Giotto (Agnolo di Bondone)

Giotto, particolare del Ritratto di cinque uomini illustri di Paolo Uccello

Colle di Vespignano (Firenze) 1266 ca. – Firenze 1337

Protagonista di una svolta clamorosa nella pittura medievale, Giotto è per unanime consenso il più geniale, versatile artista della sua epoca. Già i contemporanei lo paragonarono ai grandi maestri dell’antichità, dichiarandolo perfino superiore per il rarissimo ingegno, per l’incomparabile capacità di raffigurare le passioni.

Prima di ogni altro Giotto avrebbe “rimutato l’arte di greco in latino”, come scrive alla fine del Trecento il teorico Cennino Cennini. E già in quest’affermazione è palese la conoscenza ormai diffusa a quei tempi della portata rivoluzionaria della sua pittura: dal linguaggio “greco”, cioè dai modi bizantini tramandati per secoli, grazie a lui sarebbe progredito un nuovo stile, “moderno e naturale”.

Giotto rinnova la concezione dello spazio pittorico, che nei suoi dipinti appare come tridimensionale. Innovativa anche la rappresentazione delle figure, solide, volumetriche: non più corpi eterei e fluttuanti in uno spazio inverosimile e privo di prospettiva, bensì personaggi in carne e ossa, ritratti con fisionomie realistiche.

Al pari di quella artistica, la vicenda umana di Giotto è segnata da un forte senso pratico e da una certezza nelle proprie doti che gli permette un rapporto privilegiato con i committenti e una perfetta, oculata organizzazione imprenditoriale.

La cronologia dei primi lavori è controversa, mentre pare probabile l’apprendistato fiorentino presso Cimabue, il quale per tradizione riferita anche da Dante sarebbe stato surclassato dall’allievo (“credette Cimabue ne la pintura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido”, Purg. XI, 94-95).

Fra 1290 e 1304 si ritiene, con ipotesi dibattute, che Giotto abbia affrescato le Storie di San Francesco nella basilica superiore di Assisi. Prima dello scadere del secolo soggiorna a Roma e a Rimini.

Entro il 1305 termina a Padova la cappella dell’Arena per Enrico Scrovegni. Tornato a Firenze, ormai famoso e stimatissimo (oltreché assai ben pagato), lavora in Santa Croce per facoltosi committenti come i Bardi e i Peruzzi.

A Napoli nel 1329 da Roberto d’Angiò assieme all’allievo Maso di Banco, è ormai “protomagister, protopictor” (principale maestro e pittore).

Muore a Firenze dove nel frattempo è divenuto anche soprintendente alle fortificazioni e capomastro del duomo.

Giotto, Cacciata dei diavoli da Arezzo 1296-1304 affresco, particolare. Assisi, San Francesco, basilica superiore.

Le Storie di San Francesco si estendono in ventotto scene sulle pareti della navata della basilica superiore, dedicata al fondatore dell’ordine francescano. L’iconografia segue fedelmente la Legenda maior, redatta da San Bonaventura fra il 1260 e 1263. Nell’episodio della cacciata dei diavoli da Arezzo, decima scena del ciclo, spicca lo scorcio ardito della città turrita, con alcune case dotate dei tipici “sporti” medievali. I demoni alati, con zampe di falco, fuggono con gesti esasperati, e il pathos è enfatizzato dalle aspre fisionomie dei volti antropomorfi e barbuti.

La paternità giottesca del ciclo è stata più volte messa in discussione nel XX secolo per il divario stilistico con gli affreschi padovani, e tuttora è negata da alcuni studiosi, anche se in modo non convincente.

Giotto, L’Ira 1303-1305, affresco, dal ciclo del basamento con le Allegorie e i Vizi. Padova, cappella dell’Arena (o degli Scrovegni)

Il registro inferiore della cappella padovana è dipinto come un finto basamento a specchiature marmoree alternate a riquadri figurati. Giotto vi rievoca il senso della realtà e dello spazio facendo emergere dal fondo, quasi come sculture, le personificazioni delle virtù e dei vizi realizzate a monocromo. In questo straordinario antecedente del ciclo con gli Uomini illustri affrescato oltre un secolo dopo da Andrea del Castagno nella villa di Legnaia (ora degli Uffizi), l’artista trecentesco si mostra acuto indagatore dell’animo umano.

Giotto, Due donne 1303-1305, affresco, particolare della Natività di Maria, dal ciclo con Storie della Vergine. Padova, cappella dell’Arena (o degli Scrovegni)

Entro quinte scenografiche essenziali ma sempre dotate di qualche notazione di forte presa sullo spettatore, le figure giottesche sono delineate da contorni semplici, netti, che pur rendono ragione della fisicità dei corpi. Pochi tratti, pochi gesti, restituiscono l’atmosfera di un attimo fuggente: è il caso dello scambio ansioso del fagotto fra le due donne che s’incontrano all’ingresso della casa dov’è appena nata Maria. L’occhio si sposta dal viso della giovane al magistrale gioco di mani che offrono e che afferrano, fino alla faccia segnata di rughe della vecchia che sbuca dal vano scuro della porta.

Giotto, Maestà (Madonna Ognissanti) 1310 ca., tavola. Firenze, Galleria degli Uffizi.

Nella grande pala pentagonale, già sull’altare degli Umiliati nella chiesa di Ognissanti a Firenze, il trono che accoglie la Madonna col Bambino pare quasi un trittico aperto, o meglio un ciborio, ornato alla maniera gotica con raffinate incrostazioni marmoree.

La tridimensionalità della struttura architettonica rende verosimile lo spazio, esalta la tipica “scatola prospettica” di Giotto, che pure non rinuncia al tradizionale fondo oro.

L’evidente sproporzione della Vergine rispetto alle altre figure è dovuto forse all’esigenza di mostrare al maggior numero possibile di fedeli l’immagine della Vergine in maestà, che come quella di Duccio già in Santa Maria Novella presuppone un punto di vista decentrato.

Le ampolle con rose e gigli, simboli mariani, sono fra i primi esempi medievali di natura morta, già sperimentata da Giotto negli affreschi padovani.

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Agosto 26, 2019

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