato una teoria simile. Mandy avrebbe dovuto scontare cinque anni su quel pianeta. Era lì da un anno. Un anno di monotonia, caffettiere, lavatrici.

CONTINUA…

 

di Paolo Ninzatti

 

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