Amazzoni e robot – Seconda puntata

Nel frattempo la Galassia girava e la Storia andava avanti. La GALAINFO trasmetteva ogni giorno notizie sulla ormai imminente e inevitabile guerra. L’Impero e il Superregno Unito erano ormai ai ferri corti: la Reginissima Klea sfidava la divina imperatrice Alexandra. La Galassia era divisa in diversi potentati: il più grande era l’Impero che occupava la metà meridionale della Spirale della Via Lattea. Poi c’erano i Regni del Settentrione che erano cinque, ma la Regina di quello di Borealia era riuscita a riunirli tutti in un Superregno. Come ci fosse riuscita in meno di un anno era ancora un mistero. Sembrava che le altre Regine si fossero assoggettate tutte in un colpo e che avessero volontariamente abdicato a favore di Klea divenuta la Reginissima, sovrana assoluta dell’unione tra Borealia, Galanord, Puntaspirale, Lattelandia del Nord e Lattelandia del Sud, che ora aveva assunto il nome pomposo di Superregno, come opposizione a Impero. Era chiaro ed evidente che Klea non si sarebbe accontentata di mezza Galassia e che mirava alla conquista del resto. Cose analoghe erano avvenute in passato.

L’Impero stesso era un’accrescimento di un piccolo regno che una precedente clonazione di Alexandra aveva portato ad antiche grandezze. Ogni tanto questioni di potere, ecomomia, mire a determinati sistemi ricchi di minerali utili, portavano a conflitti. La Dodicesima Guerra Galattica era alle porte. Ci sarebbero stati attacchi e contrattacchi di armate di robot, occupazioni di pianeti e sistemi. A Mandy non importava molto la cosa. Klea non era molto meglio di Alexandra. Sicuramente anche lei oscurantista e dalle vedute strette, montata e pomposa. Cambiamenti radicali non sarebbero avvenuti di certo. Una tiranna sostituiva l’altra. Mandy, come esperta in robot bellici, sapeva che le forze armate cibernetiche imperiali erano superiori in quanto i loro robot meglio equipaggiati. A meno che Klea non avesse avuto qualche arma segreta, un asso nella manica. Cosa alquanto improbabile. Da che mondo era mondo, da millenni, nessuna sovrana aveva sfoderato niente di nuovo, all’infuori di qualche robot con volume di fuoco superiore al modello precedente. Dopo la battaglia decisiva – di solito un’ecatombe di metallo al calor bianco – la vittoria andava alla potenza cui restavano sì e no un centinaio di robot superstiti, dei milioni che ne aveva avuti. Poi c’era il trattato di pace e via, altri due secoli in pace, prosperità e noia.

Mandy continuava a camminare nella tiepida brezza estiva. Secondo una vecchia credenza, febbraio era un mese invernale. Il tempo si calcolava in base al biblico calendario giulio-gregoriano. Inventato dall’imperatrice romana Giulia e perfezionato dalla presidentessa americana Jill Mc Gregor, era basato sulle rotazioni e rivoluzioni e conseguenti giorni e stagioni del pianeta Terra. Il Sacro Pianeta ci metteva dodici mesi a girare intorno al suo sole. Febbraio era a quei tempi un mese invernale, sempre in base alle Sacre Scritture, ma i migliaia di pianeti popolati dalla Donna avevano altre rotazioni, rivoluzioni e stagioni. PURGATORIO 3  per esempio aveva un giorno di 32 ore. Di conseguenza il giorno dopo non era mai la stessa ora di quello precedente visto che la normale divisione del giorno galattico era di 24 ore.

Mandy guardò l’orologio: le cifre segnavano che era mezzogiorno, ma su PURGATORIO 3 era notte fonda. In base ai suoi calcoli, entro sei minuti sarebbe arrivata in vista del fortilizio. Cominciò a sudare. I calzoni larghi e corti fino al ginocchio le si appiccicarono alle gambe. Il cuore le cominciò a battere come un martello. Si tastò la coscia destra. Sotto la gamba del pantaloncino era nascosto l’apparato che rendeva invisibili ai robot, l’invenzione del secolo, oppure la più illustre candidata al cestino dei rottami, nel caso che non avesse funzionato. Era assicurato alla gamba con uno spago ed era stato realizzato con pezzi raccampati qua e là dalle varie caffettiere e lavatrici.

Una massa in controluce apparve lontana: il fortilizio. Alla luce delle lune già lei poteva distinguere il robot di guardia, bello come un’astronave da crociera. Mandy non ne potè più. Si mise a correre in direzione del gigante di metallo. O la va o la spacca, si disse. Arrivò al limite della distanza di sicurezza, pronta a fare dietro front.

Avanzò.

Silenzio.

Smise di correre.

Silenzio.

Aumentò il passo.

Ancora silenzio.

Si rimise a correre. L’unico rumore era il lontano ululato del lupo volante di PURGATORIO 3 alle lune piene.

Troppo bello per essere vero, pensò. Si mise a correre all’impazzata. Il robot era là impassibile, come se lei non fosse esistita. Mandy arrivò a tre metri dal guardiano di metallo. Sembrava un enorme scarabeo lucido e nero. Il suo cannoncino puntava minaccioso a sud. Mandy avanzò da sud est. Infine arrivò a toccarlo. Come toccare la roccia. Niente reazioni. Fece un’ultima prova, acustica.

«Fottuta facciaditolla, servo di quella montata di Alexandra, vaffan…»

Il robot continuò il suo eterno mutismo. Ora più che mai Mandy fu sicura. L’apparecchio funzionava!

Bene, si disse col pensiero, all’opera. Alzò la gamba sinistra dei cosiddetti shorts e tirò fuori da una borsa una parure di arnesi. Poi con mano esperta si mise ad operare dietro la testa del robot.

Il gigante metallico era una bestia di due metri e lei si arrampicò tenendo i piedi appoggiati al cinturone dell’automa dal quale pendevano tre granate.

Nel giro di mezz’ora Mandy aveva svitato un pannello e già lavorava nel computer del robosoldato.

Un’ora dopo Mandy aveva i crampi alle gambe ma aveva raggiunto lo scopo.

Cambiò posizione e saltò a cavalcioni del robot, ordinando: «Avanti di passo, bello mio.»

Il robot, ubbidiente, si mosse in avanti sui cingoli.

«A destra» comandò lei. L’automa girò nella direzione ordinata. Mandy ingiunse di girare a sinistra, cosa che quella mole di metallo fece, senza discutere. Mandy era al settimo cielo. Aveva riprogrammato il robot e quello le avrebbe ubbidito come un cane fedele.

«Bene, bello, adesso da bravo, dietro front e apri la portina del fortilizio.»

L’automa girò, e veloce puntò una cellula fotoelettrica in direzione dell’entrata. Un’anta di metallo si aprì di lato. Un attimo dopo Mandy, a cavallo di due tonnellate di supernichelio semovente, entrava trionfante nel fortilizio.

Il corridoio era deserto. Le vigilatrici umane dormivano della grossa. Si sentivano sicure e protette dal guardiano di metallo, e quand’anche si fossero svegliate, non erano armate e la sua nuova guardia del corpo puntando il cannoncino le avrebbe dissuase da qualsiasi resistenza.

Attraversarono il corridoio e arrivarono all’hangar della navetta che faceva spola tra il pianeta e l’astronave madre. Il robot puntò un sensore, e il portello della piccola astronave si aprì, azionò i cuscinetti ad aria, si sollevò in volo di un paio di metri e finì dentro.

Un attimo dopo Mandy era già ai comandi della navetta e programmava il computer pilota. Lo schermo si accese e la carta stellare tridimensionale brillò nel buio della cabina di pilotaggio. Non appena una leggera vibrazione del pavimento segnalò che i motori erano accesi, anche i suoi occhi diventarono lucidi di commozione. Un secondo dopo la navetta si sollevava da terra a una velocità sorprendente. Da uno schermo-finestrino Mandy vide PURGATORIO 3 allontanarsi e diventare una palla verde nel giro di pochi secondi. L’astronave madre si trovava in  orbita dalla parte opposta del pianeta. Nessuno si sarebbe accorto della fuga.

Mandy azionò il motore iperspaziale. Era chiaro che quello di una navetta-traghetto era ausiliario e a bassa energia. Non era in grado di attraversare la Galassia ma doveva costeggiarla seguendo gli iperfari. Così ci averbbe messo due settimane ad arrivare alla sua meta ai limiti della Spirale dove un’astronave normale ci avrebbe impiegato cinque giorni. Ma tanto di tempo ne aveva; cercarla nell’iperspazio sarebbe stato come cercare il classico ago nel pagliaio. Infine sarebbe arrivata colà dove nessuno l’avrebbe mai cercata, nell’unico posto della Galassia dove nessuna donna metteva piede da millenni: il Pianeta Natale: La Terra. Lì non soltanto sarebbe stata al sicuro, ma averbbe avuto tutto il tempo della Galassia per coronare il suo sogno di ritrovare il computer preistorico.

Non appena l’astronave si smaterializzò dallo spazio reale per entrare nell’Iper, Mandy gridò trionfante: «Terra, sto arrivando!»

CONTINUA…

 

di Paolo Ninzatti

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